Lettori fissi

sabato 5 ottobre 2019

Storie

Comincio sempre tante storie. Come se le avessi vissute veramente. Poi mi accorgo che sono solo pensieri, forse anche desideri irrealizzabili e per questo ne scrivo. 
Mi ritornano di continuo le parole con cui ci congediamo da qualche tempo, i suoi occhi sul punto di scoppiare, per un timore non svelato. Siamo simili in questo, me ne accorgo quando mi sfiora appena senza approfondire l’abbraccio ed io che invece rischierei di spezzarle il corpo fragile e che cerco di trattenermi per altre paure, forse timori antichi che si sono radicati in me senza un motivo a me noto. 
Mi fa sempre piacere vederti. Ma avrei piacere di fare anche altro. 
Non mi basta un rapido incontro, o le chiacchiere generiche davanti ad un caffè. 
La scopro ogni momento. Non è difficile immaginare la scena. 
Ma chi è questa donna? Una figura che si prende gioco di me? Una che è entrata nella mia vita senza nemmeno chiedere permesso. O forse sì, l’ha chiesto tante volte ed io, sordo, non l’ho capito nonostante le evidenze. 
Cosa deve fare di più? Gettarsi ai miei piedi e chiedermi direttamente di …, no, anzi, prendermi a forza, con la sua debole forza, e trascinarmi in un angolo, in mancanza di un letto, slacciarmi i pantaloni e mettermi di fronte al fatto compiuto? Oppure sono solo pensieri miei. Intanto sono solo e forse lo è anche lei. 
O si fermerebbe prima, frenerebbe gli istinti e si limiterebbe, come fosse più facile per lei, a chiedermi di farle un ritratto, in mancanza d’altro, di farla entrare in una storia.
Ho il mondo e anche più davanti a me. È fatta. Non aspettavo altro. Da anni, da quando l’ho vista per la prima volta. Quante volte immaginato questa scena. 

venerdì 20 settembre 2019

La letteratura

Non sapevo che era questa la letteratura, la narrazione, il romanzo, sì, insomma, quelle cose lì, e che potevo anch'io scrivere una storia, come pure avevo fatto negli ultimi tempi, ma ignorando di avere quelle capacità, senza sapere cioè di essere uno scrittore, uno vero, intendo, che bello!, adesso che l’avevo capito potevo scrivere una storia ogni volta che mi veniva l’ispirazione, ma anzi, forse ogni volta che me ne veniva la voglia, adesso, ad esempio, sento che potrei scriverla, mi sembra di essere in grado di farlo naturalmente, senza sforzi, solo ad appoggiare la penna sul foglio mi sembra che sorge spontanea una storia, solo che però devo rimandare, e questa volta per una ragione che potrà sembrare banale, ma che invece non lo è, ne va di mezzo la serenità con cui potrei scrivere e il motivo è presto detto, devo andare in bagno, perché da un po’ sto avvertendo un sommovimento allo stomaco, o giù di lì, e non posso più rimandare, ma faccio presto, non preoccupatevi, non sono di quelli che si siedono sul water e se ne stanno lì per decine di minuti ad aspettare l’ispirazione, io quando vado è perché la cosa è matura, mi siedo sulla tazza ed è subito un pluff, mi pulisco con la carta, mi lavo col gel alla menta, mi sciacquo le mani ed eccomi di nuovo a scrivere, e no, non sono di quelli che perdono tempo, quando una storia chiama, guai a lasciarsela scappare, quella non torna facilmente indietro, e vai a ripescarla più, chissà quali strade prende, ed allora, basta con gli indugi, è arrivata l’ora di cominciare la storia che ho in mente e per favore non distraetemi, non ponetemi ulteriori ostacoli davanti, fra me e le mie storie la strada deve essere libera, liberissima, perché anche un piccolo rumore può distrarmi e farmi fuorviare, figuriamoci un concerto, o anche solo una macchina che lava la strada di notte, la sento, non pensate, quando tutto è silenzio, si sente anche dall'ultimo piano di questo palazzo, che pure ha pareti spesse, ed invece, non so come possa accadere, però sento tutto quello che succede giù in strada, no, non parlo di quando sto con le finestre aperte, nei mesi estivi, anche adesso, a febbraio, a marzo, che tengo tutto chiuso, che ci sono delle serate che fa davvero freddo che nemmeno i termosifoni accesi a palla servono, non so quanto sto spendendo di riscaldamento, e le bollette aumentano anno per anno, e non solo quelle, anche la luce, il telefono, è incredibile, non riesco più a tenere il conto, è per questo che ho deciso di fare la domiciliazione delle utenze di casa, così non dimentico di pagarle, quando arrivano le metto direttamente nella cartella che ho comprato appositamente, non guardo nemmeno quando scadono, tanto, si pagano da sole, è questo il bello della domiciliazione, penso sia una delle cose che più aiutano a sopravvivere allo stress della contabilità domestica, altrimenti, davvero, non saprei come fare, perderei sicuramente la testa, ma adesso basta sprecare altro tempo, perché è già tardi e, se non comincio, va a finire che perdo il ritmo e non riesco più a raccontare quello che avevo in mente, che a dire il vero ho già dimenticato, ma penso che è sufficiente fare un piccolo sforzo e tutto ritorna, anche se però non sempre mi riesce quest’esercizio, ad esempio quando sto dormendo e faccio un bel sogno, ma non solo uno bello, uno qualunque, che però mi sembra interessante, mi dico, ecco, questa sì che è una bella storia che potrei scrivere, e così me la ripasso nella mente, non so se quando sto ancora dormendo, se sto ancora sognando, oppure da sveglio, e comunque, se anche sono sveglio, probabilmente non lo sono del tutto, non cioè al punto da riuscire a ricostruire tutto il sogno, perché mi sembra di ricordarlo, però quando ci provo, mi sembra che manca qualcosa, e com'è e come non è, mi ritrovo di nuovo che sto dormendo e quando poi al mattino mi sveglio perché sento la sveglia squillare, è come se si fosse spezzato qualcosa, dimentico tutto, o quasi, mi restano solo dei particolari, che però sono del tutto scollegati l’uno dall’altro e faccio uno sforzo tremendo per cercare di ricordare qualche dettaglio utile per ricostruire la storia che mi sembra di aver vissuto dal vivo poco prima, nel sogno, ecco, così mi succede quando dimentico, come adesso, che mi è sfuggita davvero la storia che volevo raccontare, e ci rimango come un fesso, di stucco, ecco, forse questa espressione rende meglio il concetto, se ce ne fosse bisogno, perché a volte i proverbi, o le frasi fatte, o i luoghi comuni, queste parole, sono più familiari ai più  e, a volte, usarle ci aiutano ad essere più chiari, senza tanti giri di parole, perché nelle storie è importante essere chiari, altrimenti, se si comincia a scrivere difficile, tutto va a ramengo, per questo non mi piace stare a cincischiare, quando voglio esprimere un concetto cerco di andare subito al nocciolo della questione, senza girarci intorno, è una questione anche di correttezza nei confronti di chi mi sta di fronte, sia esso un interlocutore che mi ascolta mentre parlo, o un lettore che legge qualcosa che ho scritto, se non vado dritto al cuore del problema, quello gli passa la voglia, cerca una scusa qualunque e mi lascia là con le mie storie, e non farebbe male, non avrebbe del tutto torto, non sempre uno ha tempo a disposizione da sprecare e dedicare ai ghirigori degli altri.

sabato 3 agosto 2019

Sogno di una notte d’estate



Cani, galli, capre, deserto, vento mare, ogni notte parto per una destinazione diversa, è così da anni ormai e non lo dico con rammarico, anzi, mi ci sono abituato e aspetto con ansia, pregustando il piacere del viaggio, di distendermi comodamente a letto e avviarmi verso terre sconosciute, ogni volta una sorpresa, paesaggi sorprendenti, che non immaginavo, forse troppo chiuso dentro i miei pensieri per tutta la giornata, di notte riesco ad aprirmi ad altre viste e ci arrivo sempre con mezzi diversi, una volta un autobus, tanta gente attorno a me, a volte sono l’unico o comunque uno dei pochi stranieri, così mi sembra, in un mondo variegato, popolato di cinesi, marocchini, senegalesi, nigeriani, anzi no, nigeriane, brasiliani, rumeni e rumene, filippine, capoverdiane, ucraine e chissà mai da quale altri paesi remoti arrivano, un'altra volta salgo su un treno, all'ultimo momento, proprio quando il capotreno dà il via, le porte che stanno per chiudersi, ma faccio in tempo a salire, su quel treno che lentamente mi porta lontano, sempre lontano, attraversando terre aride, distese secche, non un filo d’erba, non un albero a vista d’occhio, e soffro la sete, ho necessità di bere, fermo la corsa, scendo un attimo, il tempo di dissetarmi a quella fonte, la vedo sempre, un totem ad esprimere la forza della natura, una limpida sorgente, e poi ritornare, ripartire, come sempre, un’altra volta ancora è una nave, che solca mari, immensi oceani, sconfinati, attorno a me solo acqua, per dove l’occhio possa spaziare, null'altro, per quanto mi sforzi di voltare lo sguardo, anzi no, delfini saltellanti mi accompagnano giocando, enormi megattere affiorano qua e là, sbuffando zampilli degni di artistiche fontane, pesci volanti che si trattengono in aria, con un’ansia di sfuggire ad un’inevitabile inerzia cui non riescono a sottrarsi e che non riescono a vincere e poi, altre volte, un aereo leggero, volando sulla superficie terrestre, alla scoperta di nuovi orizzonti, sorvolando le nuvole, che nei miei pensieri diventano altri mondi, popolati da creature eteree che si dissolvono al lieve soffio del vento, chissà mai dove andranno a finire, questi personaggi, che mi figuro lievi e danzanti tra le stelle, ed ancora, in auto, a percorrere strisce d’asfalto nelle strade del mondo, ogni volta un viaggio diverso, in bicicletta quando ho voglia di osservare il paesaggio, le campagne che si tingono dei colori delle stagioni, e a volte a piedi, il mezzo che preferisco, mi permette di incontrare gente, parlare, non restare chiuso in me stesso, scambiare quattro chiacchiere, e tu cosa fai, era un po’ che non ti vedevo, cosa hai fatto in tutti questi anni, non sei cambiata di molto, bella come sempre, insomma, incontri piacevoli, che durano il tempo di un sogno, poi, al mattino, tutto svanisce, riparto per un altro viaggio, quello che mi riporta, ogni volta, ad affrontare un nuovo giorno, una nuova avventura, ma non è la stessa cosa, fortuna che ci sono i sogni, almeno quelli, nessuno me li potrà rubare.

domenica 28 luglio 2019

Chiamatemi Joannhes




Bastará decir que soy Juan Pablo Castel, el pintor que mató a María Iribarne 
El túnel
(Ernesto Sabato)


A proposito di spoiler

Questo testo non contiene spoiler. 
Non ci sono anticipazioni della trama. Non rovina l’effetto sorpresa semplicemente perché non si vogliono ottenere tali effetti nel romanzo di cui parlo. 
Si tratta di una personale riscrittura dell’opera di Conforto che, inevitabilmente, contiene riferimenti alle vicende narrate.
I romanzi in cui chi scrive punta essenzialmente a creare l’effetto sorpresa con finali inattesi non sono fatti per me. 
Allo stesso tempo chi legge, attratto dall'idea di svelare arcani o motivi misteriosi tra le pagine, non avrà il mio plauso o grande considerazione da parte mia, per quanto possa valere il mio giudizio. 
Nella lettura di un’opera finzionale sono infatti interessato più allo stile, alla forma di un testo, che alle storie raccontate. 
Per questo non mi fa alcun effetto conoscere in anticipo lo sviluppo delle vicende e non mi interessano molto gli eventuali colpi di scena.
In ogni caso, chi pensa che l’effetto sorpresa abbia un ruolo importante in un lavoro letterario è bene che stia alla larga da questo testo. Anche se non ce ne sarebbe bisogno.





Chiamatemi Joannhes


Penso sia importante seguirlo questo Joannhes. È uno che scrive. Ha bisogno di compagnia. Anch’io ne avrei bisogno. 
È solo, con i suoi problemi, con le sue fantasie. 
Non che mi consideri una buona guida. Ma sempre meglio di niente. Avere qualcuno accanto può esserti di aiuto. Sapere che puoi contarci ti porta a proseguire con maggiore sicurezza. 
È in viaggio, fin dall’inizio. Ha già visitato diversi luoghi in poche pagine. Da una conferenza ad un treno, con la testa già a casa, pronto a ripartire con una donna per una vacanza in montagna. 
Sul treno è solo. Si addormenta quasi subito. Al risveglio si ritrova in compagnia di due donne. Il treno si ferma, si blocca. C’è qualche problema, non è più possibile rimanere dentro, deve essere ricondotto in stazione. I pochi viaggiatori sono costretti a scendere.
Viene ospitato dalla coppia di donne a casa di una loro conoscente che, però, al momento non c’è. Scappa quasi subito e si ritrova in strada e da lì a poco nell’abitazione in cui esercita la professione una prostituta incontrata in strada. 
Assume medicine. Per non buttarsi da un ponte, dice. Ritorna in stazione, non è chiaro se la stessa di prima. Riprende un treno. Decide di scendere in una stazione qualsiasi e si avvia. Verso nord o verso sud sembra importare poco. Seguendo un viottolo arriva ad una casa.

Fatico a stargli dietro, forse ho bisogno anch’io di assumere delle medicine, che mi aiutino a non perdermi. O forse dovrei perdermi, invece. Seguire i percorsi di questo personaggio beckettiano. Non mi dà tregua, non un momento per respirare. Devo stare attento ad ogni dettaglio. Se solo mi distraggo un attimo rischio davvero di perdermi, di ritrovarmi in un luogo qualunque senza sapere come ci sono capitato.

Si addormenta su una panchina, sulla soglia della casa e viene aggredito e derubato da un terzetto composto da un uomo e due donne.
Sento il peso di tutte queste avventure, occorse nel giro di poche pagine. Tante storie in una. Non posso non solidarizzare con quest’uomo. Non mi sento di abbandonarlo. Ho deciso che lo seguirò con particolare interesse. Non voglio perderlo. Mi ha già conquistato. E poi, è visibilmente debole, indifeso. 
Pensa ad una dottorina che lo ha in cura. Anch’io voglio una dottorina, ma va bene anche una normale dottoressa, che si interessi a me. Forse perché ne ho proprio bisogno. La mia esistenza quotidiana scandita dall’assunzione di medicine vitali, chimiche o meno. Non so a quale scrittore rivolgermi per ricevere questa grazia.

È ancora in quella casa. Adesso i tre sembrano interessarsi a lui. Non è chiaro a quale scopo. Sono componenti di una commissione che monitora i progressi della malattia di quest’uomo che viene chiamato Mattia. Del nome sembra ormai convinto anche lui. Tenuto al guinzaglio e non solo dai farmaci, sotto stretta sorveglianza, ormai privo di volontà. Si lascia andare a tutto. 

Bello avere qualcuno che provvede sempre al posto tuo, che ti organizza la vita. È un pensiero che mi viene spontaneo. Ho bisogno di una guida, mi sto perdendo da tempo, ormai. Vago senza capire dove sto andando. Ho perso di vista i binari. Rischio di svanire per sempre, irreparabilmente. Non so se può essere considerato un dramma, una tragedia. Oppure attorno a me ci sarà l’indifferenza del mondo. 
Mattia, non ti scoccia, vero, se per un po’ mi sostituisco a te in questi vissuti assistiti? Poi ti renderò la palla. Ma per un po’ lasciami godere dell’attenzione che questi strani tipi stanno riponendo su di te. Lascia che sia io a continuare la tua parte. Nessuno se ne accorgerà. Un segreto solo nostro. Vedremo per quanto tempo sarò capace di interpretare il tuo ruolo. 
Sono ritornato in quella casa. Un po’ di attività fisica, tipo palestra, una doccia, e poi a sdraiarmi sul divano, a cui vengo assicurato con una catena d’acciaio. Sono finalmente contento di vivere questa esperienza. Sto entrando nella parte, un personaggio del mio autore preferito. 
Non ho dubbi, è Beckett che mi sta scrivendo. Che gioia eseguire i suoi ordini. Mi ha dotato dell’inadeguatezza tipica delle sue creature, e mi ci ritrovo alla grande. Mi sento davvero felice. 

Adesso Zoe, la nera del gruppetto, mi sta dando lezioni di sesso. Non ho mai imparato a farlo propriamente e questo è un momento importante, davvero emozionante per me. Ma non voglio darlo a vedere. Conservo ancora un po’ di dignità.
Mi chiedo se il fatto di essermi impossessato dell’identità di Mattia mi possa in qualche modo far apparire più credibile, più reale. Una domanda che sento di farmi anche se non so come rispondere.
È già tanto che mi vengano dei dubbi. Sento di aver fatto una buona parte. Trovare anche le risposte sarebbe chiedere troppo. Forse addirittura la soluzione ai problemi che ho poco chiari.

Zoe fa sul serio. Mi invita a provarci con lei. Devo fare pratica. Fra due giorni ho il primo esame. Katia, la bionda, mi chiederà il conto.
Mi rafforzo nella convinzione della mia incapacità. La prova è fallita. La catena d’acciaio la giusta ricompensa. Fortuna che Zoe mi libera. Con la sua jeep facciamo un giro per i campi. Stiamo fuori tutta la notte. 
Questi eccessi mi debilitano, o disabilitano. Devo riassumermi, sprofondare in me stesso per trovare le parole giuste per riuscire a descrivere certi momenti. Mi disallineano. Non sono io. Mi alienano. Cambio le vocali, poche consonanti, per provare ad esprimere il concetto. Ho una grande confusione. Come fossi in sogno. Mi disilludo. Mi destabilizzano, ecco.

All’alba ci fermiamo in un locale per i bisogni, le pulizie, la colazione, le mie pillole. Zoe è in bagno. Una donna mai vista prima mi convince a seguirla. Anzi no. Sta andando a B.. 
Le dico, mentendo, che anch’io vado da quelle parti. Le do una mano a caricare le borse sul camper e ci avviamo. 
Anna, questo il suo nome, fa la spogliarellista. Ha litigato con Antonio ed ha scelto la libertà. Non conosco il significato di questo termine. Anna parla in continuazione, mi interpella come per trovare conferma nelle cose che dice, un conforto sulle scelte compiute. Ma non è a me che deve rivolgersi per questo.
Sì, qualcuno che mi organizzi la vita, Anna, Zoe, va bene tutto. La lascio fare. Quello che ho sempre desiderato. Non dover pensare a niente. Mi ritrovo così iscritto ad un torneo di tennis e, intanto che mi alleno, la seguo nelle sue evoluzioni da spogliarellista. Mi ospita nel suo camper per la notte.

Sto vivendo la vita come un libro scritto.
Però faccio fatica ad essere Mattia quando si rifugia nel passato. Quando, cioè, suo padre, una guardia municipale, lo spronava a dedicarsi al tennis, con la prospettiva di diventare maestro. 
Non riesco a seguirlo. Scrive fiabe, la sua vita.
Non so se posso lasciarlo al suo destino, se ha ancora, oppure già, un qualche grado di autonomia. Se gli è sufficiente la compagnia di Anna per tirare avanti. 
Quanto a me, se Anna è d’accordo, potrei condividere un po’ della sua cura, o quanto meno della sua assistenza, disposto ad accettare qualche consiglio.
Cerco un modo per intrufolarmi anch’io nel teatro per vederla esibire in uno spogliarello da professionista. Forse però non facevo parte della storia. Al termine dello spettacolo, infatti, abbraccia solo Mattia. Di me non si accorge. Non mi nota nemmeno.
Ho fatto poche cose per il mio esclusivo piacere. Non ne ho ricordo. Non sono come Anna, io. Mai soddisfatto.
E poi, non mi chiedo molto su Anna. Ma nemmeno su me stesso. Viaggio sulla superficie delle cose. Non vado oltre. Raramente. Significa essere insensibile, oltre che depresso?

Quest’uomo non sa vivere. Al suo posto avrei fatto di meglio con Anna. Ma non ne sono sicuro. Intanto lui c’è. Quanto a me, posso solo dire che lo sto osservando nel suo presunto non saper vivere, mentre non fa quello che fa con Anna. Meglio non fare come lui, che almeno ha Anna piuttosto che fare quello che non faccio io che non ho Anna.
Sono un po’ confuso. Mi sembra che la giustapposizione con Mattia possa rappresentare un buon viatico per arrivare ad Anna. Dovrò curare questo rapporto per nulla disinteressato. Forse imparerò anche qualcosa ma è ad Anna che sto mirando. 
Mi dico che dovrei avvertirlo. Mi faccio sempre di questi scrupoli. Ma lascio cadere la questione. Mi affido al caso.
A volte non tengo conto di questi personaggi. Leggo seguendo semplicemente la storia. Senza considerare che quella gente è parte di me. Perdo così momenti di vita importanti. Le cosce rotonde, il culo sodo, il seno stellato di Anna. Perdo molto.

Il mio desiderio, forse piacere, sapere che Anna sta cominciando ad amarmi. Ad imparare ad amarmi. Lo stesso io. Lei ama un sogno, che con i miei gesti, cioè, le faccia compagnia. Almeno questo. Poi potrebbe venire anche altro. Non solo fitti scambi di battute, dialoghi, appelli accorati, la richiesta di un sorriso, di parole d’amore.
Questa sera mi ha chiesto di lasciarla da sola. Esce, dovrà vedere il gruppo di lavoro. Esco anch’io. Vado in giro senza una meta fino a quando capito in un bar. Tanto per fare qualcosa, dovrò aspettare almeno fino a mezzanotte prima di poter rientrare.
Un caffè e sono di nuovo fuori. Una sosta al circolo del tennis e ancora birra, insieme al custode, fino alla chiusura del locale. 
Si offre di accompagnarmi a casa con una vespa sgangherata. Come insetti attratti dalla luce in piena notte sbattiamo addosso all’auto di una prostituta attaccata al marciapiede. In tre si avventano su di noi e ci trascinano dentro un monolocoale. Non siamo nelle condizioni di affrontare la situazione che si è venuta a creare. Picchiati, percossi, derubati dei pochi averi. Instabili. 
Una delle tre, una con gli occhi a mandorla, mi prende per mano e mi guida verso un ambiente esotico, orientale. Facciamo sesso. Prima di uscire per ritornare da Anna mi porge un biglietto, non so se da visita. Comunque ci sono i suoi contatti e mi dice che vorrebbe rivedermi.
Ho le idee confuse, a dir poco. Ritrovo Anna sul camper, triste per quello che ha dovuto subire in occasione dell’incontro di lavoro. Pretese da parte dell’impresario, e poi ancora apprezzamenti rudi, lei che non sa difendersi.
Anch’io le racconto le mie avventure con tutti i dettagli. È il contesto giusto, penso. Infatti facciamo sesso come se niente fosse successo.

Qualcosa ricomincia a funzionare. Non so se attribuire questo progresso solo alle pastiglie, che comunque ho deciso di continuare a prendere. Mi aiutano. Anche nelle questioni sessuali. Avverto un miglioramento. Non solo nel tennis. Con Anna non me parlo. Non ne parliamo da quando abbiamo fatto sesso.
Mi rifaccio sotto con la ragazza orientale. Ancora sesso, ben riuscito. 

Penso che sia meglio che Mattia se ne stia al suo posto in queste ore. Mi sembra che interpretare il suo ruolo mi faccia davvero bene. Non so perché adesso mi è tornato in mente. Qualcosa mi ha distratto. Ma non voglio abbandonare questa parte. Mi ci trovo perfettamente. 
Aspetta ancora un po’, Mattia, resta al tuo posto. Mi farò sentire io. Mi piace l’euforia provocata dalle fantasie sessuali, vengono proprio bene. Tutti a cercare o crearsi una forma di benessere che non credevo potesse esistere.

È il mio tempo, non devo lasciarlo scorrere invano. Ho vinto anche il torneo di tennis. È un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, che le cose stanno cambiando. 
La parte in cui mi struggo, se lasciare Anna e ricominciare una nuova vita, istruttore di tennis, la lascio volentieri a Mattia. Lui sa di certo come farglielo capire, che non ho intenzione di seguirla nel suo nuovo lavoro, un altro teatro, un’altra città. 
Forse perché in me sta crescendo, sta prendendo sempre più corpo l’idea della ragazza orientale. Ma è solo un’idea. O forse no.
Vorrei fare quello che più mi piace. La guardia municipale mi ha allevato per questo. Il sogno si sta realizzando.
Anna è andata e già mi manca. Le pastiglie non posso smetterle. Comincia una nuova storia. Non solo istruttore di tennis. Non è solo il nuovo lavoro. Tutto è novità in questa città straniera.
Della vita precedente rimangono le pastiglie e, a volte, un ricordo, Anna, o la ricerca di quel che ero. 
Al cinema non ci andavo da una vita. Ritorno a casa, dormo in compagnia degli incubi, riflessioni profonde e poi, al risveglio, il caffè e un paio di pillole.

Le azioni che si ripetono ogni giorno sempre uguali, le istruzioni ai miei ragazzi, il sudore, la doccia, anche questa routine la affido a Mattia. Lui non si avvede di questi passaggi. Non c’è soluzione di continuità nei suoi momenti. Io di tanto in tanto ho bisogno di uno stacco. Vorrei essere altro.
Nel ricordo non c’è solo Anna. La donna dagli occhi a mandorla mi aspetta. Vado a trovarla sul luogo di lavoro, dove ci siamo conosciuti. È impegnata con un cliente. La cosa mi irrita non poco. Irrompo nella stanza, non sopporto la scena, non riesco ad aspettare, le grido addosso parole offensive. Qualcuno alle spalle mi afferra e mi sbatte fuori dal locale. 
Scappando incontro in strada un’altra prostituta. Mi accompagna nella sua stanzetta e mentre consumo altro sesso mercenario riaffiora il ricordo di Anna. Non dev’essere una semplice coincidenza se appena arrivo a casa mi raggiunge con una telefonata inattesa. Ha qualche giorno libero e passerà a trovarmi.

Non è sufficiente il soccorso di Mattia, che pure mi aiuta, a sopportare questa vita. Ci vorrebbe altro. Sogno di prendermi altre licenze. Non vorrei rimanere rinchiuso dentro una gabbia troppo stretta per le mie velleità. 
Anna non sa vivere senza me. Non l’avrei mai immaginato. Vuole parlarmi. Scappiamo dal circolo, andiamo via col camper. Di notte si blocca non so dove. È il momento di confessarmi che ha dovuto far fuori con una coltellata l’impresario, il proprietario del teatro dove ha lavorato gli ultimi giorni, perché ci stava provando in tutti i modi con lei. Per questo deve continuare a scappare. Si sta dirigendo verso G. il paesino dove abitano i genitori. Raggiungiamo la casa in cima alla collina. Anna mi presenta ai suoi.

Non so cosa sto vivendo. Forse non sono io. Forse Mattia ha ripreso il suo posto. Non esisto per gli altri. Sembro invisibile ai più. 
Usciamo per un giro in collina. Tutto appare come un luogo magico, forse stregato. Uomini come armati, acque dai poteri prodigiosi, un rifugio dove stare tranquilli e da dove allontanarsi senza più preoccupazioni. Non arrivo a capire tutto. O forse solo qualcosa. Chissà se anche Mattia.
Quell’acqua azzurra è miracolosa. Porta via i dolori, annulla le sofferenze. Ed anche i desideri.
Anna mi guida per il mondo. E a me sta bene così. Mi costa troppa fatica fare delle scelte. Si lascia cullare dal vento. Ci balla insieme in riva al mare. Mi piace osservarla. Continuo ad avvertire paure, nonostante l’acqua azzurra, ad avere desideri. Mi sento scoppiare. 

Fatico a trovare un modo, è difficile sintetizzare in poche parole le poche parole che il vento, no, che il mare, no, che Anna, no, che io, no, che i pensieri, no, non sono in grado di dire quasi più nulla. Mi perdo ancora a seguirla mentre danza col vento. 
Con lei tutto diventa più facile. Persino il vento, il mondo, la vita. Un gioco da ragazzi. Sono giri senza tempo quelli che sto facendo con Anna. 

Il vento si è trasformato in burrasca nel mare. Dalla taverna in cui ci siamo rifugiati, di notte arriva il bagliore freddo delle schegge di luce provocate dallo stridere delle onde. Un riverbero che circonda il corpo di Anna, che mi chiede di spogliarmi, di spogliarla. Ma si confonde, mi chiama Mattia. Non so cosa pensare. Non sono io e invece questa scena avrei tanto desiderato viverla io.
Al mattino ripartiamo. Anna sempre alla guida del camper, ancora fra strade tortuose, fra nebbie, raffiche di vento forse anche pioggia. Più avanti il paesaggio cambia. Tutto si fa calmo. Il silenzio incombe dappertutto. Probabilmente qualcosa che parte da lontano, da un orizzonte che appare infinito sul mare, arriva fino a me, fino a noi, ad assorbire tensioni.
Arriviamo in una baracca in riva al mare come dentro un sogno. Anche i fiori alla finestra non esistono. E neanche lo zoppo che li ha disegnati, un’idea di barbone, che si mette a parlare con Anna.
Non ho afferrato cosa di sono detti ma dopo un po’ l’uomo trascina la sua barca in mare, vi saliamo tutti e tre e arriviamo su un’isola che non avevo notato prima. L’uomo ci lascia lì e ritorna alla spiaggia da dove ci eravamo imbarcati.
Anna mi svela le sue intenzioni. Dice che nostro figlio nascerà su quest’isola, in compagnia di capre, galline, tra gli alberi e il suono delle onde. Ancora una volta è lei a decidere, anche quando non c’è. 
Quell’idea, nata, no, partorita, no, costruita, no, ideata, ecco, quell’idea è stata ideata altrove, dentro quella taverna. La notte d’amore, mentre fuori imperversava la tempesta.
Non l’avevo capito. Non avevo capito niente. O non volevo. O non ero pronto. Ho bisogno di Mattia. Anche Anna. Io mi faccio da parte. Una scelta non mediata. 
Ho qualche mese di tempo per preparare la fuga. Sto facendo pratica con una piccola barca abbandonata in mezzo ai rami sulla spiaggia. Giorno dopo giorno guadagno più convinzione, maggiore sicurezza, arrivo facilmente a remare. 
Anna, vorrei confessartelo, non ho il coraggio di essere il padre di tuo figlio. 
Ma nemmeno questo mi riesce.

Sono già al largo anche se non so dove dirigermi. Non so come orientarmi. Dopo ore solitarie, lunghissimi giorni, non so quanto tempo su quella barca, la decisione è presa. Mi lascerò andare. Mi lascerò finire in mezzo all’infinito. 
In un’alba inattesa, forse dal fondo di un incubo, si fa incontro un battello di turisti. Mi carica su. Non capiscono cosa hanno pescato, se un pirata o un naufrago. Mi rinchiudono dentro una grande gabbia per uccelli. 
Divento lo zimbello di tutti. C’è persino chi mi fotografa, come fossi chissà che strana creatura esotica. Intuisco che questi comportamenti rispondono ad un bisogno di creare un mondo inesistente, così da poter raccontare al ritorno di pericolose avventure vissute nel mezzo di un oceano, di emozioni mai provate prima. 
Mi accorgo che la gabbia non ha serrature. Esco e ritorno tra la gente. Scaduto il tempo della cattività, vengo accolto come uno di loro. Ritorno alla normalità.
Sbarco e penso di ritornare a B. dove mi aspettano moglie e figlio. Mi avvio con una bicicletta raccattata non so dove. Arrivo, a fatica, dopo ore di enormi sforzi, sudori e pedalate, in una città. Non so dire quale.
Ho finito da un po’ le pillole. Scorgo una farmacia, mi trattengo davanti alla vetrina. Non ho più forze. Crollo stremato. Mi raccoglie un poliziotto e mi porta in ospedale. È come ritornare in un rifugio, dove si aggirano figure note, in luoghi familiari, da cui non mi sono mai allontanato.
Mi rimettono in sesto. Ho ritrovato le pillole, il mio rimedio contro la depressione e non so cos’altro. Mi sento di uscire. Di scappare anche da questo carcere, un’altra gabbia. 
Ma non sono io. E me lo chiedo, chi sono. Paolo, no, Antonio, no, Mattia forse, non ricordo più il mio nome.
Ho addosso i vestiti di un altro degente rimasto rinchiuso in ospedale. 
Nel cappotto un documento con un nome, Joannhes. 
Un bel nome, mi piace. 
Esco nell’aria fresca. Per quest’altro viaggio chiamatemi Joannhes.


Carmelo Conforto
L'uomo che inghiottì una guardia municipale
IBISKOS EDITRICE


domenica 21 luglio 2019

Cara amica - 5

Descrivere la vita mentre la vivo. Raccontarla nei minimi dettagli. Ma non sempre mi riesce. Non dico raccontarla, quanto viverla.
Vorrei descrivere tutto al presente. Perché poi non ricordo niente. Oppure perdo tante cose.
Quando penso di essere con lei, quando immagino i dialoghi, mi sembra di essere dentro un libro, dentro una storia già scritta. Capita a volte anche l’opposto. Che quando leggo, cioè, vedo nelle pagine scritte la nostra storia.
Insomma, ho la sensazione di essere sempre nei posti sbagliati, che non sono poi molti, giusto quei due o tre luoghi, fisici e non solo, fra l’altro confusamente assimilabili, in cui trascino la vita praticamente da un’eternità impassibile. O impossibile?
Alla lunga mi persuado di non avere niente da giustificare nei miei comportamenti. Forse solo perché non so, cioè non saprei come farlo. 

Quando leggo, il momento in cui sono più sicuro di vivere. E quando sono in contatto con lei, che anche quando non c’è, comunque in me lavora in background, non si allontana mai, mi riempie la vita persino nel sonno, anche nei sogni.
Mi dice che non spiego mai niente, che di certe cose con lei non parlo mai, oppure che ne scrivo soltanto. Che sono pudico, ma non sento la sua voce, so però che si riferisce di certo ad argomenti di natura sessuale, così li definisce. 
Ma io mi trattengo, sono discreto, non uso certi termini, e forse invece dovrei, ci sono nel vocabolario, fanno parte della lingua, parlata e non, e dovrei provare a dirglielo, tanto per cominciare, che vorrei farmi una bella scopata con lei, che vorrei che me lo prendesse in bocca e ci giocasse, dovrei provare ad essere più esplicito, senza bisogno di giustificazioni. 
Ci ho anche provato a dirglielo, anche senza usare questi termini, ma dovrei liberarmi anche nell'uso della parola. Forse riuscirei ad ottenere qualcosa in più che un semplice …

mercoledì 10 luglio 2019

Cara amica - 4

Cara amica, ho indugiato un po' prima di riprendere a scrivere perché il caldo non mi ha lasciato scampo. Perché ho aspettato che la lieve brezza del mattino mi consentisse di respirare 
E poi, i tuoi occhi di miele mi fanno perdere la concentrazione. Più passano le ore più ci sprofondo ad una velocità incontrollabile.

Ho la sensazione che debba giustificare qualche comportamento non del tutto corretto. Un sentirmi eternamente in colpa per qualcosa che non so, che forse non ho nemmeno commesso. 
Vivo così da tempo. Un senso di colpa a prescindere. Ho poche certezze. È un grosso problema questo mio modo di sentirmi.
A volte non ho chiaro chi sia il destinatario di queste mie riflessioni. Potrebbe essere chiunque. Non una caratterizzazione ben definita.
Ancora una giornata nulla. Un altro giro di giostra, suggellato da un’altra luna nuova, l’ennesima. Quante dovrò viverne ancora? Mi stancheranno prima o poi. Mi stancherò.

Mi ha confessato che le manco. Che vorrebbe vedermi. Forse più spesso. Mi ha detto tante cose negli anni. Che vorrebbe fare l’amore con me. Che vorrebbe un figlio. Che nel suo progetto di famiglia ne vorrebbe anche più di uno. Ha già scelto i nomi. 
Mi ha detto che mi ama. Io non so se crederle. Non so se davvero qualcuno è mai stato interessato a me, alle mie sorti. Se qualcosa ho rappresentato per chicchessia. Sembra sincera. Ma non sono pronto o non mi sento all'altezza. E forse nemmeno lei. 
Cosa ce ne faremmo allora dei nostri corpi? Cosa delle nostre storie? 
Non mi sento di abbandonarmi a lei. Di darmi a lei. Anzi, a nessuno, a dire il vero. È già tanto che riesca a sopportarmi così come sono.

Si sveglia di notte per comunicarmi tutto questo. Mi sveglia di notte. Non so che fare.
Tutti sanno cosa fare. Solo io arranco, ed anche con enorme fatica. Pochi passi. Solo qualche pagina stanca. Mi riprometto di non mangiare più. Cioè, di mangiare il minimo indispensabile per sopravvivere. Ma non mi riesce bene nemmeno questo. Sto aumentando di peso impercettibilmente. Devo correre ai ripari. O forse sarebbe sufficiente correre e basta. Ma mi manca la forza ed ho tanta confusione in testa.

Vivo un’altra vita quando leggo. È il mio sballo preferito. La lettura mi porta lontano. Non c’è niente di tutto il resto. Né giorno né notte. Né fatica e nemmeno il lavoro, il domani. Ed è sempre più così. Il tempo della lettura non è per nessun motivo tempo sottratto alla vita. Tutt'altro. Esisto solo in quei momenti. E un po’ anche quando dormo, nei sogni. Mi chiedo se sia normale.
Ma leggo non per imparare. Solo qualche suggerimento per una vita meno arida. Per trovare qualche risposta di cui appropriarmi o da rivendicare come mia quando voglio fare una battuta un po’ originale, più o meno intelligente che la faccia sorridere almeno un po’. Faccio la mia bella figura. Tanto, non lo scoprirà mai. Legge altro.
Ho bisogno della lettura, la mia unica cura. Me la somministro in varie dosi nel corso della giornata. Prima o dopo i pasti. Prima e dopo i pasti e, a volte, anche durante. Pastiglie, compresse, pillole, capsule in blister, sciroppo, in fiale, in crema, in vena. Comunque e ovunque. Rimedi vitali. Farmaci essenziali.

Siamo come amici che si raccontano delle cose, anche intime. Però a volte non riesco a raccontarle nemmeno a me certe cose. Per questo provo a scriverne ma alla fine di ogni lavoro mi accorgo che non ho scritto niente, che ne so meno di prima.

Ho più di una donna in testa. A volte nello stesso tempo. Ma non riesco a star dietro neanche ad una. Dovrei adeguarmi ai loro linguaggi, ogni volta diversi. Dovrei seguirle in tutte le loro metamorfosi. Cambiano anche a seconda del momento della giornata in cui leggo. E anche a me piacerebbe sognare di essere un uomo. Di quelli veri. 
Quando ancora facevo l'amore non sempre ero soddisfatto. Non capivo nemmeno se l’accompagnatrice di turno aveva tratto un qualche piacere da quel rapporto. O forse non volevo saperlo. Mi illudevo che tutto era andato bene, almeno per lei. 
Non ero di quelli che, una volta finito il rapporto sessuale, aveva subito voglia di ricominciare. O forse sì, però non c’erano le condizioni. Avevo bisogno di un lungo periodo per ricaricarmi, che poteva durare anche giorni. 
Nei momenti migliori, quando le energie fisiche e soprattutto mentali in qualche modo mi soccorrevano, andava bene se il giorno successivo ero pronto per un’altra impresa sessuale. Altrimenti poteva passare tanto tempo, con la conseguenza che il rapporto si raffreddava e mi toccava cominciare di nuovo dall'inizio e prima di un'altra scopata ce ne voleva.
Non doveva essere così una storia. Anche nell'immaginazione doveva essere diversa. Non che sia esperto di queste cose, però mi pareva che dovevano prendere un’altra piega. Invece, anche in queste situazioni, le solite incapacità.
Vorrei sceglierne una e continuare con lei. Solo con lei. Non so già per quanto tempo. Non ancora. Quella con gli occhi di miele, ad esempio. Quantomeno riesco facilmente ad identificarla. Adesso non so dove sia.  Vorrei un abbraccio, per sondare la consistenza del seno.
È un termine di confronto che ha la sua utilità. Dai, mi viene da chiederle, fammelo vedere, tanto per cominciare. Poi passerò alla fase due, che non ho ancora programmato, però a quel punto penso che dovrebbe venire naturale. Una seduta di sesso, intendo. Del resto, non abbiamo altro o molto di cui parlare. Mi piacerebbe anche introdurre nuovi argomenti, mai affrontati, però lei non è che abbia tutta questa gran voglia di parlare.

(continua)

lunedì 1 luglio 2019

Cara amica - 3

Cara amica, mi piacerebbe uscire fuori dai confini. 
Mi sono svegliato con questo pensiero oscuro, con questa frase in testa. Evidentemente di notte si è fatta strada e si è mantenuta in posizione di pausa fino al risveglio, fino a svegliarmi. In attesa di manifestarsi del tutto. Di uscire. Precisamente dai confini limitati della sfera dell’incoscienza, per palesarsi come una necessità prima ancora che come un invito. 
Sì, vorrei valicare i confini del lecito, quando penso a te, quando parlo di te, quando mi rivolgo direttamente a te perché non so farlo quando mi sei vicina. E allora vorrei dirti tante cose, a partire da quelle due parole che non mi escono, Ti amo, di cui un giorno forse riuscirò a capire il vero senso, l’autentico significato. Per poi proseguire, e provare a spiegarti qual è il modo in cui effettivamente mi piacerebbe amarti. 
La lenta trasformazione dovrebbe avvenire dentro me. Non riesco a coinvolgere nessun altro. Quando ci provo perdo il senso dello stare al mondo. E non c’è nessuno che possa aiutarmi in questo.
Vorrei parlare con te oppure raccontarti in qualche modo i nostri dialoghi.
Ma penso che occorra recuperare un po’ di amore, almeno un po’. Perché ci possa essere amore, mia cara amica, devo rinvenire la possibilità di scrivere una storia. Forse non l’avevi capito. E come potevi? Non ti ho mai parlato della mia passione. Col tempo è diventata qualcosa di più coinvolgente. Al punto da succhiarmi ogni briciolo di energia. Non vedo il mondo diversamente. 
Tu fai parte di questa storia, un personaggio di un romanzo senza fine. Talmente dentro che anch'io non riesco più a trovare la via d’uscita. Ho paura di abbandonare questo mondo. Non vedo niente fuori. Niente di degno di essere vissuto. Per questo vorrei stare con te. Adesso ci sei tu. Adesso sei la mia morte. Non so vivere senza di te. Mi capita spesso, o forse sempre. Ho bisogno di annullarmi come essere per poter ricominciare altrove. Non sto bene in questa vita. Non sto bene in questo mondo. Ho bisogno di fissare questi momenti. O potrei non incontrarti mai. Mai più. Per questo ti sto scrivendo. Sento nascere dentro me questo intreccio che riesco a sbrogliare solo raccontandoti.

A volte la menzogna è la più grande verità. O se non esattamente la più grande, per lo meno quella più accettabile. Ci faccio i conti di frequente con questa convinzione. E alla fine mi accorgo che si tratta di calcoli esatti, sia pur con una certa approssimazione. Quel margine di errore, l’idea di correggere le sbavature e le imperfezioni è ciò che maggiormente mi dà la forza di continuare. La prospettiva, cioè, di non dover più seguire l’esempio degli altri, ma di fare finalmente di testa mia, di assecondare solo le mie idee. Segno che dovrei averne ancora qualcuna degna di essere perseguita.

La menzogna è quello che vivo quando penso di essere con lei e che invece, anche quando ce l’ho di fronte, è come se non esistesse perché se anche ci parlo, se anche mi parla, sto pensando ad altro, sto cercando di capire come fare per trovarle un posto o un ruolo nella storia che ho in mente. 
La menzogna è non vivere proprio mentre sto vivendo. Sperimentare una dimensione diversa da quella in cui sono immerso. Tutto questo io lo considero un grande imbroglio. Imbroglio sono io, imbroglio è lei, imbroglio sono gli altri, chi assiste a questa scena, imbroglio chi sta scrivendo questa storia, imbroglio persino chi la sta leggendo o si appresterà a breve a farlo.

(continua) 


martedì 25 giugno 2019

Cara amica - 2

Adesso non mi serve altro. Sento di poter scrivere per settimane e settimane e raccontarti di me e di come ti ho desiderata. Di come ho vissuto male questo tempo, solo perché avevo voglia di stare con te e non riuscivo a dirtelo o, quando provavo a farlo, c’era sempre un motivo, più o meno plausibile, per non farlo. 
Come sono stato male! Ed oggi, che sto per svelarti tutte le mie paure, mi sembra di partire per un viaggio senza una destinazione certa. Potrei trovarmi talmente bene che l’andare, l’eterno andare, potrebbe costituire il mio modo di essere fino alla fine dei miei giorni. 
Che sciocchezza! Come potrei mai vivere una vita d’amore con te se partissi e restassi sempre in viaggio senza mai raggiungere la meta? C’è qualcosa di paradossale in tutto ciò. Di contraddittorio, persino.

Io volevo entrare nella tua intimità e questo fin dall'inizio e a prescindere da ciò che questi pensieri volevano significare. La frase in sé mi piaceva e me la ripetevo spesso. Però poi le parole non bastavano più e sentivo il bisogno di tradurre questo desiderio in fatti concreti, che però non sapevo quali potevano essere o come realizzare.
Io volevo essere te. Sentire non solo la passione per te, ma anche capire come tu vivevi la tua passione per me, che immaginavo grande.
Ho bisogno di te come dell’aria che respiro. Chissà che effetto ti farebbe sentire queste parole rivolte direttamente a te. Proverò anche questo, un giorno. Devo tentare in ogni modo, vagliare tutte le possibilità per arrivare a te.
I miei pensieri non sono molto profondi, però a volte sembra che vadano in una direzione abbastanza chiara. O monotematica. È il vizio di te, che mi porto dietro fin dall'inizio, fin dagli albori della nostra conoscenza. Un desiderio che mi tengo dentro e spero di poter esternare, e anche con una certa quota di successo.

Essenzialmente l’esito di questa ricerca dipende da me, lo so, e dall'impegno che profondo nella relazione che intendo instaurare con questa donna. Nelle mie fantasie sono già arrivato ad un punto finale. 
Ma non deve essere una cosa positiva. Dopo la fine rimane ben poco. Ed allora, nella realtà dovrò fermarmi un attimo prima, per conservare quell'aspirazione all'eterno infinito che sta diventando il mio chiodo fisso.

Vorrei mettermi nei tuoi panni. Ma solo per togliermeli appena sono davanti a te, cioè a me. Allora sì, potremmo cominciare a ragionare, potrei finalmente vedere più chiaro, vederti più distintamente, senza fronzoli, senza impedimenti. Capire l’assoluta sfericità dei tuoi seni, non solo immaginarne la perfetta rotondità che mi fa turbinare la testa o, più verosimilmente, volgere gli occhi da un’altra parte, perché non è che posso stare con lo sguardo fisso a quella scollatura ogni volta più ardita. Un’occhiata di sfuggita, come distrattamente, di tanto in tanto, può anche starci, ma gli occhi fissi da quelle parti mi farebbero passare per un demente, e forse anche per un maniaco, pronto da un momento all'altro a saltarti addosso. Che potrebbe anche non essere un male, dopo tutto, ma non davanti al pubblico, non in un luogo frequentato.
Spostiamoci, andiamo da un’altra parte, in un sotterraneo, in un bagno, per cominciare. Poi si può cambiare posto, se preferisci, ma intanto, per i primi approcci, vanno bene anche gli spazi angusti di un ufficio pubblico. Le passioni e gli impeti si controllano appena nei primi momenti e c’è bisogno di un luogo più ampio perché si possa dare libero sfogo agli istinti.
Sto lavorando per ricostruire quei momenti.

Cara amica, tu sai come sono andate le cose. C'è bisogno che te lo ricordi? Cos'è rimasto in te? 
Non vorrei, però, pensare a te solo come una possibilità per un’altra storia, materiale per un nuovo racconto. Non ti avrò dato questa sensazione, spero. Mi auguro piuttosto di essere riuscito a mascherare abbastanza le mie reali intenzioni. In fondo io esisto e continuo a vivere solo fin quando rimarrai nella mia mente. Dopo non avrà più senso continuare.
Voglio sentirmi libero quando scrivo, almeno in quei momenti. Per questo voglio dirti tante cose ancora. Ma forse non ho nemmeno cominciato, a ben vedere. Voglio esprimere tutto quello che sento con le parole che conosco o anche con quelle che non conosco, che inventerei per l’occasione. 
In qualche modo dovrò pur dirti che ti amo e questo …

(continua)

domenica 23 giugno 2019

Palermo



Il tempo è bello, ma non in questa città. 
Adesso mi trovo in vacanza. Ancora un’isola. Ma questo importa poco. Che sia un’isola, voglio dire. Ciò che è fondamentale sapere per capire il senso della storia è che sono altrove, non nel luogo da dove fingo di scrivere. E piove, forse, anche in quel luogo. Devo convincermi che sia così, altrimenti mi confondo e faccio una cattiva figura col resto del mondo.
Come parlare di questa città? Della pioggia mi importa poco. Si tratta solo di un episodio. 
C’è stato un tempo in cui Palermo è stata capitale di un impero vasto e variegato. Ne restano segni visibili dappertutto. Alcuni evidenti, edifici ben conservati e oggetto di costante manutenzione. È un mondo come tanti altri. Dove transitano i turisti si nota la cura e l’attenzione degli amministratori. Luoghi meno fortunati, con poche attrattive, risentono della trascuratezza e sembrano deperire inesorabilmente, soggetti alle incurie del tempo. È così dappertutto.
Sento dire dai locali che la città da alcuni anni sta andando incontro, sia pur lentamente, ad un processo di rinascita, di valorizzazione di punti prima trascurati. 
Ci sarà ancora tanto da fare per far rifiorire le tantissime bellezze del passato, un numero esagerato di chiese, di cappelle, di edifici pubblici ma anche privati, che necessitano di costante manutenzione. Tanta ricchezza rischia di perdersi giorno dopo giorno e non basta la buona volontà ad evitare il progressivo decadimento.
Occorrono settimane per visitare Palermo. Per farsi una sia pur vaga idea del patrimonio artistico, culturale, religioso, umano che conserva. 
Da queste parti ogni pietra cela un brano di cultura, a volte millenaria.
Vorrei nascondermi negli interstizi dei palazzi per poter continuare a respirare quest’aria. Imparare a vivere dei ricordi del tempo. Non so come ciò possa succedere. Dovrà pur esserci un modo per mettere in pratica questo pensiero. 
Forse mimetizzandomi tra le tessere dei mosaici dorati senza farmi notare e da lì, da quegli angoli, sondare i sentimenti dei turisti, di qualcuno in particolare. Deciderò col tempo, con la pratica, con l’esperienza.
Vedere il mondo con gli occhi di un leone. O di un santo. E visto che potrei scegliere, addirittura con quelli del Pantocratore. Anche per capire l’effetto che fa.
Da lassù potrei vedere tante più cose. Forse tutto. 
Vorrei un'altra vita.

martedì 18 giugno 2019

Cara amica - 1

Cara amica, 
ma lo siamo davvero, amici? O, per lo meno, tu lo sei? E poi, Cara amica, perché così? Perché non evocarti per nome, col tuo bel nome? Ho ancora qualche ritrosia che non so giustificare a pronunciarlo, come se al solo compitarlo mi esponessi a chissà quale, stavo per dire infamia, ma quale accento infamante potrà mai rinvenirsi nel dire quello che dovrebbe essere la cosa più normale, chiamare, cioè, una persona col proprio nome? 
Non so come definire questa sorta di bisogno che avverto ogni volta che mi rivolgo a te, quello di nascondere il tuo nome. Ma non solo il nome, perché i segreti, soprattutto i miei, quelli che fino ad oggi sono degli autentici misteri e che non ho inteso svelarti, sono davvero tanti, e forse la nostra stessa relazione è stata condizionata fin dall'inizio proprio da questa verità mai detta e mai rivelata. 
Ma tu ti sarai già informata a tempo, avrai di certo provveduto a chiedere notizie in giro su di me e sai già tutto, o almeno quello che più ti interessava sapere. E se è così, allora la figura non del tutto bella l’ho fatta proprio io, che in questi anni sono passato per quello che voleva provarci in tutti i modi con te, a prescindere dalle mie relazioni.
Ma vorrei tornare al motivo iniziale di questa lettera e riprendere le parole con cui avevo cominciato, Cara amica, per dirti che sì, anche a me piace ogni volta vederti e mi piace ascoltarti quando dici che anche tu mi incontri sempre con piacere. Ma vorrei aggiungere che tutto questo non mi lascia soddisfatto, semplicemente perché non mi basta più. Ed è per questo che vorrei comunicarti che invece io non voglio vederti più.
Tutte queste cose me le dicevo fra me e me. Ma non sempre vi prestavo ascolto, non ci ponevo la dovuta attenzione e presto finivano in un luogo che non ritrovavo più, dimenticate forse per sempre, mentre lei mi stava davanti chiedendosi perché, come mai non rispondevo alle sue domande, alle sue sollecitazioni.
Quello che intendevo dire era che a queste condizioni non volevo vederla più. 
Se le cose potessero cambiare allora sarei l’uomo più felice della terra. Felice di vederla sempre, di incontrarla ovunque, di parlare apertamente con lei per dirle tutto quello che avevo sempre pensato e che continuavo a pensare, anche se non si trattava di un’attività consapevole, una razionale, perché nell'amore c’è poco o nulla di tutto questo ed io, si sarà capito ormai, io quella donna l’amavo, l’ho amata dal primo momento che l’ho vista e volevo darmi l'opportunità di dirglielo direttamente, senza tanti preamboli come pure mi capita quando mi soffermo a ragionare. Ma non c’è niente da ragionare, invece, nessun calcolo.
Cara amica, da oggi in avanti vorrei sentirmi libero di dirti, Amore, come la cosa più preziosa che abbia mai avuto, e di toccarti, di sentirti mia, tutta mia. Te lo dirò un giorno, stanne certa, e quel giorno sarò finalmente felice. Non avrò più niente da nascondere, soprattutto a me stesso, perché avrò ritrovato, o meglio, trovato, quella felicità che rincorrevo da anni, ma posso tranquillamente dire anche da decenni, senza tema di sbagliarmi. 
È una vita che spero di trovare un amore e una volta che arrivo ad accarezzare l'idea di poter vivere la vita che mi rimane in compagnia di una persona amata non vorrei fare l’errore di sbagliare mossa e rovinare tutto. Aspettami, arrivo, alla prima occasione utile sarò da te. Anzi, l’occasione, se non esiste, me la invento, la trovo senz'altro e anche se non sembra a prima vista utile, lo diventerà presto anche solo per il fatto che al fondo dei miei obiettivi ci sei tu e solo tu.
Cara amica, io non sono io. Ma tu, adesso, o ancora, non lo sai. Capirai meglio più avanti, quando riuscirò ad aprirmi del tutto, ho bisogno di tempo, come un buon vino invecchiato che deve essere stappato con un certo anticipo perché si possano apprezzare tutte le qualità ed assaporarne i sentori trattenuti a lungo. Ma l’attesa non è stata vana. È servita per far maturare il gusto che verrà apprezzato nel calice appropriato, dopo la giusta fase di decantazione. Così è il mio sentimento per te. Ha bisogno di tempo per trasformarsi in amore puro.

(continua)

mercoledì 12 giugno 2019

Programmazione

Non ce la faccio più a programmare la vita fin nei minimi dettagli. 
Sempre un appuntamento da rispettare, un incontro da prevedere, un lavoro da fare. Sempre una data in cui dover fare qualcosa che altri hanno previsto per me o insieme a me. 
Vorrei che venissero aboliti gli appuntamenti, le date, i calendari, le programmazioni. Non riesco a star dietro a tutto. Entro in ansia. Mi prende il panico al solo pensarci, vivo uno stato di disagio, la mente non funziona, perdo la capacità di concentrazione, vado in totale confusione. 
È un disagio che non so gestire, ho bisogno di calma e la calma per me è non fare niente, non dover pensare a niente, non pensare affatto. Vivere e basta. E forse nemmeno quello. L’ideale sarebbe non dover vivere.
Invece, programmare le ferie in ufficio, una cosa del tutto normale ma che ogni volta si trasforma in incubo. Non è questo il mio modo di concepire la vita. Eppure, sono anni ormai che mi sottopongo a questo gioco, o forse dovrei dire giogo.
Piove da giorni, forse è anche questo tempo che mi dispone male nei confronti dei doveri, di questi appuntamenti. Non sembra voler smettere, potrebbe continuare così ancora per settimane, nonostante stia per finire maggio e tra poco dovrebbe arrivare la stagione estiva. Di questo passo potrebbe non arrivare. Forse quest’anno l’estate si prenderà una pausa, il suo anno sabbatico, almeno una volta nella vita. Ma nella vita di chi?
Pioviggina stupidamente ininterrottamente.

Ora il clima sembra essere cambiato, per fortuna, e le cose vanno indirizzandosi per il meglio, o per il verso giusto. Gli uccelli, grandi e piccoli, girano con minor peso sulle ali. E persino qualche raggio si affaccia a verificare la condizione della città. 
Si vedono i tetti rossi lievemente screziati da qualche vago baluginio. E i piumini delle piante si sollazzano stancamente nell'aria resa più chiara da una bava di vento che si è ormai placato. 
Sembrava un ciclone nei giorni scorsi o, più verosimilmente, un temporale di modeste dimensioni.
Può succedere comunque che le nuvole comincino ad appesantirsi a dispetto delle previsioni o delle generiche condizioni, tipiche di questo periodo dell’anno. 
L’imprevisto è sempre dietro l’angolo, anche se l’idea di un angolo nel cielo può apparire bizzarra.
Le piante cresceranno con maggiore convinzione e vigore.
Le previsioni si sbaglieranno ancora per molto, adesso piove a dirotto. Un acquazzone non annunciato. 
Era così la situazione climatica e continuò su questa falsa riga per un bel po’ di giorni. Non era difficile immaginarlo. Bastava vedere il cielo che negli ultimi tempi non era riuscito a liberarsi del tutto delle nuvole per un periodo ragionevole. 
A cielo aperto. Adesso vado, nonostante la pioggia. Tanto, sono in macchina e non dovrei bagnarmi. Solo il tratto per arrivare al parcheggio, che non è tanto.

lunedì 3 giugno 2019

Mafaldina - 4

Ispirami, le chiesi per l'ennesima volta. 
Ormai non ricordo più quante volte l’ho importunata su questo argomento. Non perdo occasione di farlo continuamente. Un po’ anche per gioco, mi piace scherzare, prenderla in giro, a volte fino a farla indispettire. 
Mi dispiace, però, quando reagisce così, forse perché non mi avvedo che sto esagerando e a tirare troppo la corda va a finire che poi si spezza. Ma io lo faccio anche per stimolarla, e lei a reagire invece con fare stizzoso, Ma non riesci proprio a trovare un metodo più umano, a volte usa anche il termine, offensivo, e così, Non riesci ad essere meno offensivo. 
Ma come può pensare una cosa del genere? Lungi da me dal volerla ferire. Io la amo questa ragazza, a modo mio, però, che, posso capire che non sia condiviso del tutto e forse nemmeno in parte da lei, però, io così la sento vicina e nelle mie fantasie vorrei sentirla ancora più vicina, vorrei trattenerla in modo che non scappi, che non sfugga, perché sento che se solo si dovesse allontanare un po’ potrei cominciare a sentirmi veramente male, potrei avvertire tutto il vuoto della mancanza del terreno sotto i piedi. Mi sentirei di precipitare dentro un abisso anche restando disteso, anche ad occhi chiusi, anche al buio. Tutte le fobie si impadronirebbero del mio corpo e ancor di più della mia mente. Sarei un nulla, un uomo finito.
Questa donna mi fa soffrire tanto. La sua assenza mi pesa, sta diventando giorno dopo giorno insostenibile, Dovrò trovare un modo per far sì che si manifesti ad ogni mia richiesta, un motore di ricerca vocale che al solo pronunciare il suo nome, o anche solo la prima sillaba, capisca che la sto cercando, che ne ho un disperato bisogno e me la faccia trovare all'istante, in tutta la sua esuberante bellezza, in tutto il suo luminoso splendore, pronta e soprattutto disponibile ad esaudire ogni mia esigenza, ogni mio bisogno. 
Così la vorrei, come un sogno, niente a che vedere col libro dell’inquietudine. Quello che vorrei realizzare è un libro dei sogni, la mia vita con lei, ogni momento insieme a lei.
Invoco la sua presenza come si cerca una vita, un motivo per continuare.

Lei, come tutte le donne, sa come tenermi continuamente sotto ricatto, conosce i miei punti deboli. 
Sa che per lei sarei disposto a tutto e così si permette di fare il bello ed il cattivo tempo in ogni circostanza. 
Sa che più di un certo tempo non riesco a resistere alla sua assenza e che non sono credibile quando le dico che non voglio avere più niente a che fare con lei. 
Sa che sono ridicolo quando minaccio di non scriverle più, di non rispondere ai suoi messaggi, alle sue richieste, o solo a quelle più assurde. 
Basta poco per vedermi di nuovo, una semplice foto, un sorriso, un’acconciatura diversa, anche solo perché possa contestare il nuovo taglio di capelli. 
Lei è sempre la stessa, certo, casta ed illibata come prima e, se possibile, anche più, convinta o forse fissata che per niente al mondo varrebbe la pena perdere la verginità, se non per l’amore di un’intera vita, il solo ed unico amore che, forse, un giorno arriverà, che spera di riuscire a trovare. 
Io non so bene come è successo, non so cosa mi fa questa donna. So che mi ha stregato, sono drogato di lei, non riesco facilmente a farne a meno e anche quando sembra che me ne dimentichi, poi, succede che in qualche modo del tutto inesplicabile ritorna. Bastano anche poche parole alla volta, ad esempio, Ci sono giorni in cui il bisogno di averti vicino a me è fortissimo, oppure, Stamattina avrei proprio bisogno di te, o anche, semplicemente, Mi manchi, che poi non è chiaro a cosa dovrei servire, non so immaginarla, vorrebbe fare l’amore appena sveglia? Per cominciare bene la giornata? Ma è un desiderio che non posso esaudire.
Anche se al solo pensiero comincio ad eccitarmi, ma presto finisce là, non riesco ad andare oltre. Sento solo qualcosa sommuoversi dentro, un tremolio di risveglio in mezzo alle gambe, una conferma che ancora c’è vita da quelle parti, la qual cosa mi fa ben sperare. Ma sperare in cosa?
Sì, decisamente, anche lei sa tenermi legato a sé, ed anch'io faccio la mia parte, cioè, non faccio niente per evitarlo, ci metto del mio, non mi tiro indietro, non mi lascio ripetere due volte certe sue insinuazioni, la capisco e mi capisco. 
Quel che mi risulta invece difficile da spiegarmi è perché debbano esistere due mondi così distanti e così infelici allo stesso tempo. Non sarebbe più utile accoppiarsi finalmente e … ma non so a chi mi sto rivolgendo, a chi sto indirizzando queste domande, a chi sto esternando i miei dubbi. Solo parole al vento visto che nemmeno io avrò il tempo e, quand'anche, forse nemmeno la voglia di tornare su tutta questa massa di parole per rileggerla.
Sarà anche per questo che scrivo in maniera quasi incomprensibile, intendo dire dal punto di vista della grafia? Non saprei, a dire il vero, perché poi, a volte, e non so spiegarmene la ragione, faccio una foto di questi fogli e la mando a quella ragazza, sì, proprio a lei, come volessi continuare ad avere un rapporto di qualche tipo, almeno epistolare, se non posso averlo in altri modi, e lei non riesce a interpretare la scrittura, fa una fatica immane ed allora me lo chiede, mi dice, Ma cosa hai scritto, non si capisce niente, o meglio, non tutto, perché qualcosa riesce a intuirla ed allora comincia a trascrivere quello che riesce a capire lasciando dei vuoti o dei punti di sospensione laddove il testo le risulta oscuro e mi invia il tutto con l’intenzione di smuovermi dall'apatia in cui a volte sprofondo, cerca di sollecitarmi una risposta, che dovrebbe consistere nel riempire i puntini, proprio come certi giochi enigmistici, per arrivare al testo completo, così che possa capire tutto quello che ho scritto.
Va avanti così il nostro rapporto, la nostra storia, come un gioco, un passatempo, che non ho ancora capito a cosa potrà mai servire, né se avrà una qualche fine.
Non so come se lo immagina un rapporto sessuale con me e non so nemmeno come lo immagina con un qualsiasi altro uomo. Ma forse sono io che non riesco ad immaginare come potrebbe essere un rapporto con lei e, come ormai più volte evidenziato, non saprei da dove iniziare. 
Ma a questo punto credo che le eventuali difficoltà potrebbero sorgere con ogni donna, e dire eventuali significa essere ottimista, perché invece penso che siano vere, sicure, autentiche. Quanto all'ottimismo, poi, non riesco proprio ad immaginarla la fila di donne in attesa per me.
Cosa me lo fa pensare? Quale elemento mi fa essere così sicuro di questa affermazione? Non esiste un resoconto approfondito dei nostri incontri. Tutto sembra rimanere nel vago, in un’incertezza sospetta, come se più in là di un certo punto la fantasia non riuscisse ad andare, come se ci fosse un blocco che mi impedisse di esprimermi.

(continua … forse)

sabato 1 giugno 2019

Cosa vedi




C’è un occhio nella bianchissima copertina che sembra osservarmi, anche se non direttamente. Gli elementi paratestuali, l’ho imparato, hanno la loro importanza, non solo una loro logica. Stavo per dire, a mie spese, ma forse non sarei così gentile nei confronti di chi ha sistematizzato il concetto di soglia. Le uniche spese sono stati i soldi che ho tirato fuori per comprare il libro. Quanto mai ben spesi.
Come si può determinare il valore di un libro? Il valore monetario. Cioè, quali sono gli elementi che concorrono a stabilire il prezzo di vendita. A volte un libro è l’ultima speranza, e che valore può attribuirsi ad un’illusione?
Il libro vorrei che fosse una distrazione, ma non riesco a concedermi un tale lusso. Seguo una strada impossibile, un percorso impraticabile. 
Bianco lucido, abbagliante quasi. Non so interpretarne il senso. Dovrei saperlo? Forse potrebbe arrecarmi un minimo di autocompiacimento. Immagino che ci sia un senso a tutto. Sento che il mio compito è disvelarlo un po’ alla volta. O almeno cominciare ad entrarci in confidenza.

Sogno una storia improbabile. Non è come le altre questa donna, come quelle con cui ho fatto l’amore fino ad oggi. La conosco poco e poi, deve avere qualche anno in più delle altre. Non so che forma di inibizione mi ispira ma è come se ci fosse un ostacolo di fronte a me. 
Non parla di sé. Non all'inizio, almeno. Non nelle prime pagine, che ho letto e riletto più volte, in attesa di avvertire un segnale che mi permettesse di avvicinarmi a lei senza pregiudizi. Che poi non ho chiaro quale potrebbe essere. Forse perché non parla di sé, non direttamente. 
Una città, Palermo, un ex fotografo, un fioraio straniero che ama citare poeti francesi, un tizio che solo il venerdì, tutti i venerdì, si affaccia nel laboratorio del fotografo per scoprire il risultato dei suoi scatti, rivolti per lo più verso una donna che non è chiaro chi sia, e poi c’è la Galleria delle Vittorie, un luogo sgangherato e spoglio che ha visto momenti migliori e che rischia di cadere a pezzi anno dopo anno senza sosta. E c’è la città, sottoposta a pesanti interventi di ristrutturazione che rischiano di alterarne per sempre l’identità. L’azione si svolge in questo contesto.

Una recensione? Dovrei piuttosto specializzarmi in qualcosa. Nel descrivere i momenti, senza troppi artifici. Invece do sempre tutto per scontato. Non so come regolarmi. Non sono preparato a questa specie di imprevisto. 
Io con le mie scrittrici sogno di farci l’amore, di portarmele a letto. Le seguo nelle loro narrazioni, mentre si raccontano mascherandosi dietro una protagonista più o meno autobiografica. 
Vanessa mi ha spiazzato. Sta parlando di un uomo. E dei suoi compari. Non so come prenderla, se cioè continuare sperando che le cose cambino in fretta, che arrivi una svolta, un cambio improvviso di scena. Oppure lasciar stare, passare ad un altro libro. O anche semplicemente leggerlo senza pensare ad altro, senza usarlo, come di solito faccio, solo per i miei fini. Ma la lettura così sarebbe un esercizio noioso, privo di interesse. 
Potrei parlare d’altro. Della città in cui vivo. Dei tanti materassi abbandonati sui marciapiedi delle strade, tanto ci sarà qualcuno che presto o tardi ci penserà a raccoglierli. Li buttano di notte, mai una volta che me ne accorga. Un’attività clandestina che riesce sempre bene. E rimangono per giorni nonostante le continue segnalazioni all'azienda che cura o dovrebbe curare la raccolta dei rifiuti.

Vanessa, se sapessi dare consigli te li darei per convincerti a rivolgere le attenzioni esclusivamente su di me e nient’altro, o nessun’altra. Oppure ne darei qualcuno a me. Per vivere meglio, non voglio altro. Come fosse facile!
Aureliano, se non ricordo male, sembra nascondere un segreto che fino a questo punto rappresenta la chiave da scoprire e che tiene in vita. Lui è presente ma senza grandi lineamenti. Non facili da identificare. Mi sfugge di tanto in tanto, soprattutto la notte, quando si confonde con la vaghezza di altre storie.
Il mio faro deve essere la lettura, in ogni caso. Ed il caso, io non ho dubbi sul seguirlo, anche quando le idee sono più lucide. In altri momenti, cioè.

C’è chi ama circondarsi di belle donne. Quanto a me, non ne sono del tutto sicuro. Però amo circondarmi di libri, quello sì. Forse però non è la stessa cosa. Comunque avere attorno tanti libri, più ce ne sono meglio è, mi dà una certa sicurezza, mi fa stare bene, mi fa respirare un’aria pulita. So che ci sarà sempre qualcuno a darmi un consiglio, a darmi una mano di aiuto. Non sarò mai solo. Potrò vivere in pace. È una sensazione brillante, di euforia, di tranquillità. Non mi sento mai perso. Come avere sempre qualcuno a cui fare affidamento in un momento di necessità. E via dicendo. Cosa vedi c’è.

E gli altri dove sono? Di cosa vivono?
L’amore lo faccio davvero? È difficile ammetterlo ma a volte ci arrivo quasi. Sento che manca davvero poco. O forse è cosa fatta e nemmeno me ne accorgo, di tanto che mi viene naturale.
Già tutto passato? Così in fretta? mi sorprendo a domandarmi mentre chiudo gli occhi per il sonno che incombe impetuoso. Resisto e provo a ripassarmi i ricordi. Ero con lei, l’ultima scoperta. L’ultima fiamma. La tenevo sempre accanto a me. Avevo paura che potesse scappare. Non la sentivo ancora del tutto mia. Avevo realizzato che conteneva nel nome l’istinto a svanire. Dovevo fare uno sforzo aggiuntivo per non lasciarla andare. Accarezzarla per farle sentire il calore della mano. Per avvertire il fremito del suo corpo. 
Non so come andrà a finire. Mi piacerebbe averla accanto stanotte. A volte mi viene da pensare che potrebbe essere una qualunque. Che andrebbe bene una qualunque. Ma è lei che sto leggendo.

Vanessa. Iniziali di vanità. Ma non ne vedo molta in queste pagine bianche, di un bianco che abbaglia, che scorrono sotto gli occhi. Forse eccessivamente bianche. Ho quasi paura di sporcarle al solo sfogliarle.
Quante barriere si frappongono, o semplici ostacoli e innocui. Assisto come in uno schermo alle scene descritte, una selezione che ancora non mi dà il quadro completo della situazione, non so se per mero calcolo oppure per inadeguatezza del mio vedere. Calcolo di chi ha scritto, che ha creato un personaggio, che si pone domande a raffica a cui per il momento non trova risposte. Calcolo di secondo grado. E poi anche ad un livello più profondo. Le domande sulle foto, su cosa stavano facendo i soggetti ritratti. Mi perdo fin dalle fondamenta, o ab imis, cioè come un precipitare dentro una spirale che rischia di non fermarsi. Dove potrà arrivare?

Non è molto presente questa donna. Io non la vedo. Che idea potrò mai farmene? Come potrà mai scattare l’innamoramento? Mi basterebbe anche un semplice esempio di qualche altro sentimento positivo. Deve avere un carattere riservato a dispetto del nome direi appariscente, o almeno che non passa inosservato. Cosa potrò mai chiederle che riguardi la sua intimità? Proseguo con poche speranze. È come se da un momento all'altro dovesse saltare fuori qualcosa di inatteso. Farle tante domande. Per conoscerla meglio. O almeno un po’. Ho cominciato all'oscuro di tutto su di lei. Forse arriverà qualcosa. Dovrei preparare una lista di curiosità da soddisfare.

Cosa hanno fatto fino ad ora questi personaggi? A che punto siamo? E una storia c’è? Vorrei esserci anch'io in questo romanzo, o forse ci sono già senza che me ne sia accorto. Mi sento come scritto anche se non mi è chiara la parte che mi è stata riservata. Le chiederei di farmi vivere, almeno tra le sue pagine. Una parte qualunque, Vanessa, pur di vivere.
Vorrei raccontare altre storie. Le mie, eventualmente, se solo ne avessi. Invece mi tocca ripiegare su quelle di altri, di seconda o terza mano. Cosa direi di me stesso? Che non so cogliere segnali di niente, seppure ce ne sono?

Oppure svelare, centellinandolo, il piano del destino. Oggi che ho le idee più chiare, non foss'altro perché so come sono ridotto.
A questo servono i libri, anche questo che sto leggendo, a farti vedere tutto più chiaro, a  metterti di fronte ad una realtà che per tanto tempo non hai saputo o voluto vedere. E quando finalmente hai la visione completa, cosa ti aspetta? Cosa ti aspetti?
Capire se negli interstizi dei giorni vissuti avrei potuto fare diversamente. A cosa serve, oggi? La storia è andata, ormai. Un’altra occasione sprecata. Ma, un’altra? L’unica, direi. Non ce ne sono più, la vita è una sola. Ho perso, cioè, sto perdendo. 
Vorrei scoprire la fine della storia. Anch'io. Per farmi un’idea di quel che resta, di ciò che mi resta. Vorrei chiederle, ma questa storia l’hai scritta pensando a me? E trovare una risposta all’obiezione scontata, Ma se non ti conosco nemmeno, come avrei mai potuto pensare a te? 
Oppure, nessuna risposta, di tanto che era evidente che si trattava di una provocazione. Non ci farebbe nemmeno caso. Nonostante abbia manifestato un interesse per una mia valutazione, un giudizio sul suo lavoro, quando ha saputo che avevo comprato il libro. Gliene parlerò. Sto lavorando per lei. Ho voglia di raccontarle cosa ho pensato nel frequentarla. Cosa mi ha dato. A cominciare da quello che considero un tradimento. Mai avrei pensato che comprando un libro di una scrittrice mi sarei trovato al cospetto di una storia con personaggi essenzialmente maschili tranne una, anche se forse la più importante. Di sicuro quello su cui è stata riversata una buona dose di mistero, che poi è la chiave che, a partire da un certo punto, mi ha fatto andare avanti nella lettura. Su questo niente da dire, ottimo lavoro. 
Ma forse sbaglio a non considerare il fatto che questi uomini, in fondo, non sono altro che il riflesso dei desideri di Dana, cioè di quello che un personaggio femminile dovrebbe essere o desiderare di essere. 
E poi, quel nome. Se Vanessa porta con sé un’ombra di vanità, ma no, ho già detto che non ce n’è molta in lei, ma che sia un nome che evoca lo svanire di qualcosa, ecco, questo concedimelo, mia cara. Ma, dicevo, quel nome, Dana, e il mio nome, ma forse non dovrei dire niente, altrimenti dovrei tornare a chiederti se davvero la storia ha qualcosa a che fare con me. E te lo chiedo. So già comunque che non avrò risposta alcuna, o forse solo una deludente, del tipo, No caro, Dana non sei tu.
E adesso che sto finendo di leggere il libro, finirà tutto? Questa storia-non storia cosa sarà stata?
Già prefiguro un periodo di mestizia che aumenta man mano che mi avvicino all'ultima pagina, perché, in fondo, mi ha mantenuto vivo l’idea di stare accanto a Vanessa, alle sue creazioni, persino dentro i suoi pensieri.
Illusione! Tutto ha una fine. E io, cosa vedo in tutto ciò non l’ho ancora capito. E forse, chissà, non lo capirò.

Vanessa Ambrosecchio
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il Palindromo

martedì 28 maggio 2019

Inconcludenze

Forse il sogno di incontrarla è solo il prodotto di una mente malata, di una fantasia distorta, o nel migliore dei casi il risultato di una costruzione e forse anche ricostruzione, che poggia su basi del tutto sbagliate. Ho tanto tempo per pensare, tanto per decidere. Ma forse neanch'io sono vero, e non lo sono mai stato.
Tuttavia, questo gioco deve continuare, per arrivare ad una conclusione a cui attenermi scrupolosamente.
Sento la necessità di allargare gli orizzonti dei miei sogni. Possibile che debbano restare relegati nei ristretti confini di un io che non mi dà scampo? Possibile che non riesca a trovare un modo per sfuggire a questa soggezione?
Non ho molta dimestichezza con il corpo femminile. Spesso mi chiedo com'è fatta e cosa sente di diverso una donna rispetto ad un maschio. Rispetto a me. Non lo so, non so darmi risposte soddisfacenti, anzi, non so darmene di nessun tipo. Per questo, quando mi è capitato di leggere in un romanzo di una donna dai capezzoli imbottiti, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di soddisfare la mia curiosità chiedendole, in maniera del tutto disinvolta, come fossi un esperto in materia, se la natura aveva dotato anche lei di capezzoli imbottiti. 
Non riuscivo ad immaginare una sua reazione, ma ero preparato a tutto e perciò nelle mie fantasie mi aspettavo che mi dicesse che era proprio così che ce li aveva e che era anche pronta ad esibirli ad una mia semplice richiesta. 
Questa ipotesi mi lasciò mezzo tramortito. Non ero pronto, l’ho già detto, eppure, avrei dovuto capirlo da  un pezzo che non cercava nient’altro che una scusa per mettere in mostra il suo corpo, per spogliarsi finalmente davanti a me, che invece, che stupido, non avevo capito niente di quelle insinuazioni che si presentavano ormai da tanto tempo in maniera infruttuosa, al punto che ormai anche lei disperava di poter ricavare qualcosa da me. 
Ma io, ancora adesso, non è che abbia ben capito cosa voleva. O forse sì, perché se non perdeva occasione di invitarmi a prendere un caffè, ad uscire insieme a lei, anche solo per una piccola pausa, era per poter lanciare tranquillamente l’amo con cui sperava di catturarmi, di farmi abboccare candidamente, e poter fare con me quello che più desiderava: sesso, sesso e ancora sesso. 
Ma io, mi ripeto, non ero preparato a tanto, nel senso che avevo poca conoscenza di quell'universo e temevo di non essere in grado di soddisfare le sue voglie, che immaginavo dovevano essere tante e, nei miei pensieri preoccupati, anche insaziabili. 
Lo dico apertamente, senza alcuna vergogna, sono fatto così, non mi preoccupo molto delle figure che potrei fare con lei, anzi che sicuramente farei. 
In fondo, provavo a giustificarmi, la conosco da poco e quindi poco, e questo poteva essere un buon alibi per un eventuale fallimento nella relazione che mi figuravo.
Al massimo, se le cose non andranno benissimo al primo incontro, ci sarà di certo un’altra occasione. La prima volta, si sa, qualcosa può andare storto, ed è sempre meglio darsi un’altra possibilità, non buttare alle ortiche tutto dopo il primo incontro. 
Successe così che, dopo pochi giorni, ritornò alla carica, lasciandomi ancora più stupito di prima, e creando in me una tensione che non ero così sicuro di saper gestire o sciogliere alla prova successiva. 
Sì, perché ormai mi sentivo come sotto esame e temevo i suoi assalti, i suoi reiterati tentativi di seduzione messi in atto con ogni mezzo possibile, a partire dall'abbigliamento. I suoi vestiti stretti ai fianchi che la slanciavano oltre misura, dai colori che non passavano inosservati, i tacchi a spillo che mi facevano venire il batticuore ad ogni passo, le scollature ardite sul davanti che mi facevano naufragare dentro i suoi seni piccoli ma decisamente sodi, in più di un’occasione avrei voluto affondare le mani, ed il naso, e la bocca, e la lingua, e tutto me stesso, fino ad arrivare ai mitici capezzoli imbottiti, e tutto questo a dispetto della mia inesperienza in tuffi del genere.
Ormai l’ho capito che non aspetta altro da me, sperando che questo sia solo l’inizio di qualcosa di cui non vorrebbe vedere la fine. Fra l’altro, non capisco proprio chi o cosa le dà questa sicurezza, questa fiducia nelle mie capacità amatorie o scopatorie. 
Che non abbia confidenza con il sesso l’avrà capito da subito, da come mi muovo, da come mi atteggio nei suoi confronti, dalle reazioni impacciate, ogni volta che attacca ad ammiccare, con argomenti stuzzicanti, giochi di parole, fraintendimenti consapevoli, cose così. 
Eppure, di fronte a questa mia evidente lacuna non si tira affatto indietro. Sembrerebbe che questa mia situazione la stimoli particolarmente, le faccia montare un’eccitazione a cui deve necessariamente dare sfogo in un modo che va scoprendo di volta in volta, a seconda delle occasioni, quasi a volermi dare sempre un’altra chance, convinta in ogni caso che le mie prestazioni, per così dire, sono destinate necessariamente a migliorare, forse anche prendendosi perversamente gioco di me, deridendomi un po’, e non me lo nasconde, dai, ritenta, sarai più fortunato, riprova, non demordere, ci sono ancora dei margini di miglioramento, stai perfezionando la tua tecnica, vedrai che presto raggiungerai dei risultati soddisfacenti. 
Ma quanto ancora sarà disposta a sopportare queste mie inconcludenze? Me lo chiedo ogni volta che mi propone un’uscita, un caffè, quattro passi, che poi significa una storia col finale già scritto, ampiamente annunciato, su un letto, in spiaggia, o al limite in macchina, a pomiciare scomodi, senza necessariamente affondare il colpo.
Lei però non lo sa, come potrebbe?, che per me ogni cosa ha la sua importanza. Far bene, far male, per me è tutto maledettamente vitale, tutto materiale che potrebbe tornare utile per un altro racconto.
Non glielo ho mai confessato, anche se negli ultimi tempi mi è sfiorata l’idea di svelarglieli i veri motivi della mia disponibilità ad assecondare i suoi desideri, di continuare a passare per un utile idiota. 
Più di una volta mi sono ritrovato sul punto di dirglielo, e non so cosa mi abbia trattenuto. Forse il timore che, una volta scoperto il vero motivo che mi porta ad accettare i suoi inviti, potrebbe desistere dal continuare, sentendosi quasi come sfruttata, per dei fini che non sono esclusivamente quelli del godimento reciproco, così come aveva fin dall'inizio immaginato. 
E questo, ad essere sincero, non farebbe piacere nemmeno a me. 


giovedì 16 maggio 2019

Scrivo

Scrivo di lei, racconto la storia che la coinvolge, insieme a me, ma non sono donna, non saprei da dove cominciare, non cosa vuol dire sentirsi donna, essere donna, essere lei, glielo chiederò, glielo dirò, tu mi devi aiutare, tu mi dovrai dare la forza di amarti, solo così potrò scrivere la storia che ho in mente, mi manca sempre qualcosa, ma questa volta non è solo qualcosa, e molto di più, ci siamo appena conosciuti, se possiamo dirlo, se possiamo dire così, ma non ne sono sicuro, non ne sono certo, non so tu, te lo vorrei chiedere, vorrei che anche tu mi dicessi cosa senti quando ti guardo, quando mi parli e non ti ascolto, cosa vuoi che mi interessi delle raccomandazioni che riguardano il tuo lavoro, non è per questo che mi sono avvicinato a te, non è per sentirmi dire tutto il giorno di lezioni, traduzioni o di relazioni, ho bisogno di respirare altra aria, di assorbire i tuoi pensieri, che immagino profondi, ma vorrei smettere di semplicemente immaginarli, scrivere di lei, anche quando non c’è, anzi, soprattutto quando mi lascia solo, se ne va chissà dove, e non mi fa avere sue notizie, se ne va, non so dove, mi sento solo, come un merlo che gracchia acute urla, per invocare aiuto, non so perché, al mattino presto, quando l’aria è più sottile, e le grida si diffondono senza incontrare ostacoli, è in quei momenti che ti cerco, che sento più forte la solitudine, che maggiormente avverto la voglia di te, che non sospetti niente, ma lo capirai, oppure fingi di non sapere, ti aspetti altro da me, che intervenga, che prenda l’iniziativa, ti sei stancata di aspettare, mi sono stancato di aspettare, ma non saprei da dove cominciare, non sono donna, non ancora, aiutami a diventarlo, dimmi come fare, dimmi cosa fare, sono pronto, per avvicinarmi a te darei tutto, sarei disposto a tutto, farei qualunque cosa, pur di vivere un momento, un attimo, un istante, con te, un briciolo di idea che mi appassioni, stavo per dire un gemito d’amore che mi coinvolga, stavo per dire qualsiasi cosa, come se potesse rendere l’idea che ho di te, ma forse non è sufficiente, non basta, a chiarire i dubbi, a sbiancare un buio immenso, stavo per dire intenso, ma va bene lo stesso, scrivo instancabilmente di me, e delle mie incapacità, di insicurezze ancestrali, ormai inguaribili, qualcosa di irreparabile, cominciare una nuova vita, stavo pensando ad una nuova vita, ma l’immaginazione non mi sorregge, non saprei da dove cominciare, nemmeno di un vuoto di cui non riesco a liberarmi potrò avvalermi, non potrà essermi d’aiuto, né venire in mio soccorso, in qualche modo che non so, troppe le cose che mi difettano, troppe le cose che non so, lunga la strada che potrà portarmi a lei, spesso ci rinuncio in partenza, senza nemmeno farmi troppe illusioni, vorrei scrivere di lei, che c’è solo nei miei pensieri, e a volte nemmeno, mi devo inventare tutto dall'inizio, come se non fosse mai esistita, come se fosse il frutto di chimere o vuote utopie, volevo scrivere di lei, da tanto tempo, e non mi riusciva, non la seguivo, non mi seguiva, la vista si appannava, troppo lontana da me, la inseguivo invano, anche quando mi sembrava di averla a portata di mano, era sempre tanto distante, nonostante mi affannassi a cercare soluzioni impossibili, alle mie inesperienze, alle mie insicurezze, alle mie incompiutezze, non vivevo più da anni ormai, e non vedevo uno sbocco, non vedevo una fine, poteva andare avanti così per tanto, per tutta la vita, senza che trovassi il coraggio, o la forza, o qualcosa che non so, di cambiare, di mollare, di lasciare, di abbandonare, oppure, altra alternativa, di abbandonarmi, a qualcosa che non sapevo, ancora non sapevo, ma che forse dovevo conoscere, forse, non sapevo, ma vivevo lo stesso, andavo avanti con quella speranza, altrimenti, altrimenti non sapevo come continuare, fino a quando un barlume, un profilo, un briciolo, una caccola di qualcosa, che non sapevo, ma che doveva arrivare, mi rimetteva in gioco, e ripartivo, ricominciavo, vabbè, andiamo avanti, forse qualcosa cambierà, qualcosa che non so, forse lei mi parlerà di sé, mi dirà qualcosa in più, capirò anch'io qualcosa in più, indovinerò, mi lancerò, tenterò, proverò, mi riuscirà di trovare una via d’uscita una buona volta, la guardavo fissamente, mentre mi parlava, mentre mi spiegava, mentre mi diceva, non so cosa, la osservavo come a rubarle segreti, un particolare cui aggrapparmi, un sorriso per illuminare i miei giorni, uno sguardo incerto che mi desse la forza per cominciare, mi bastava poco, non sapevo cosa, non so ancora, ma ero certo, non di molto avevo bisogno, un la per partire, e quanto lunga era l’attesa, non mi viene nulla di spontaneo, ho bisogno di parlare, di scrivere, ore e ore, giorni e giorni, per ricavare qualcosa di soddisfacente, che non sapevo cosa poteva essere, e non so ancora, potrei continuare così per tanti altri anni, non credo che cambierà qualcosa tra noi, non credo che cambierà qualcosa in me, posso solo provare ad immaginare, fino a quando qualcosa cambierà, ma adesso non so come, forse è per questo che mi ostino a scrivere, per capire, per imparare, per trovare una ragione, per vivere, per continuare, in qualche modo, uno qualunque, non importa come, un animale, peggio, un vegetale, solo vivere, o vivere solo, chissà fino a quando, pensare di scrivere di lei, pensare che scrivere di lei mi possa servire, a raggiungerla, più facilmente, addirittura senza sforzi, senza ostacoli a frapporsi, illusioni, ma sono quelle che mi servono, sono quelle che mi aiutano, senza non sarei niente, meno di quello che sono, già senza azioni, senza movimento, senza parole poi sarebbe la fine, è per questo che ci provo, è ciò che mi resta, non ho altro, non ho altre possibilità, lo so, anche se non ho il coraggio di capirlo, di dirmelo, a chiare lettere, non mi resta altro, e non posso smettere, non posso fermarmi, la ricerca deve essere impetuosa, senza sosta, chi si ferma è perduto, non si può trattenere a lungo il respiro, ho bisogno di immergermi in un mare eterno, perché solo così potrò trovare una traccia che mi potrà portare a lei, ovunque si trovi, stavo per dire ovunque mi trovi, ma va bene lo stesso, ovunque mi trovi, per allietarmi di lei, che senza un nome riesco ancor meno ad immaginare, a farla mia, a scoprire le sue cose, mi piaceva, per questo avevo deciso di muovermi verso di lei, di fare qualcosa con lei, di non lasciarla in pace, di non fermarmi, sì, disposto a tutto anche se non sapevo cosa, ancora cosa, stavo per dire solo ancora, ma va bene così, disposto a fare tutto, perché mi piaceva, non sapevo cosa in particolare, tutta, tutto di lei mi alitava dentro, cose che non sapevo, che non capivo, ma andava bene anche così, era per questo che mi ero deciso a scrivere, così sembrava tutto più chiaro, e poi avrei agito, mi sarei mosso, con più sicurezze, con maggiore consapevolezza, sapevo cosa fare, perché già sperimentato fra le righe di un diario rabbioso, che non volevo mollare, che non volevo lasciare, che non mi lasciava in pace, che non voleva abbandonarmi, dovevo respirare, e cosa di meglio di un diario senza sosta, senza pause, un respiro continuo e aperto, a pieni polmoni, come solo lei poteva consentirmi, il pensiero di lei, di poterla abbracciare, poi avrei anche desiderato altro, un passo alla volta, cominciavo a farci l’abitudine, desideravo sempre un pochino di più, fino ad arrivare a lei, non sapevo come, non so ancora, va bene lo stesso, mi darai un po’ di tempo, ne avrò bisogno, aspetterai, non te ne andare, lo dicevo forte, lo desideravo altrettanto forte, non andartene, aspetta che nasca qualcosa, limitavo le parole, perché potevano servire in altre occasioni, non volevo usurare il mio già limitato vocabolario, sentivo il dolore di rimanere senza voce, senza fiato, senza più parole, glielo dicevo, glielo rivelavo, le confessavo anche queste incertezze, anche queste insicurezze, al punto che ormai non sapevo, e forse non so ancora, non sapevo più su cosa fare affidamento, solo su di lei mi pareva poco, potevo ritrovarmi con un pugno di mosche il giorno che avesse deciso di lasciarmi, di non volermi più vedere, non farsi più vedere, un nulla di fatto, un niente di niente, poche volte ancora avrei resistito a queste minacce, non ne avevo la forza, non avrei superato un altro attacco, non l’avrei sopportato, e non l’avrei più rivista, non i suoi occhi, i soli suoi occhi, i soli suoi seni, le sole sue gambe, che quante volte ho visto, ho accarezzato, ho sfiorato, quante volte ho sognato, non so più, non ricordo più, un sorriso rotondo, pieno, fresco, di una freschezza che incantava, restavo a guardarla, mentre mi parlava delle lettere, dei rapporti, le relazioni, le carte, e volevo scrivere, sì, ma di te, solo di te, volevo abbondarmi a te, mi sono lasciato andare, non avevo altra scelta, mi stavi davanti e non potevo lasciarti andare, non potevo perderti, ora o mai più, fingevo di ascoltare le tue prediche, che non capivo, non mi interessavano, stavo attento ad altro, nemmeno una rada lanugine, un viso liscio, morbido, soffice, tenue, diventava seta che baciavo senza perdere un secondo, poteva andare via da un momento all'altro, non mi lasciavo distrarre dalle tue pacate ammonizioni, che quasi sussurravi, o pronunciavi a bassa voce, un sorriso trattenuto a stento, non mi credevi, non ci credevo, era così che ti volevo, era così che mi piacevi, erano cose che volevo dirti, non so per quanto tempo mi trattenni, prima che mi svelassi i tuoi segreti, prima di arrivare alle tue cose, prima di arrivare alle tue cosce, non mi sarei più fermato, non ti avrei lasciata, non lasciata andare, mia, mia, mia, me lo ripetevo tante volte, per convincermi, per non distrarmi, per essere sicuro di quello che volevo, finalmente volevo, fortemente volevo, non mi saresti sfuggita, non potevi, ti prendevo fra le braccia, tutta in una volta, senza trascurare un fiato, senza tralasciare un respiro, senza smettere un attimo, non ti lascio andare, te lo dicevo forte, te lo ripeto chiaramente, perché capisca, per non essere frainteso, mi guardi scolorita, forse perplessa, ti siedi sul divano, ti accomodi lentamente, tutto il tempo a tua disposizione, ci abbracciammo, ci stringemmo, ci baciammo, senza trascurare un gemito, né un rantolo, nemmeno il più semplice respiro, nulla doveva sfuggirci in quei momenti, erano tutti per noi, non c’era altro, ormai tutto era in noi, mi sembrava di capire meglio, forse anche tu pensavi di capire qualcosa in più, te lo chiederò, in un’altra estate, stavo per dire in un altro inverno, ma era maggio inoltrato e non potevo sbagliarmi, la bella stagione doveva ancora iniziare, e con essa le giornate più chiare, e nonostante tutto …