Lettori fissi

domenica 28 luglio 2019

Chiamatemi Joannhes




Bastará decir que soy Juan Pablo Castel, el pintor que mató a María Iribarne 
El túnel
(Ernesto Sabato)


A proposito di spoiler

Questo testo non contiene spoiler. 
Non ci sono anticipazioni della trama. Non rovina l’effetto sorpresa semplicemente perché non si vogliono ottenere tali effetti nel romanzo di cui parlo. 
Si tratta di una personale riscrittura dell’opera di Conforto che, inevitabilmente, contiene riferimenti alle vicende narrate.
I romanzi in cui chi scrive punta essenzialmente a creare l’effetto sorpresa con finali inattesi non sono fatti per me. 
Allo stesso tempo chi legge, attratto dall'idea di svelare arcani o motivi misteriosi tra le pagine, non avrà il mio plauso o grande considerazione da parte mia, per quanto possa valere il mio giudizio. 
Nella lettura di un’opera finzionale sono infatti interessato più allo stile, alla forma di un testo, che alle storie raccontate. 
Per questo non mi fa alcun effetto conoscere in anticipo lo sviluppo delle vicende e non mi interessano molto gli eventuali colpi di scena.
In ogni caso, chi pensa che l’effetto sorpresa abbia un ruolo importante in un lavoro letterario è bene che stia alla larga da questo testo. Anche se non ce ne sarebbe bisogno.





Chiamatemi Joannhes


Penso sia importante seguirlo questo Joannhes. È uno che scrive. Ha bisogno di compagnia. Anch’io ne avrei bisogno. 
È solo, con i suoi problemi, con le sue fantasie. 
Non che mi consideri una buona guida. Ma sempre meglio di niente. Avere qualcuno accanto può esserti di aiuto. Sapere che puoi contarci ti porta a proseguire con maggiore sicurezza. 
È in viaggio, fin dall’inizio. Ha già visitato diversi luoghi in poche pagine. Da una conferenza ad un treno, con la testa già a casa, pronto a ripartire con una donna per una vacanza in montagna. 
Sul treno è solo. Si addormenta quasi subito. Al risveglio si ritrova in compagnia di due donne. Il treno si ferma, si blocca. C’è qualche problema, non è più possibile rimanere dentro, deve essere ricondotto in stazione. I pochi viaggiatori sono costretti a scendere.
Viene ospitato dalla coppia di donne a casa di una loro conoscente che, però, al momento non c’è. Scappa quasi subito e si ritrova in strada e da lì a poco nell’abitazione in cui esercita la professione una prostituta incontrata in strada. 
Assume medicine. Per non buttarsi da un ponte, dice. Ritorna in stazione, non è chiaro se la stessa di prima. Riprende un treno. Decide di scendere in una stazione qualsiasi e si avvia. Verso nord o verso sud sembra importare poco. Seguendo un viottolo arriva ad una casa.

Fatico a stargli dietro, forse ho bisogno anch’io di assumere delle medicine, che mi aiutino a non perdermi. O forse dovrei perdermi, invece. Seguire i percorsi di questo personaggio beckettiano. Non mi dà tregua, non un momento per respirare. Devo stare attento ad ogni dettaglio. Se solo mi distraggo un attimo rischio davvero di perdermi, di ritrovarmi in un luogo qualunque senza sapere come ci sono capitato.

Si addormenta su una panchina, sulla soglia della casa e viene aggredito e derubato da un terzetto composto da un uomo e due donne.
Sento il peso di tutte queste avventure, occorse nel giro di poche pagine. Tante storie in una. Non posso non solidarizzare con quest’uomo. Non mi sento di abbandonarlo. Ho deciso che lo seguirò con particolare interesse. Non voglio perderlo. Mi ha già conquistato. E poi, è visibilmente debole, indifeso. 
Pensa ad una dottorina che lo ha in cura. Anch’io voglio una dottorina, ma va bene anche una normale dottoressa, che si interessi a me. Forse perché ne ho proprio bisogno. La mia esistenza quotidiana scandita dall’assunzione di medicine vitali, chimiche o meno. Non so a quale scrittore rivolgermi per ricevere questa grazia.

È ancora in quella casa. Adesso i tre sembrano interessarsi a lui. Non è chiaro a quale scopo. Sono componenti di una commissione che monitora i progressi della malattia di quest’uomo che viene chiamato Mattia. Del nome sembra ormai convinto anche lui. Tenuto al guinzaglio e non solo dai farmaci, sotto stretta sorveglianza, ormai privo di volontà. Si lascia andare a tutto. 

Bello avere qualcuno che provvede sempre al posto tuo, che ti organizza la vita. È un pensiero che mi viene spontaneo. Ho bisogno di una guida, mi sto perdendo da tempo, ormai. Vago senza capire dove sto andando. Ho perso di vista i binari. Rischio di svanire per sempre, irreparabilmente. Non so se può essere considerato un dramma, una tragedia. Oppure attorno a me ci sarà l’indifferenza del mondo. 
Mattia, non ti scoccia, vero, se per un po’ mi sostituisco a te in questi vissuti assistiti? Poi ti renderò la palla. Ma per un po’ lasciami godere dell’attenzione che questi strani tipi stanno riponendo su di te. Lascia che sia io a continuare la tua parte. Nessuno se ne accorgerà. Un segreto solo nostro. Vedremo per quanto tempo sarò capace di interpretare il tuo ruolo. 
Sono ritornato in quella casa. Un po’ di attività fisica, tipo palestra, una doccia, e poi a sdraiarmi sul divano, a cui vengo assicurato con una catena d’acciaio. Sono finalmente contento di vivere questa esperienza. Sto entrando nella parte, un personaggio del mio autore preferito. 
Non ho dubbi, è Beckett che mi sta scrivendo. Che gioia eseguire i suoi ordini. Mi ha dotato dell’inadeguatezza tipica delle sue creature, e mi ci ritrovo alla grande. Mi sento davvero felice. 

Adesso Zoe, la nera del gruppetto, mi sta dando lezioni di sesso. Non ho mai imparato a farlo propriamente e questo è un momento importante, davvero emozionante per me. Ma non voglio darlo a vedere. Conservo ancora un po’ di dignità.
Mi chiedo se il fatto di essermi impossessato dell’identità di Mattia mi possa in qualche modo far apparire più credibile, più reale. Una domanda che sento di farmi anche se non so come rispondere.
È già tanto che mi vengano dei dubbi. Sento di aver fatto una buona parte. Trovare anche le risposte sarebbe chiedere troppo. Forse addirittura la soluzione ai problemi che ho poco chiari.

Zoe fa sul serio. Mi invita a provarci con lei. Devo fare pratica. Fra due giorni ho il primo esame. Katia, la bionda, mi chiederà il conto.
Mi rafforzo nella convinzione della mia incapacità. La prova è fallita. La catena d’acciaio la giusta ricompensa. Fortuna che Zoe mi libera. Con la sua jeep facciamo un giro per i campi. Stiamo fuori tutta la notte. 
Questi eccessi mi debilitano, o disabilitano. Devo riassumermi, sprofondare in me stesso per trovare le parole giuste per riuscire a descrivere certi momenti. Mi disallineano. Non sono io. Mi alienano. Cambio le vocali, poche consonanti, per provare ad esprimere il concetto. Ho una grande confusione. Come fossi in sogno. Mi disilludo. Mi destabilizzano, ecco.

All’alba ci fermiamo in un locale per i bisogni, le pulizie, la colazione, le mie pillole. Zoe è in bagno. Una donna mai vista prima mi convince a seguirla. Anzi no. Sta andando a B.. 
Le dico, mentendo, che anch’io vado da quelle parti. Le do una mano a caricare le borse sul camper e ci avviamo. 
Anna, questo il suo nome, fa la spogliarellista. Ha litigato con Antonio ed ha scelto la libertà. Non conosco il significato di questo termine. Anna parla in continuazione, mi interpella come per trovare conferma nelle cose che dice, un conforto sulle scelte compiute. Ma non è a me che deve rivolgersi per questo.
Sì, qualcuno che mi organizzi la vita, Anna, Zoe, va bene tutto. La lascio fare. Quello che ho sempre desiderato. Non dover pensare a niente. Mi ritrovo così iscritto ad un torneo di tennis e, intanto che mi alleno, la seguo nelle sue evoluzioni da spogliarellista. Mi ospita nel suo camper per la notte.

Sto vivendo la vita come un libro scritto.
Però faccio fatica ad essere Mattia quando si rifugia nel passato. Quando, cioè, suo padre, una guardia municipale, lo spronava a dedicarsi al tennis, con la prospettiva di diventare maestro. 
Non riesco a seguirlo. Scrive fiabe, la sua vita.
Non so se posso lasciarlo al suo destino, se ha ancora, oppure già, un qualche grado di autonomia. Se gli è sufficiente la compagnia di Anna per tirare avanti. 
Quanto a me, se Anna è d’accordo, potrei condividere un po’ della sua cura, o quanto meno della sua assistenza, disposto ad accettare qualche consiglio.
Cerco un modo per intrufolarmi anch’io nel teatro per vederla esibire in uno spogliarello da professionista. Forse però non facevo parte della storia. Al termine dello spettacolo, infatti, abbraccia solo Mattia. Di me non si accorge. Non mi nota nemmeno.
Ho fatto poche cose per il mio esclusivo piacere. Non ne ho ricordo. Non sono come Anna, io. Mai soddisfatto.
E poi, non mi chiedo molto su Anna. Ma nemmeno su me stesso. Viaggio sulla superficie delle cose. Non vado oltre. Raramente. Significa essere insensibile, oltre che depresso?

Quest’uomo non sa vivere. Al suo posto avrei fatto di meglio con Anna. Ma non ne sono sicuro. Intanto lui c’è. Quanto a me, posso solo dire che lo sto osservando nel suo presunto non saper vivere, mentre non fa quello che fa con Anna. Meglio non fare come lui, che almeno ha Anna piuttosto che fare quello che non faccio io che non ho Anna.
Sono un po’ confuso. Mi sembra che la giustapposizione con Mattia possa rappresentare un buon viatico per arrivare ad Anna. Dovrò curare questo rapporto per nulla disinteressato. Forse imparerò anche qualcosa ma è ad Anna che sto mirando. 
Mi dico che dovrei avvertirlo. Mi faccio sempre di questi scrupoli. Ma lascio cadere la questione. Mi affido al caso.
A volte non tengo conto di questi personaggi. Leggo seguendo semplicemente la storia. Senza considerare che quella gente è parte di me. Perdo così momenti di vita importanti. Le cosce rotonde, il culo sodo, il seno stellato di Anna. Perdo molto.

Il mio desiderio, forse piacere, sapere che Anna sta cominciando ad amarmi. Ad imparare ad amarmi. Lo stesso io. Lei ama un sogno, che con i miei gesti, cioè, le faccia compagnia. Almeno questo. Poi potrebbe venire anche altro. Non solo fitti scambi di battute, dialoghi, appelli accorati, la richiesta di un sorriso, di parole d’amore.
Questa sera mi ha chiesto di lasciarla da sola. Esce, dovrà vedere il gruppo di lavoro. Esco anch’io. Vado in giro senza una meta fino a quando capito in un bar. Tanto per fare qualcosa, dovrò aspettare almeno fino a mezzanotte prima di poter rientrare.
Un caffè e sono di nuovo fuori. Una sosta al circolo del tennis e ancora birra, insieme al custode, fino alla chiusura del locale. 
Si offre di accompagnarmi a casa con una vespa sgangherata. Come insetti attratti dalla luce in piena notte sbattiamo addosso all’auto di una prostituta attaccata al marciapiede. In tre si avventano su di noi e ci trascinano dentro un monolocoale. Non siamo nelle condizioni di affrontare la situazione che si è venuta a creare. Picchiati, percossi, derubati dei pochi averi. Instabili. 
Una delle tre, una con gli occhi a mandorla, mi prende per mano e mi guida verso un ambiente esotico, orientale. Facciamo sesso. Prima di uscire per ritornare da Anna mi porge un biglietto, non so se da visita. Comunque ci sono i suoi contatti e mi dice che vorrebbe rivedermi.
Ho le idee confuse, a dir poco. Ritrovo Anna sul camper, triste per quello che ha dovuto subire in occasione dell’incontro di lavoro. Pretese da parte dell’impresario, e poi ancora apprezzamenti rudi, lei che non sa difendersi.
Anch’io le racconto le mie avventure con tutti i dettagli. È il contesto giusto, penso. Infatti facciamo sesso come se niente fosse successo.

Qualcosa ricomincia a funzionare. Non so se attribuire questo progresso solo alle pastiglie, che comunque ho deciso di continuare a prendere. Mi aiutano. Anche nelle questioni sessuali. Avverto un miglioramento. Non solo nel tennis. Con Anna non me parlo. Non ne parliamo da quando abbiamo fatto sesso.
Mi rifaccio sotto con la ragazza orientale. Ancora sesso, ben riuscito. 

Penso che sia meglio che Mattia se ne stia al suo posto in queste ore. Mi sembra che interpretare il suo ruolo mi faccia davvero bene. Non so perché adesso mi è tornato in mente. Qualcosa mi ha distratto. Ma non voglio abbandonare questa parte. Mi ci trovo perfettamente. 
Aspetta ancora un po’, Mattia, resta al tuo posto. Mi farò sentire io. Mi piace l’euforia provocata dalle fantasie sessuali, vengono proprio bene. Tutti a cercare o crearsi una forma di benessere che non credevo potesse esistere.

È il mio tempo, non devo lasciarlo scorrere invano. Ho vinto anche il torneo di tennis. È un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, che le cose stanno cambiando. 
La parte in cui mi struggo, se lasciare Anna e ricominciare una nuova vita, istruttore di tennis, la lascio volentieri a Mattia. Lui sa di certo come farglielo capire, che non ho intenzione di seguirla nel suo nuovo lavoro, un altro teatro, un’altra città. 
Forse perché in me sta crescendo, sta prendendo sempre più corpo l’idea della ragazza orientale. Ma è solo un’idea. O forse no.
Vorrei fare quello che più mi piace. La guardia municipale mi ha allevato per questo. Il sogno si sta realizzando.
Anna è andata e già mi manca. Le pastiglie non posso smetterle. Comincia una nuova storia. Non solo istruttore di tennis. Non è solo il nuovo lavoro. Tutto è novità in questa città straniera.
Della vita precedente rimangono le pastiglie e, a volte, un ricordo, Anna, o la ricerca di quel che ero. 
Al cinema non ci andavo da una vita. Ritorno a casa, dormo in compagnia degli incubi, riflessioni profonde e poi, al risveglio, il caffè e un paio di pillole.

Le azioni che si ripetono ogni giorno sempre uguali, le istruzioni ai miei ragazzi, il sudore, la doccia, anche questa routine la affido a Mattia. Lui non si avvede di questi passaggi. Non c’è soluzione di continuità nei suoi momenti. Io di tanto in tanto ho bisogno di uno stacco. Vorrei essere altro.
Nel ricordo non c’è solo Anna. La donna dagli occhi a mandorla mi aspetta. Vado a trovarla sul luogo di lavoro, dove ci siamo conosciuti. È impegnata con un cliente. La cosa mi irrita non poco. Irrompo nella stanza, non sopporto la scena, non riesco ad aspettare, le grido addosso parole offensive. Qualcuno alle spalle mi afferra e mi sbatte fuori dal locale. 
Scappando incontro in strada un’altra prostituta. Mi accompagna nella sua stanzetta e mentre consumo altro sesso mercenario riaffiora il ricordo di Anna. Non dev’essere una semplice coincidenza se appena arrivo a casa mi raggiunge con una telefonata inattesa. Ha qualche giorno libero e passerà a trovarmi.

Non è sufficiente il soccorso di Mattia, che pure mi aiuta, a sopportare questa vita. Ci vorrebbe altro. Sogno di prendermi altre licenze. Non vorrei rimanere rinchiuso dentro una gabbia troppo stretta per le mie velleità. 
Anna non sa vivere senza me. Non l’avrei mai immaginato. Vuole parlarmi. Scappiamo dal circolo, andiamo via col camper. Di notte si blocca non so dove. È il momento di confessarmi che ha dovuto far fuori con una coltellata l’impresario, il proprietario del teatro dove ha lavorato gli ultimi giorni, perché ci stava provando in tutti i modi con lei. Per questo deve continuare a scappare. Si sta dirigendo verso G. il paesino dove abitano i genitori. Raggiungiamo la casa in cima alla collina. Anna mi presenta ai suoi.

Non so cosa sto vivendo. Forse non sono io. Forse Mattia ha ripreso il suo posto. Non esisto per gli altri. Sembro invisibile ai più. 
Usciamo per un giro in collina. Tutto appare come un luogo magico, forse stregato. Uomini come armati, acque dai poteri prodigiosi, un rifugio dove stare tranquilli e da dove allontanarsi senza più preoccupazioni. Non arrivo a capire tutto. O forse solo qualcosa. Chissà se anche Mattia.
Quell’acqua azzurra è miracolosa. Porta via i dolori, annulla le sofferenze. Ed anche i desideri.
Anna mi guida per il mondo. E a me sta bene così. Mi costa troppa fatica fare delle scelte. Si lascia cullare dal vento. Ci balla insieme in riva al mare. Mi piace osservarla. Continuo ad avvertire paure, nonostante l’acqua azzurra, ad avere desideri. Mi sento scoppiare. 

Fatico a trovare un modo, è difficile sintetizzare in poche parole le poche parole che il vento, no, che il mare, no, che Anna, no, che io, no, che i pensieri, no, non sono in grado di dire quasi più nulla. Mi perdo ancora a seguirla mentre danza col vento. 
Con lei tutto diventa più facile. Persino il vento, il mondo, la vita. Un gioco da ragazzi. Sono giri senza tempo quelli che sto facendo con Anna. 

Il vento si è trasformato in burrasca nel mare. Dalla taverna in cui ci siamo rifugiati, di notte arriva il bagliore freddo delle schegge di luce provocate dallo stridere delle onde. Un riverbero che circonda il corpo di Anna, che mi chiede di spogliarmi, di spogliarla. Ma si confonde, mi chiama Mattia. Non so cosa pensare. Non sono io e invece questa scena avrei tanto desiderato viverla io.
Al mattino ripartiamo. Anna sempre alla guida del camper, ancora fra strade tortuose, fra nebbie, raffiche di vento forse anche pioggia. Più avanti il paesaggio cambia. Tutto si fa calmo. Il silenzio incombe dappertutto. Probabilmente qualcosa che parte da lontano, da un orizzonte che appare infinito sul mare, arriva fino a me, fino a noi, ad assorbire tensioni.
Arriviamo in una baracca in riva al mare come dentro un sogno. Anche i fiori alla finestra non esistono. E neanche lo zoppo che li ha disegnati, un’idea di barbone, che si mette a parlare con Anna.
Non ho afferrato cosa di sono detti ma dopo un po’ l’uomo trascina la sua barca in mare, vi saliamo tutti e tre e arriviamo su un’isola che non avevo notato prima. L’uomo ci lascia lì e ritorna alla spiaggia da dove ci eravamo imbarcati.
Anna mi svela le sue intenzioni. Dice che nostro figlio nascerà su quest’isola, in compagnia di capre, galline, tra gli alberi e il suono delle onde. Ancora una volta è lei a decidere, anche quando non c’è. 
Quell’idea, nata, no, partorita, no, costruita, no, ideata, ecco, quell’idea è stata ideata altrove, dentro quella taverna. La notte d’amore, mentre fuori imperversava la tempesta.
Non l’avevo capito. Non avevo capito niente. O non volevo. O non ero pronto. Ho bisogno di Mattia. Anche Anna. Io mi faccio da parte. Una scelta non mediata. 
Ho qualche mese di tempo per preparare la fuga. Sto facendo pratica con una piccola barca abbandonata in mezzo ai rami sulla spiaggia. Giorno dopo giorno guadagno più convinzione, maggiore sicurezza, arrivo facilmente a remare. 
Anna, vorrei confessartelo, non ho il coraggio di essere il padre di tuo figlio. 
Ma nemmeno questo mi riesce.

Sono già al largo anche se non so dove dirigermi. Non so come orientarmi. Dopo ore solitarie, lunghissimi giorni, non so quanto tempo su quella barca, la decisione è presa. Mi lascerò andare. Mi lascerò finire in mezzo all’infinito. 
In un’alba inattesa, forse dal fondo di un incubo, si fa incontro un battello di turisti. Mi carica su. Non capiscono cosa hanno pescato, se un pirata o un naufrago. Mi rinchiudono dentro una grande gabbia per uccelli. 
Divento lo zimbello di tutti. C’è persino chi mi fotografa, come fossi chissà che strana creatura esotica. Intuisco che questi comportamenti rispondono ad un bisogno di creare un mondo inesistente, così da poter raccontare al ritorno di pericolose avventure vissute nel mezzo di un oceano, di emozioni mai provate prima. 
Mi accorgo che la gabbia non ha serrature. Esco e ritorno tra la gente. Scaduto il tempo della cattività, vengo accolto come uno di loro. Ritorno alla normalità.
Sbarco e penso di ritornare a B. dove mi aspettano moglie e figlio. Mi avvio con una bicicletta raccattata non so dove. Arrivo, a fatica, dopo ore di enormi sforzi, sudori e pedalate, in una città. Non so dire quale.
Ho finito da un po’ le pillole. Scorgo una farmacia, mi trattengo davanti alla vetrina. Non ho più forze. Crollo stremato. Mi raccoglie un poliziotto e mi porta in ospedale. È come ritornare in un rifugio, dove si aggirano figure note, in luoghi familiari, da cui non mi sono mai allontanato.
Mi rimettono in sesto. Ho ritrovato le pillole, il mio rimedio contro la depressione e non so cos’altro. Mi sento di uscire. Di scappare anche da questo carcere, un’altra gabbia. 
Ma non sono io. E me lo chiedo, chi sono. Paolo, no, Antonio, no, Mattia forse, non ricordo più il mio nome.
Ho addosso i vestiti di un altro degente rimasto rinchiuso in ospedale. 
Nel cappotto un documento con un nome, Joannhes. 
Un bel nome, mi piace. 
Esco nell’aria fresca. Per quest’altro viaggio chiamatemi Joannhes.


Carmelo Conforto
L'uomo che inghiottì una guardia municipale
IBISKOS EDITRICE


domenica 21 luglio 2019

Cara amica - 5

Descrivere la vita mentre la vivo. Raccontarla nei minimi dettagli. Ma non sempre mi riesce. Non dico raccontarla, quanto viverla.
Vorrei descrivere tutto al presente. Perché poi non ricordo niente. Oppure perdo tante cose.
Quando penso di essere con lei, quando immagino i dialoghi, mi sembra di essere dentro un libro, dentro una storia già scritta. Capita a volte anche l’opposto. Che quando leggo, cioè, vedo nelle pagine scritte la nostra storia.
Insomma, ho la sensazione di essere sempre nei posti sbagliati, che non sono poi molti, giusto quei due o tre luoghi, fisici e non solo, fra l’altro confusamente assimilabili, in cui trascino la vita praticamente da un’eternità impassibile. O impossibile?
Alla lunga mi persuado di non avere niente da giustificare nei miei comportamenti. Forse solo perché non so, cioè non saprei come farlo. 

Quando leggo, il momento in cui sono più sicuro di vivere. E quando sono in contatto con lei, che anche quando non c’è, comunque in me lavora in background, non si allontana mai, mi riempie la vita persino nel sonno, anche nei sogni.
Mi dice che non spiego mai niente, che di certe cose con lei non parlo mai, oppure che ne scrivo soltanto. Che sono pudico, ma non sento la sua voce, so però che si riferisce di certo ad argomenti di natura sessuale, così li definisce. 
Ma io mi trattengo, sono discreto, non uso certi termini, e forse invece dovrei, ci sono nel vocabolario, fanno parte della lingua, parlata e non, e dovrei provare a dirglielo, tanto per cominciare, che vorrei farmi una bella scopata con lei, che vorrei che me lo prendesse in bocca e ci giocasse, dovrei provare ad essere più esplicito, senza bisogno di giustificazioni. 
Ci ho anche provato a dirglielo, anche senza usare questi termini, ma dovrei liberarmi anche nell'uso della parola. Forse riuscirei ad ottenere qualcosa in più che un semplice …

mercoledì 10 luglio 2019

Cara amica - 4

Cara amica, ho indugiato un po' prima di riprendere a scrivere perché il caldo non mi ha lasciato scampo. Perché ho aspettato che la lieve brezza del mattino mi consentisse di respirare 
E poi, i tuoi occhi di miele mi fanno perdere la concentrazione. Più passano le ore più ci sprofondo ad una velocità incontrollabile.

Ho la sensazione che debba giustificare qualche comportamento non del tutto corretto. Un sentirmi eternamente in colpa per qualcosa che non so, che forse non ho nemmeno commesso. 
Vivo così da tempo. Un senso di colpa a prescindere. Ho poche certezze. È un grosso problema questo mio modo di sentirmi.
A volte non ho chiaro chi sia il destinatario di queste mie riflessioni. Potrebbe essere chiunque. Non una caratterizzazione ben definita.
Ancora una giornata nulla. Un altro giro di giostra, suggellato da un’altra luna nuova, l’ennesima. Quante dovrò viverne ancora? Mi stancheranno prima o poi. Mi stancherò.

Mi ha confessato che le manco. Che vorrebbe vedermi. Forse più spesso. Mi ha detto tante cose negli anni. Che vorrebbe fare l’amore con me. Che vorrebbe un figlio. Che nel suo progetto di famiglia ne vorrebbe anche più di uno. Ha già scelto i nomi. 
Mi ha detto che mi ama. Io non so se crederle. Non so se davvero qualcuno è mai stato interessato a me, alle mie sorti. Se qualcosa ho rappresentato per chicchessia. Sembra sincera. Ma non sono pronto o non mi sento all'altezza. E forse nemmeno lei. 
Cosa ce ne faremmo allora dei nostri corpi? Cosa delle nostre storie? 
Non mi sento di abbandonarmi a lei. Di darmi a lei. Anzi, a nessuno, a dire il vero. È già tanto che riesca a sopportarmi così come sono.

Si sveglia di notte per comunicarmi tutto questo. Mi sveglia di notte. Non so che fare.
Tutti sanno cosa fare. Solo io arranco, ed anche con enorme fatica. Pochi passi. Solo qualche pagina stanca. Mi riprometto di non mangiare più. Cioè, di mangiare il minimo indispensabile per sopravvivere. Ma non mi riesce bene nemmeno questo. Sto aumentando di peso impercettibilmente. Devo correre ai ripari. O forse sarebbe sufficiente correre e basta. Ma mi manca la forza ed ho tanta confusione in testa.

Vivo un’altra vita quando leggo. È il mio sballo preferito. La lettura mi porta lontano. Non c’è niente di tutto il resto. Né giorno né notte. Né fatica e nemmeno il lavoro, il domani. Ed è sempre più così. Il tempo della lettura non è per nessun motivo tempo sottratto alla vita. Tutt'altro. Esisto solo in quei momenti. E un po’ anche quando dormo, nei sogni. Mi chiedo se sia normale.
Ma leggo non per imparare. Solo qualche suggerimento per una vita meno arida. Per trovare qualche risposta di cui appropriarmi o da rivendicare come mia quando voglio fare una battuta un po’ originale, più o meno intelligente che la faccia sorridere almeno un po’. Faccio la mia bella figura. Tanto, non lo scoprirà mai. Legge altro.
Ho bisogno della lettura, la mia unica cura. Me la somministro in varie dosi nel corso della giornata. Prima o dopo i pasti. Prima e dopo i pasti e, a volte, anche durante. Pastiglie, compresse, pillole, capsule in blister, sciroppo, in fiale, in crema, in vena. Comunque e ovunque. Rimedi vitali. Farmaci essenziali.

Siamo come amici che si raccontano delle cose, anche intime. Però a volte non riesco a raccontarle nemmeno a me certe cose. Per questo provo a scriverne ma alla fine di ogni lavoro mi accorgo che non ho scritto niente, che ne so meno di prima.

Ho più di una donna in testa. A volte nello stesso tempo. Ma non riesco a star dietro neanche ad una. Dovrei adeguarmi ai loro linguaggi, ogni volta diversi. Dovrei seguirle in tutte le loro metamorfosi. Cambiano anche a seconda del momento della giornata in cui leggo. E anche a me piacerebbe sognare di essere un uomo. Di quelli veri. 
Quando ancora facevo l'amore non sempre ero soddisfatto. Non capivo nemmeno se l’accompagnatrice di turno aveva tratto un qualche piacere da quel rapporto. O forse non volevo saperlo. Mi illudevo che tutto era andato bene, almeno per lei. 
Non ero di quelli che, una volta finito il rapporto sessuale, aveva subito voglia di ricominciare. O forse sì, però non c’erano le condizioni. Avevo bisogno di un lungo periodo per ricaricarmi, che poteva durare anche giorni. 
Nei momenti migliori, quando le energie fisiche e soprattutto mentali in qualche modo mi soccorrevano, andava bene se il giorno successivo ero pronto per un’altra impresa sessuale. Altrimenti poteva passare tanto tempo, con la conseguenza che il rapporto si raffreddava e mi toccava cominciare di nuovo dall'inizio e prima di un'altra scopata ce ne voleva.
Non doveva essere così una storia. Anche nell'immaginazione doveva essere diversa. Non che sia esperto di queste cose, però mi pareva che dovevano prendere un’altra piega. Invece, anche in queste situazioni, le solite incapacità.
Vorrei sceglierne una e continuare con lei. Solo con lei. Non so già per quanto tempo. Non ancora. Quella con gli occhi di miele, ad esempio. Quantomeno riesco facilmente ad identificarla. Adesso non so dove sia.  Vorrei un abbraccio, per sondare la consistenza del seno.
È un termine di confronto che ha la sua utilità. Dai, mi viene da chiederle, fammelo vedere, tanto per cominciare. Poi passerò alla fase due, che non ho ancora programmato, però a quel punto penso che dovrebbe venire naturale. Una seduta di sesso, intendo. Del resto, non abbiamo altro o molto di cui parlare. Mi piacerebbe anche introdurre nuovi argomenti, mai affrontati, però lei non è che abbia tutta questa gran voglia di parlare.

(continua)

lunedì 1 luglio 2019

Cara amica - 3

Cara amica, mi piacerebbe uscire fuori dai confini. 
Mi sono svegliato con questo pensiero oscuro, con questa frase in testa. Evidentemente di notte si è fatta strada e si è mantenuta in posizione di pausa fino al risveglio, fino a svegliarmi. In attesa di manifestarsi del tutto. Di uscire. Precisamente dai confini limitati della sfera dell’incoscienza, per palesarsi come una necessità prima ancora che come un invito. 
Sì, vorrei valicare i confini del lecito, quando penso a te, quando parlo di te, quando mi rivolgo direttamente a te perché non so farlo quando mi sei vicina. E allora vorrei dirti tante cose, a partire da quelle due parole che non mi escono, Ti amo, di cui un giorno forse riuscirò a capire il vero senso, l’autentico significato. Per poi proseguire, e provare a spiegarti qual è il modo in cui effettivamente mi piacerebbe amarti. 
La lenta trasformazione dovrebbe avvenire dentro me. Non riesco a coinvolgere nessun altro. Quando ci provo perdo il senso dello stare al mondo. E non c’è nessuno che possa aiutarmi in questo.
Vorrei parlare con te oppure raccontarti in qualche modo i nostri dialoghi.
Ma penso che occorra recuperare un po’ di amore, almeno un po’. Perché ci possa essere amore, mia cara amica, devo rinvenire la possibilità di scrivere una storia. Forse non l’avevi capito. E come potevi? Non ti ho mai parlato della mia passione. Col tempo è diventata qualcosa di più coinvolgente. Al punto da succhiarmi ogni briciolo di energia. Non vedo il mondo diversamente. 
Tu fai parte di questa storia, un personaggio di un romanzo senza fine. Talmente dentro che anch'io non riesco più a trovare la via d’uscita. Ho paura di abbandonare questo mondo. Non vedo niente fuori. Niente di degno di essere vissuto. Per questo vorrei stare con te. Adesso ci sei tu. Adesso sei la mia morte. Non so vivere senza di te. Mi capita spesso, o forse sempre. Ho bisogno di annullarmi come essere per poter ricominciare altrove. Non sto bene in questa vita. Non sto bene in questo mondo. Ho bisogno di fissare questi momenti. O potrei non incontrarti mai. Mai più. Per questo ti sto scrivendo. Sento nascere dentro me questo intreccio che riesco a sbrogliare solo raccontandoti.

A volte la menzogna è la più grande verità. O se non esattamente la più grande, per lo meno quella più accettabile. Ci faccio i conti di frequente con questa convinzione. E alla fine mi accorgo che si tratta di calcoli esatti, sia pur con una certa approssimazione. Quel margine di errore, l’idea di correggere le sbavature e le imperfezioni è ciò che maggiormente mi dà la forza di continuare. La prospettiva, cioè, di non dover più seguire l’esempio degli altri, ma di fare finalmente di testa mia, di assecondare solo le mie idee. Segno che dovrei averne ancora qualcuna degna di essere perseguita.

La menzogna è quello che vivo quando penso di essere con lei e che invece, anche quando ce l’ho di fronte, è come se non esistesse perché se anche ci parlo, se anche mi parla, sto pensando ad altro, sto cercando di capire come fare per trovarle un posto o un ruolo nella storia che ho in mente. 
La menzogna è non vivere proprio mentre sto vivendo. Sperimentare una dimensione diversa da quella in cui sono immerso. Tutto questo io lo considero un grande imbroglio. Imbroglio sono io, imbroglio è lei, imbroglio sono gli altri, chi assiste a questa scena, imbroglio chi sta scrivendo questa storia, imbroglio persino chi la sta leggendo o si appresterà a breve a farlo.

(continua)