Lettori fissi

giovedì 28 febbraio 2019

Gli occhi, i suoi occhi

Gli occhi, i suoi occhi. Pensavo di parlare con lei, mi sbagliavo. Le parole non seguivano una logica, né tantomeno un discorso di senso compiuto, almeno non ne avevo coscienza. 
Dovrei preoccuparmi forse quando parlo, per il timore di dire cose che potrebbero compromettermi, che potrebbero arrecarmi un qualche danno. 
Non che abbia dei segreti da mantenere. Ma è che non ce la faccio a concentrarmi in quello che dico quando ho i suoi occhi davanti ai miei occhi. Mi stregano, forse si verifica un fenomeno del genere. Qualcosa che mi attrae irresistibilmente e che non lascia spazio ad altro. È più forte di me. 
Così comincio un discorso, anche partendo da battute formali, le solite cose che si dicono in occasione di un incontro mancato o mancante da tanto tempo, forse ormai anche insperato, e pian piano mi perdo dentro i suoi occhi, perché quando parlo la osservo, cioè i miei occhi girano intorno al suo sguardo, oppure il mio sguardo fa un giro, come un’ispezione, attorno ai suoi occhi, forse in cerca dei suoi occhi, una forza incontrollabile mi porta a concentrare la vista solo e soltanto nei suoi occhi. Non ho ancora capito bene come funziona questa vista, cioè, se l’occhio destro si sofferma sul suo occhio sinistro, e quello sinistro sul suo destro, oppure ciascuno dei miei occhi ha una visione completa tale che entrambi osservano contemporaneamente i suoi. Non deve essere una faccenda di poco conto. Mi sembra che saperlo abbia una sua importanza che però non saprei quantificare. 
Io comincio a parlare ed ho una visione di insieme del suo volto. A volte, ad esempio dopo pochi secondi, sento quasi l’esigenza, o la necessità, ma non saprei dire quale di queste due eventualità, se di questo si tratta, sia più impellente, di distrarmi, di volgere lo sguardo altrove, per non restare infatuato e bloccarmi del tutto. 
Allora, arriva come un’ancora di salvataggio una distrazione provvidenziale, tanto per allentare la tensione, per innestare una marcia più adeguata nel percorso che intendo intraprendere, e a quel punto posso ricominciare a fissarla negli occhi, o giù di lì. Magari non direttamente negli occhi. Cioè, per ricominciare può andare bene anche una sbirciatina con la coda dell’occhio, ma non saprei di quale dei due, ad un orecchio, o al labbro superiore, ma penso che la cosa possa funzionare anche se osservo quello inferiore o persino la fossetta sul mento quando non addirittura lo spazio tra le labbra ed il naso, che se poi noto qualche peluzzo sfuggito alla ceretta, o un rossore conseguenza di una piccola ferita, ecco che allora la distrazione raggiunge il massimo ed a quel punto potrei tranquillamente riprendere a fissarla per un bel po’ senza rischiare di cadere in qualche incantesimo.
Ma dopo tutto questo argomentare ancora non ho capito di che colore sono i suoi occhi, cioè, a forza di perdermi nell’ispezione dell’iride, della pupilla, delle palpebre, delle ciglia, le sopracciglia, i coni, i bastoncelli e chissà quali altre particelle pressoché invisibili, perdo di vista, è il caso di dirlo, ciò che mi ero proposto di fare, riportare cioè il dialogo che ho avuto con lei in quell’occasione e tutto quello che ne è seguito.


mercoledì 20 febbraio 2019

Vorrei descrivere un momento


Poter dire finalmente “ho vissuto un momento di felicità”. Vivere una vita intera per quel momento. Un momento è un attimo. Oppure può durare di più.
Si usa questo termine per identificare una porzione di tempo non precisamente definita. Può essere più o meno lunga. Ma anche un momento breve, brevissimo, di felicità può essere sufficiente per riscattare una vita di miseria, di tristezza, di insoddisfazione. Vivere per quel momento.
Adesso vorrei descrivere un momento. Adesso descrivo un momento. Ma è già passato. Deve essere stato uno di quei momenti brevi, passeggeri, che non te ne accorgi nemmeno.
Stai lì a pensarci e, via, se ne è già andato, e allora? Devo pensarne uno un po’ più lungo, più duraturo, che mi dia il tempo di riflettere e pensarci, per inventare un brano di momento, così che possa restare nella storia.
Stanotte dormirò sul divano. Ho bisogno di stare vicino ai miei libri. Forse così potrò trovare l’ispirazione per descrivere un momento, quello giusto.
Ma quando leggo non faccio solo quello, cioè, non seguo solo l’andamento della narrazione e la storia raccontata. Vado sempre oltre, cerco di trovare un qualcosa che sta dietro le parole, che sicuramente c’è, ci deve essere, e anche se non c’è io lo voglio trovare lo stesso.
Così leggo più libri in uno. Quello scritto e anche quello che c’è ma non si vede o che non c’è del tutto. C’è che, però, io devo approfittare subito a cogliere tutti questi aspetti, tutte le versioni, direi, piuttosto. Altrimenti, se me ne faccio sfuggire qualcuna, poi mi tocca ritornare indietro. Insomma, diventa un lavoro, anche pesante. Faticoso, cioè.
Devo stare con gli occhi ben aperti. O con la mente aperta. Tra gli occhi e la mente spesso si instaura una relazione di contiguità e allora succede che agiscono in simbiosi. Ecco il motivo della reciprocità. Uno vale l’altro. Quasi due gemelli. La mente è più veloce degli occhi. Così dovrebbe essere. Leggere con la mente porta più lontano che leggere con gli occhi. Quando leggo sono molto più avanti col pensiero rispetto a ciò che vedo con gli occhi. Le parole hanno una forma e spesso mi soffermo ad osservare i disegni che compongono sulla pagina.
Questione di impostazioni tipografiche, certo, ma mai come in questo caso si può applicare il detto che anche l’occhio vuole la sua parte, interpretato in maniera farsesca, teatrale, cioè intendendo per parte il ruolo che vorrebbe giocare, come dovesse recitare su un palcoscenico la parte di un copione.
Sì, anche gli occhi recitano. Ne sono pressoché convinto.



sabato 9 febbraio 2019

Il canto dell'essere e dell'apparire

Tutti i personaggi di una storia sei sempre tu, è una storia con te stesso, una lotta incontrastata, di frasi, battute, azioni.

Pensare a tutt'altro mentre stai facendo qualcosa, come se quel sole non stesse riscaldando te, come se quei pugni non fossero diretti verso te, non ti stessero massacrando il volto, pensare ad altro, chissà cosa, non sentire neanche dolore, visto che tu sei fuori dal tuo corpo in quel momento, il contatto fisico è stato disinnescato.

Come se le lancette delle ore di un orologio volessero raggiungere quelle dei minuti, viaggiare alla stessa velocità, allo stesso modo la mia mente, io, cerco di raggiungere le parole che fuoriescono dalla bocca mentre sto leggendo a voce alta, per carpirne il significato, scoprirne i segreti.