Lettori fissi

domenica 29 marzo 2020

M. et C.

Occorrerà un po' di tempo per sapere
più o meno quello che è successo


A lui tutto è concesso. Di questo sono convinto. Da lui accetterei qualunque cosa. La tabella degli orari dei treni in mano sua si trasforma in arte. Non c’è bisogno di grandi trame. Anzi, non gliene servono affatto. Scrivere di niente è da sempre il mio sogno. Non so se esattamente una scelta deliberata o, in qualche modo, forzata, perché, ad esempio, non saprei scrivere di niente. C’è da dire che a lui riesce bene anche il niente. Ma non è un niente che stanca. Tutt'altro. È qualcosa che riempie e soddisfa. 

Vorrei provare a seguirli questi due, viaggiare anch'io con loro. Ho bisogno di muovermi, non restare a casa, come loro.
Sono pronto a tutto e con lui davvero c’è da attendersi di tutto. Sì, però, non è che voglio seguirli passo passo. Giusto qualche indicazione, che so, un suggerimento sul percorso da intraprendere, un consiglio.
Anche perché nemmeno sono partiti ed uno già propone all'altro di rientrare. Uno si chiama C. e l’altro M., così ci chiariamo. Questa trovata dell’uno e dell’altro, però, dell’inutile e insensata anonimia, mi puzza di artificio, quasi mi disgusta, fin dall'inizio.
C. giustifica il suo desiderio di ritornare col timore di una pioggia interminabile che lo renderebbe inquieto oltre che irrequieto.
Non so se voglio seguirli ancora. Già mi sono stancato. Sono in autoisolamento, sì, ma non in autoflagellazione. Ma ho anch'io un bisogno, non so se chiaro, di muovermi, di andare, di vivere. Al momento non è evidente il vantaggio che potrò ricavare dal seguire questi due. Spero si palesi presto, prima che vi rinunci definitivamente, ad esempio perché privo di sorprese, sia positive che negative.
Non si spostano di molto. Non si spostano e basta. Forse solo nelle intenzioni. Ma perché avviarsi, poi?
Comunque, alla fine della giornata, verso il tramonto, si lasciano alle spalle il cancello del giardino dove si erano dati appuntamento, recuperando la sacca, l’ombrello, l’impermeabile e la bicicletta.

Vorrei descrivere il nulla. Forse l’ho già detto. Così come la città, o la non-città. Fa lo stesso. Le banalità che scelgo di elencare dovranno finire prima o poi. Vado avanti lo stesso. Continuo a seguire quei due. Non so se li posso interscambiare. Cioè, se l’uno vale l’altro.
Vado avanti o ritorno? Non c’è risposta che soddisfi. Solo che M. pensa all'orrore dell’esistenza, più o meno come me.
Si riunirono in consiglio per stabilire delle regole, dopo aver fatto una breve sintesi della situazione che stavano vivendo. Anzi no, fu il risultato di un semplice dialogo, immagino immaginario. Però i punti furono fissati. Un decalogo cui attenersi scrupolosamente sapendo che l’unica cosa che veramente contava era partire. E poi merda.
Li seguo, nonostante tutto. Destinazione Elena. La direzione l’ha data l’ombrello lanciato in aria. Basta seguire la strada indicata dalla punta. Forse non aveva mai smesso di piovere. L’ombrello, comunque, serviva almeno da bussola, visto che si era piegato e non poteva più essere usato come riparo dalla pioggia che, intanto, si era trasformata in diluvio.
Elena è passata. Niente più pompinucci, neanche non troppo lunghi. Sono ritornati sulla strada senza più la sacca e la bicicletta e di nuovo sotto la pioggia. È il caso di sostare sotto un portone, visto che l’ombrello l’hanno dimenticato da Elena. Non sanno dove andare ed io non sono così sicuro di continuare a volerli seguire. Ma cosa posso fare? 
Non si tratta di curiosità. Posso mai abbandonarli al loro destino? Sento una qualche responsabilità che non so giustificare. Ma non sono molto interessato alle loro avventure, sempre che avventure si possano definire i loro monologhi strutturati in forma di dialogo che, però, non sempre riesco a seguire. Fortuna che, di tanto in tanto, arriva in soccorso un riassunto delle puntate precedenti. Qualche punto che mi era sfuggito lo posso ripescare così, rileggendo i punti di questi riassunti. Si potrebbe ricostruire l’intera vicenda solo dando un’occhiata a questi resoconti. Non serve altro.
La pioggia è costante e i due amici ripartono. Anche se qualche episodio sfugge, importa poco.
Ma sono veramente amici? A volte mi viene da pensare che sono amanti. O che rappresentino due aspetti dello stesso personaggio. Non ci sarebbe niente di male. 
Attraverso ore di strenua resistenza. Perché seguirli ancora? In questa partenza mai avviata, in questo viaggio non viaggiato, ho le idee confuse e i loro sproloqui non contribuiscono di certo a chiarirmele. Mi sento debole. Una debolezza incerta, che non mi fa capire dove mi trovo. Forse smarrito più che spaesato.
Ho come sognato di seguirli alla ricerca di un riparo, questa volta di un albergo. Si compirà mai questo destino? Arrivare ad una qualche destinazione? C’è molta perdita di tempo. Ma non sarebbe corretto esprimersi così. Una meta nota presuppone una conoscenza del modo per raggiungerla. Mi sembra che si dica così. Aspetto il prossimo riassunto o, nel frattempo, provo a seguirli?
Opto per quest’ultima opzione. Inutile ripetizione, ma che dovrei fare? Che dovrei dire?
Non sono stato interpellato sulla scelta della stanza d’albergo. Neanche dell’albergo. Non mi sono sentito chiamato in causa. Da nessuno dei due. È un segnale, il primo, di abbandono? Troppe indecisioni. Dovrei andare dritto al punto della situazione. E senza condizionali. O condizionamenti. Quei due sono degli abili destreggiatori. Ci metto poco a perdere la concentrazione, il merito è tutto loro. Oppure la causa. Più mi ostino a seguirli più ne perdo le tracce. Così il cammino si fa duro. Mi viene da rinunciare. Ma no, entro anch'io.
Forse oggi dovrei starmene chiuso in casa. Un viaggio stando in casa sarebbe l’ideale. Non è mica lavoro questo mio voler insistere a tutti i costi a seguire questi due perditempo. Me ne starei a leggere un bel libro. Non questo che a fatica reggo tra le mani finanche nelle ore notturne quando, dopo tutto, ci capisco di meno. Sarà per questo che faccio fatica a star dietro a questi due energumeni, se così mi è consentito dire.
Io c’entro sempre con le storie di questa gente. In un modo o nell'altro devo farne parte. É più forte di me. Non riesco a fare a meno di interessarmi alle loro vite. E a quella dei loro parassiti. Quelli che gli stanno attorno, cioè. O alla pioggia che, zitta zitta, fa costantemente la sua parte senza quasi farsi notare.
Chi vuole leggere queste storie stia alla larga da me. Non sono fatto per queste cose. È necessario motivare questo consiglio? Penso di essere stato chiaro, almeno fino a questo punto.
Quei due si sentono in diritto di scomparire ed io cosa dovrei fare? Andare in giro a cercarli? Potrei fare a meno di loro, penso. Mi hanno lasciato in balia di gente che non conosco, che non sarei interessato a seguire. A meno che non abbiano cambiato nomi senza avvisare. Sono adusi a scherzetti del genere. Quando si stancano di interpretare un ruolo cambiano di identità e il gioco è fatto. E a me mi lasciano in ambasce, non capisco più niente, fino a quando non scopro il trucco. Ma intanto mi sono perso tante cose. Dovrei, cioè, ripercorrere la strada già fatta per provare a recuperare qualcosa, almeno qualcosa. Non so proprio cosa mi spinge a star dietro a questi farabutti. Ci guadagnassi qualcosa! Ma mi sa che con loro è solo perdita di tempo.
Un tipo che aveva appuntamento con uno dei due si è presentato nell'albergo dove alloggiano. Ricompaiono così, all'improvviso, dal nulla. A loro piacimento. 
Mi piacerebbe avere una parte più attiva in questa storia. Invece mi tocca inseguire due fuori di testa. Cioè, io non ci vedo una buona logica nei loro comportamenti. Ma forse non vedo nemmeno un comportamento vero e proprio. 
Sembrano quasi degli esseri aleatori, per così dire. Ed io con loro. Mi sono perso in un campo a forza di seguirli. Così, tanto per fissare dei momenti in comune.
C’è anche altro che mi avvicina. Ad esempio, uno ha i calzini bucati, non saprei chi, e a me si è rotto l’elastico delle mutande. Non sarà la stessa cosa ma rende l’idea della precarietà che stiamo vivendo, se può bastare. No, perché, ho anche la tasca della giacca, quella di sinistra, che si apre dentro una voragine. Non potrei usarla nemmeno per riporvi dei sassi, oltre a tutte quelle inutilerie che anch’io colleziono. Vale a dire, ho sempre il naso pulito.
Chissà dove mi portano. O dove mi sto facendo portare. Non hanno ancora deciso. Ma forse non lo sanno nemmeno. Ed io, come un cretino, che ancora ci credo, che penso che ci sia un disegno in tutto ciò. Adesso, per esempio, vorrebbero tornare indietro e recuperare la sacca, indispensabile, sembra, per la sopravvivenza, o per proseguire il viaggio, sempre che di viaggio si possa parlare. Ed io dovrei assecondarli? 
Ho dimenticato i loro nomi. O meglio, li sto confondendo con altri già apparsi in precedenti episodi. Non so se di questa storia, o di altre.
Questo andare e venire, avanzare e tornare, questa immedesimazione in altri personaggi, mi sta un po’ spossando, ma forse anche frastornando. Chi sono io? è la domanda finale. Sempre la stessa. Una crisi di identità accentuata da questi miserevoli individui, questi loschi figuri che non so decidermi ad abbandonare. E stavolta nemmeno il consueto riassunto delle puntate precedenti sembra potermi fornire un aiuto a ricostruire ciò che è stato. Ho perso il conto di ogni cosa, oltre che l’impermeabile abbandonato non ricordo più dove. 
L’avevo intuito, un pensiero che mi aveva assorbito per un po’. Era in città che intendevano ritornare. Adesso è una città spoglia quella in cui mi trovo. Silenziata dalle necessità. Una città non-città l’ho chiamata. Io resto in casa, vorrei dire, ma anche, seguo i loro passi intanto che passano a trovare Elena. Posso fare entrambe le cose. Indifferentemente. E non so quale è meglio.
Sia pur piccola una parte dovrebbe toccare anche a me in un pigro minipartouze, già che ci sono. Qualcosa dobbiamo pur inventarci per occupare il tempo, e lo spazio a disposizione, o quello che ci resta. Poi, se posso, vado per bar a fissare dei principi inderogabili. Ritornare insieme a loro da Elena per uscire di nuovo quasi subito. Sono  momenti difficili, lo pensano in tanti. Da qualche parte la pioggia sembra continuare, le persone muoiono come mosche e l’ombrello non appare adeguato, e poi ha qualche difetto. Ci stanno ragionando da un po’, se portarlo via così com'è o farlo riparare ad Elena.
Ho difficoltà a ritrovarmi in questi personaggi. Non sono come me, pensano in modo diverso, sempre che io riesca a pensare. Occorre inventarmene altri, incrociarne qualcuno in giro non è facile. C’è come un’aria di tragedia imminente, un’atmosfera di catastrofe incombente che aleggia nel vuoto delle strade, nel silenzio dell’assenza.
Vivo un dissidio in me. C. è rimasto a casa di Elena, o da quelle parti, in attesa che l’ombrello venga riparato. M. è partito per la rievocazione del passato. Non sono sicuro che riesca ad arrivare a destinazione. Vorrei seguirlo, ma mi risulta difficile, continuamente distratto dal mondo esteriore, e non solo il mio.
Ho perso il senso della città, quasi scomparsa. E, insieme, tutto il resto. O forse no. Il resto è questa vana ricerca che mi fa vivere. Dovrò pur arrivare, presto o tardi, ad un punto finale. Dovrò decidere, stavolta, o prima o poi, la mossa da fare per non rimanere paralizzato, o immobilizzato dentro casa.
Vorrei viaggiare anch'io, ma con una meta, non come questi incapaci che mi ostino, non so perché, forse per trovare un’ispirazione, ma non me ricaverò nulla, lo so già, che mi ostino imbecillemente a seguire. Ecco, presa questa decisione. Vedrò il da farsi. Un futuro qualunque, mi va bene tutto. Lo dico in anticipo, così non avrò sorprese.
Tanto, al punto in cui sono, non me vedo alcuno. Non ho abbastanza immaginazione. Neanche la minima parte di quella che potrebbe servire per prospettarmi un qualsiasi avvenire, un orizzonte più o meno prossimo.
Sto emulando quei due. Ma non ho intenzione di cercare la sacca, che sembra l’unica ragione di vita per entrambi. O forse dovrei dare il mio contributo. Ma è già tanto che riesca a seguirli. È che se non lo faccio mi distraggo e non riesco più a ritrovarli. Sembra un paradosso, può essere successo di tutto. 
Riuscirò mai a liberarmi di costoro?
Ho bisogno di rivedere il già fatto per non perdere la strada. Avrei dovuto fare qualcosa per evitare che commettessero un omicidio. Mi sento complice per la mia inazione. Omissione di soccorso. Ma forse mi sto facendo troppi scrupoli. La cosa passerà del tutto inosservata. 
Ho voglia di provare Elena. Spero mi ci portino. E che riesca a concentrarmi, non necessariamente per incularla. Ho voglie antiche da sfogare. Cose ormai dimenticate. Fine della riflessione. Perché intanto quei due sono ancora alla ricerca di rovine, avvistate in precedenza, dove ripararsi per la notte. Ma forse sono già oltre. Allora è meglio tornare indietro. Li sto tallonando, non so se se ne sono accorti, che poi è anche buio. Quand'anche, importa poco. 
Mi perdo tra le parole. Tutto pur di arrivare ad una conclusione. Passare la notte tra le rovine e possibilmente dormire. Sì, riposare, per chiarire le idee, se pure sia possibile.
La chiarezza ha portato i due a dividersi ad un bivio. Le alternative, comunque, conducono, per vie diverse e traverse, in città. Può accadere che segua l’uno o l’altro. O entrambi. Forse è meglio così.
Occorrerà del tempo per capire cosa è successo. Come abbiamo vissuto. O non vissuto. Come è potuto succedere che qualcosa di invisibile e inatteso abbia potuto sconvolgere le nostre abitudini, le nostre necessità, le nostre esistenze. E non è detto che riusciamo a scoprirlo.
Non è detto neanche che si ritrovino, M. e C.. Forse a tarda età e allora ritorneranno a questi tempi. Insieme ad altri personaggi che si svilupperanno, o che si sono sviluppati, altrove, a mia insaputa.
Quanto a me, non sono così sicuro di aver fatto bene la mia parte, di essere stato, cioè, un valido testimone delle storie di quei due. Mi sono perso ormai e non riesco a far altro che pensare all'orrore di una simile esistenza.