Lettori fissi

mercoledì 20 marzo 2024

Orfane bianche

 

Cara Fiammetta, se così posso rivolgermi a chi ho conosciuto di sfuggita a un recente incontro sui libri.
Ma forse sì, se pure cara non lo eri all’inizio, poi sei diventata anche un po’ mia amica, perché siamo stati insieme per alcuni giorni, il tempo della lettura del romanzo.
Non so se hai avvertito qualcosa, se ti sono fischiate le orecchie, come si usa dire in questi casi, ma io quanto meno ti ho pensato ed è così che sono diventato tuo amico.
Cara Fiammetta, dicevo, c’è un motivo per cui ho deciso di scriverti, l’ho pensato oggi.
Cioè ho capito che anche tu potevi far degnamente parte dei destinatari delle mie lettere, se così posso definire certe mie reazioni che scaturiscono spontanee alla lettura di un libro, e soprattutto che non avresti sfigurato nella schiera di quanti sono venuti prima di te.
Scrivo lettere mai spedite, agli autori dei libri che leggo, preferibilmente alle autrici.
Mi capita spesso di servirmi di un libro per instaurare un rapporto con gli altri, partendo dalla storia descritta e continuando senza sapere dove andrà a parare il fiume che in me scaturisce leggendo quel libro.
Ho cominciato a leggere le prime pagine del tuo romanzo e mi sono fatto l’idea, ma forse sbaglio, che è tutto già detto fin dall’inizio e che non ci si dovrebbe aspettare niente di nuovo nel corso della lettura. Che non dovrebbero esserci sorprese, appena qualche piccola variazione sul tema.
Chissà di cosa le riempirai le pagine che residuano e che fra l’altro non sono nemmeno poche.
Sarà sufficiente la comparsa di una donna nelle vesti di suora a ravvivare l’atmosfera per niente festosa di questa casa?
O il delirio delle donne alle prese con un’anatra puzzolente?
O l’indolenza di un cane che si aggira qua e là stancamente per le stanze della casa?
O l’autentica madre bianca che arriva nelle vesti di una pedicure bulgara?
 
Fin dall’inizio della lettura ho preso appunti, ho scritto, cioè, su un foglietto, che ho usato a mo’ di segnalibro, i nomi delle figlie e delle rispettive madri perché non riuscivo a fissare correttamente le reciproche relazioni, e ogni volta che trovavo il nome di un personaggio non mi ricordavo più chi era, se la madre, la figlia, e di chi. Così, era sufficiente dare uno sguardo al foglietto e il problema era risolto.
Quando, dopo decine di pagine, mi sembrava finalmente di aver capito come stavano le cose, hai deciso di scombinare le carte, ed ecco che come per un colpo di bacchetta magica le figlie si sono scambiate le madri da accudire.
Colpo mortale alle mie capacità di distinguere una volta per tutte i personaggi (o le personagge).
No, questo proprio non dovevi farmelo. L’ho vissuto come un attentato alla mia labile serenità, una minaccia al mio già precario equilibrio mentale.
Quando mi sono riavuto, in qualche modo che non ho ancora capito, e sono riuscito a riprendere la lettura, dopo aver superato abbondantemente le 200 pagine non ho fatto più caso alla caratterizzazione dei personaggi.
Poteva essere uno qualunque a parlare o ad agire, al punto che mi ero convinto che la storia non poteva cambiare di molto se pure i ruoli si confondevano in me. Ma forse mi sbaglio.
Fortuna che poi è arrivata la suora, che almeno quella mi sembra di riuscire a distinguerla dalle altre.
 
Se devo tracciare un bilancio vorrei dirti che c’è dello stile in questo romanzo, ed è ciò che più ho apprezzato.
Il tuo “preteso poetare” è fin troppo avvertibile. Come una dolce armonia mi ha accompagnato per buona parte del libro.
Era ciò che più in me risuonava nel mentre che leggevo, allorché il metro arrivava finanche a sovrastare il senso delle parole, come spesso succede nella buona poesia e al lettore arrendevole, a me, non restava altro che seguire il consiglio, assecondare il tuo invito.
L’ho fatto con molto piacere, ottenendone un buon tornaconto.
Certe ellissi, poi, mi ricordano alcune cose del primo Pizzuto. In altri punti del testo, invece, prevale la metrica lirica à la Bufalino.
Fiammetta cara, mi viene da concludere, con una citazione teatrale che forse ti farà piacere, e cioè che le tante donne che abitano questo romanzo, in particolare queste sei personagge, hanno trovato in te un’autrice assolutamente valida. Aspetto la conferma alla prossima prova.
Fiammetta Palpati
La casa delle orfane bianche
Laurana Editore

lunedì 4 marzo 2024

Quella è calda.

 

Quella è calda, basta vederla e ti accorgi subito che le schiumano le fregole da tutti i pori. E io che mi facevo problemi, sempre mi sono fatto di questi problemi perché chissà che cosa pensavo, è questo che vuole?, ma per chi m’ha preso, a soreta, a mammeta e via discorrendo, questa invece, non ci sono dubbi, non potevo sottrarmi, c’ha un culo che mi canta le serenate a scena aperta, e io resto imbambolato ad ascoltarla, con quei pantaloni neri e stretti, poi, hai voglia quante cose farei, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Qualsiasi cosa, non si faccia problemi a chiamare, ma mi è venuto subito in mente che di problemi non me ne sarei fatti proprio, anzi, sto qua a completa disposizione, come mai mi era successo. Questa tipa è il miracolo fatto donna, e proprio a me stava capitando. Che fortuna!

Entri, non stia sulle scale, faccia come se fosse casa sua, la invitai a entrare con la scusa del pagamento dell’affitto, come se quel monolocale che avevo preso per qualche giorno non fosse effettivamente casa sua. Per questo si era messa a ridere. Ma secondo me già pregustava l’avventura con lo straniero. Certe donne si legge in faccia le voglie che hanno, non sono capaci di nasconderle quando proprio non ce la fanno più, e che so, scemo?, non me la faccio scappare affatto.

Possibile che non faccio in tempo ad aprire la porta che questa qua già sta pensando a spogliarsi? Mi ha preso di sorpresa, non ero per niente pronto, e chi se l’aspettava una storia del genere? Mica capita tutti i giorni, perché quando vedo una femmina il primo pensiero che mi viene è quello, se poi ci si mette anche lei, allora la cosa è bell’e combinata. Non per discolparmi, ma questa stavolta ci ha messo proprio del suo. Non che sia una colpa avere voglia di scopare, intendiamoci, ma è giusto dire come stanno le cose, cioè, come sono andate, io me ne stavo per i fatti miei, è stata lei che mi ha chiamato.

Io non è che so contarle bene le cose, tutti i pensieri ce li ho dentro, ma all’occorrenza provo a farli uscire solo che non sempre vengono come vorrei e perciò c’ho bisogno di spiegare meglio le cose. Che poi, mi dico, non è che li devo spiegare a qualcuno i miei pensieri, basta che li so io, però certe volte mi gira l’uzzolo di cedere e se qualcuno mi chiede come è andata con quella, allora invece di inventarmi su due piedi una storia, me la vado preparando, che così sembra che è stata una cosa realmente accaduta, e non mi chiedo nemmeno se quello ci crede o no, l’importante è che sembri una storia verosimile.

Se c’è qualcuno che mette in dubbio i miei pensieri, perché mi fa una domanda a trabocchetto, cerco di prendere tempo, di arrampicarmi sugli specchi, senza però darlo a vedere. Sembra che mi debba giustificare di qualcosa, sto sbagliando tutto. Facciamo allora che non ho detto niente di queste ultime riflessioni e torniamo a quella là.

Dov’eravamo rimasti? Che il mio birillo si era già intostato prima ancora che si spogliasse del tutto, altro che non ero preparato! Io no, ma lui appena sente odore di fessa non sta a perdersi certo in chiacchiere. Così lei si butta sul letto, spalanca le gambe e si mette a aspettare. Che faccio?, mi mollo ovviamente, anche perché nel frattempo lei non è rimasta molto a guardare, sembrava non aspettasse altro, ha preso il mio coso e se l’è infilato dritto dritto là dentro, in mezzo alle cosce, sembrava un’ossessa e com’era vorace, al punto che mi sono chiesto se dovevo temere per la mia virilità. Non si sa mai in questi casi, è bene guardarsi alle spalle, ma anche… le palle. Ma andò tutto bene, anzi benissimo, andò come non era mai andata.

Non saprei come raccontarla questa storia imprevista. Forse sono quelle che riescono meglio. Non è stato soltanto uno spingersi e un tirarsi addosso l’un l’altra. Le ho schiacciato le tette ma senza farle del male, tutt’altro, pareva godesse ogni volta che affondavo i denti in quei bottoncini, che sembravano di ebano e di altri colori, per quanto erano duri e chiazzati a causa dei morsi. Era un piacere anche per lei, che gridava, erano proprio voci di piacere, non c’erano dubbi, perché più li stringevo e più ne voleva.

Era affamata, insaziabile e anch’io, che non sono mai stato un campione di resistenza, in quell’occasione tutto è andato in maniera perfetta. Più affondavo e più mi sembrava di averne, la forza la prendevo anche da lei, che assecondava le spinte come per una danza in cui il ritmo cresceva in maniera direi parossistica.

Dove l’ho trovata la forza ancora non riesco a spiegarlo. Temevo persino che il cuore, ma anche altro, potesse scoppiare, il fiato non c’era più ormai, tutto si svolgeva in un’apnea delirante. Non sapevo di essere in grado di tanto. Anch’io provavo dolore, o forse mi confondo, non solo nel ricordo, perché quando l’ha preso in bocca, durante una pausa, ho rischiato davvero di vederlo mozzato per sempre. Succhiava e strappava anche coi denti, come se dovesse scuoiare un coniglio con fauci possenti. Era comunque un dolore piacevole, frammisto con fasi di voluttà mai provata prima.

Era calda, altro che, caldissima, e il letto si stava smollando da quanto veniva sollecitato. Se ad ogni cliente riservava un simile trattamento avrebbe dovuto cambiare l’arredo ogni volta. Di certo dovrebbe aggiungere una tassa sul materasso insieme al prezzo della stanza, ma questo nella pagina delle prenotazioni online non poteva scriverlo, o solo come una voce extra che, semmai, avrebbe illustrato lì per lì al momento della consegna delle chiavi.

Ma perché mi sto perdendo dietro inutili particolari? Stavo così bene con quella e si mettono in mezzo questioni venali. Ho ispezionato tutto il suo corpo, i suoi orifizi, e anche lei ha fatto lo stesso con me, con la lingua e non solo. Anzi, il corpo ormai era solo un accessorio pressoché inutile. Non lo sentivo più, c’era altro che mi dava piacere, altro che non saprei descrivere, il corpo era un tramite, tutto passava attraverso di esso.

sabato 2 marzo 2024

La signorina Maria e il suo bestiario.

La signorina Maria non è un vero e proprio bestiario anche se è popolato di una variegata fauna, reale e anche metaforica.
Tra le pagine del libro si palesano mammiferi di piccole, medie e grandi dimensioni, rettili, uccelli, insetti, specie marine di vario tipo e, sia pur di rado, anche degli esseri mitologici.
Questi animali non vivono in una vecchia fattoria e non sono nemmeno rinchiusi dentro un giardino zoologico. 
Sembrano semmai convivere alla rinfusa all’interno di un’enorme arca di Noè primordiale, anche se di diluvio nemmeno a parlarne. O forse sì, ma in questo caso si tratta piuttosto di un profluvio, di parole ovviamente, quelle che servono per descrivere le storie in cui si muovono e agiscono gli animali, e non solo.
C’è un elefante triste. Gli elefanti, si sa, sono animali associati a lentezza, e nell’immaginario comune ormai sono anche esempi di stanchezza, forse anche di noia e anzi, a lungo andare, sono destinati a diventare sempre più stanchi, gli occhi si avvicineranno alla punta della fronte, le proboscidi volteggeranno con disarmoniche alterazioni nell’aria circostante. Da qui la tendenza alla tristezza di questi poveri pachidermi.
C’è anche una nobile giraffa brasiliana, un concetto spontaneo, spuntato fuori all’improvviso. Bisogna prendere le cose per come vengono.
Non solo animali della savana, però. Ci sono anche topi scorrazzanti per corridoi o scaffali pieni di articoli strampalati.
C’è un porcellino miope, ingessato nel pur ingombrante gessato. 
Ci sono asini che cascano, tanto per non smentire la fama proverbiale che li circonda, altrimenti che asini sarebbero? 
Discorso diverso per le capre che, benché vecchie e spennate, tuttavia non perdono occasione di esibire la loro agilità arrampicandosi dappertutto.
Nel mondo ricostruito, all’interno della sgangherata imbarcazione, trovano posto cani indisturbati intenti a riflettere, immersi non è facile intuire su quali pensieri. 
C’è la Regina dei camaleonti che verranno. Basta avere fiducia e un po’ di pazienza e qualcosa arriverà.
Le storie hanno molte vite, come i gatti, rinascono, si sviluppano attorno a un centro, crescono inaspettatamente senza sosta, come gramigna che infesta la testa. 
In questo contesto al lettore potrà capitare di vedere di tutto, sanguisughe, pesci essiccati, zanzare spaventate, coralli in fondo agli orecchini e attorno al collo, e chissà dove altro ancora, della protagonista, la signorina Maria, che nelle grandi occasioni esibisce anche un fermacapelli a becco di tucano, tempestato da piccoli diamantini sfavillanti sotto la luce della volta celeste artificiale. 
C’è poi la classica rondine che si ripresenta al suo nido a ogni nuova stagione, e una tartaruga marina che nuota per migliaia di chilometri per ritrovare luoghi noti dove deporre le uova. 
Ci sono ancora tanti altri animali in questo romanzo, ma se vi state chiedendo se ci sono anche dei coniglietti, ebbene, la risposta è no, però è come se ce ne fossero dappertutto.