A volte mi viene da pensare che un incipit è come un prodotto con una data di scadenza, passata la quale non può produrre nessuna storia. Se non viene utilizzato, scade, e non se ne può più fare niente. E se davvero è così, allora io penso di averne fatti scadere tanti di incipit, ho continuato a scriverne per anni, con l’unico risultato di avviare un processo e non portarlo mai, o quasi mai, a compimento. Storie sconclusionate, o forse sarebbe meglio dire, senza conclusione, rimaste in un limbo eterno che nessun evento potrà mai sbloccare.
Per questo, adesso che ho in mente di ricominciare concretamente a scrivere, mi trovo nella condizione di non sapere con esattezza se assumermi questo rischio, non so cioè se è il caso di osare. E non sembri strano che parli di rischio, perché potrebbe essere l’ultima volta, anche se questa cosa qui l’ho sentita dire spesso. Da me, intendo. Ho fatto tante volte di questi propositi. Ma adesso è diverso, nel senso che vorrei essere più serio e rispettare gli impegni. O ce la faccio, oppure basta, lascio, rinuncio per sempre. Sento la necessità di essere ultimativo, costi quel che costi.
Ho deciso, rischio. Non ci ho messo molto a scegliere, a costo di utilizzare tutti gli incipit fin qui concepiti come corpo della storia, perché no?
Un romanzo, non so se con una storia, un romanzo fatto quasi esclusivamente di incipit, ma non so ancora se dello stesso romanzo, più probabile, oppure di romanzi diversi.
Ma forse è meglio optare per una via di mezzo, mi sembra la soluzione migliore, anche se non so bene come incastrare le parti, come giustapporle. Ecco, giustapporle, non mi veniva la parola (anche se, un’altra espressione, un indizio, o forse un inizio, di concessiva che uso spesso, e a volte anche in modo nidificato, e non sempre riesco a districarmi in mezzo a tutte le possibili ipotesi).
Insomma, ci penso un po’ e prenderò una decisione, spero di riuscirci in tempi brevi, non vorrei trascorrere notti in bianco, ma non solo, per decidere come sviluppare la storia che ho in mente di scrivere.
Il punto è che non ce l’ho bene in mente, anzi, non ce l’ho affatto, né bene, né male. Ecco dove sta il problema. Comunque, sì, ci penserò, e in ogni caso, si sarà capito, ormai, non so se voglio dire tutto, e non so neanche perché, non so nemmeno cos'è il tutto, forse non ne sono capace, dire quello che vorrei dire.
Anna mia, o mia Chiara, o come altro vorrai farti chiamare, non so nemmeno io cosa vorrei dirti esattamente. Sento che così non può andare, non può più continuare, e la cosa si risolve, si potrebbe risolvere, parlandoti, parlandone. Raccontandoci reciprocamente cos'è che non va, per provare a capire dove risiede esattamente il problema.
Se avessi le idee più chiare potrei farlo anche subito, non aspetterei un secondo in più, se sapessi con chiarezza cos'è che mi tormenta, che mi fa vivere una vita di angosce (Tu lo sai? E me ne parleresti?).
Forse non dico niente perché non so cosa dire. Devo riflettere su questa mia incapacità di concentrazione, su questo difetto che mi impedisce di ragionare. Riesco sempre a vedere tante cose inutili, almeno tali appaiono a prima vista, ma non ciò che effettivamente conta. Intendo dire che non ho certezza che le cose su cui solitamente ripongo le mie attenzioni abbiano un qualche valore, servano veramente a qualcosa. Ma forse, forse dovrei semplicemente smettere di pensare.
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