Lettori fissi

domenica 28 aprile 2019

Grande Era Onirica - 1




Marta,
forse, se così si può dire, ti ho presa un po’ sottogamba, cioè non ho dato molto credito alle tue potenzialità. Sia chiaro, non avevo un motivo preciso per comportarmi così. Semplici sensazioni. Mi ero fatto abbindolare, almeno così ho pensato inizialmente, da non so che recensione su uno di quei blog in cui mi capita di incappare di tanto in tanto navigando in internet. E così sono corso subito in libreria.
Adesso però che ho superato la metà di questo libro, letto forse anche distrattamente, senza l’attenzione che meriterebbe, non comunque con quella dovuta ad un buon lavoro, ecco che mi ritrovo a pensare, anzi no, a farmi assalire da una sorta di pentimento o, ancora peggio, di rimorso, per non averti presa sul serio fin dall'inizio.
Ma per fortuna niente è andato perduto, c’è tempo per rifarmi. Sono certo che riuscirò a riparare a questo torto, commesso un po’ troppo imprudentemente e che mi stava facendo perdere una buona occasione.
Sì, perché, arrivato a questo punto, mi sembra giusto metterti al corrente di un mio desiderio, cioè che io una storia con te vorrei farmela. Penso proprio che ci possa star bene. Prima di chiudere questa lettera avrò modo di precisare le mie intenzioni. Almeno spero. Nel frattempo arriverò alla fine del libro, non mi piace interrompere bruscamente la lettura, per poi ripartire per un’avventura più consapevole.

Forse è colpa di questo tuo modo di raccontare, narrazione non organica, se mi capita di perdermi con una certa frequenza fra le parole che non sempre riesco a seguire.
Non mi è molto chiaro il concetto che con quell'espressione intendi comunicare. Nondimeno, ne percepisco, sia pur confusamente, gli effetti su di me.
Prova a metterti nei panni anche del lettore. Lo stile non è abbastanza ostico. Quasi facilmente leggibile. Ha tuttavia qualcosa che mi ispira. Proverò a spremerci qualcosa di utile per le mie storie.
Certo, qualcosa c’entrerà quel cognome, doppio, per di più, che qualifico strano, tanto per mantenermi dentro i confini della decenza, o della discrezione. E poi la copertina, tutta nera, in cui si distingue un corpo nudo nell'atto di precipitare, o forse è un tuffo, in una posizione rannicchiata. Non è facile capire verso dove sia diretto, forse verso un baratro composto.
Per non parlare, poi, del titolo. Una formula che si adatta alle situazioni vissute di volta in volta dalla protagonista che, non dovrei dirlo, ma io la associo a te. In fondo ha lo stesso tuo nome. Cioè di quella vera, di chi ha scritto il romanzo, l’autrice reale, in carne ed ossa, che mi piacerebbe conoscere e poi, sì, non solo lo stile.

Ma tu mi vuoi bene?
Sì, lo so, pur con tutti i distinguo, anche considerando i tanti livelli ed i ruoli differenti, le stratificazioni della narrazione entro cui sono inseriti gli svariati piani, addirittura ogni frase, io, tuttavia, queste parole le considero come rivolte direttamente a me. A me personalmente. Perché questa è una storia che riguarda me, sono sicuro. Lo capisco da come sento di essere particolarmente coinvolto.
Come rispondere? Dovrò pensarci, lo ammetto, nonostante tutto non ero preparato. Non a tale sfrontatezza. O forse non devo considerarla in questi termini. Comunque, alla prossima lettura, quando ritroverò quella domanda, già sarò pronto e…., staremo a vedere. Non vorrei sbagliare mossa, giocarmi tutto alla prima esitazione.

Le parole che leggo hanno un senso diverso da quello che dovrebbero avere. Ma non è detto che debbano averne solo uno. Ed allora, la mia interpretazione diventa una delle tante possibili. Faccio quello che voglio col testo, ciò che ogni volta più mi serve. Solo così riesco a sopravvivere, a trovare un appiglio, come un’ancora di salvezza, in questo caos che è la vita e in cui mi perdo di continuo.
Nelle letture ho bisogno di trovare situazioni di difficoltà, di disagio. Cerco il panico, un fantasma, la depressione, il disturbo di personalità, una malattia, un incubo, un malessere qualunque, qualcosa, insomma, che mi faccia star bene. Oscillo entro i confini di questo costante paradosso. Solo così riesco a vivere.
Ma non sono io a cercare queste situazioni. Sono loro che mi inseguono, che mi scovano e non so come ma riescono sempre ad avere successo. Mi sento osservato, spiato. Ma mi trovo bene a nuotare in quest’altra angoscia. Mania di persecuzione.
Il mio compito, l’ho stabilito io, è capire se, ed eventualmente come, questo romanzo ha cambiato la mia vita. O, più verosimilmente, in che misura abbia potuto incidere. Non tutti i libri letti mi hanno lasciato qualcosa. Alcuni non sono nemmeno sicuro di averli mai letti e, tra quelli letti, ce ne sono alcuni di cui non ricordo assolutamente nulla.
I libri sono i miei tarocchi. Li leggo, li scruto, li analizzo, li interpreto, per trovarvi la chiave che meglio mi possa aiutare a vivere.

Ho perso qualcosa per il fatto di averlo già letto, questo libro, che giro e rigiro tra le mani in attesa di ripartire?
Quando ho cominciato, la prima volta, non volevo impegnarmi in un rapporto quasi carnale, come pure a volte avviene quando mi dedico a letture intense e difficili. Pensavo fosse più facile, qualcosa utile a trascorrere tranquillamente qualche momento di evasione.
Stavolta invece mi sembra di essere di fronte ad uno di quei casi in cui occorre fare una riflessione più oculata, prestare un’attenzione più minuziosa. Non so bene in che punto, ma c’è di certo qualcosa che mi spinge ad approfondire la questione. Devo prendermi il tempo necessario per capire con esattezza cosa. Non so se riuscirò nell'impresa, ma almeno ci avrò provato.
Intuisco che ci deve essere qualcosa di buono. Già, mi fa quasi ridere questa dichiarazione. Chi sono io per dare un giudizio?

Marta, io vorrei provare a fare una valutazione partendo solo dal testo. Del resto, non possiedo molto altro. Qualche informazione raccolta qua e là su internet, ma non voglio distrarmi ulteriormente. La mia deve essere una storia d’amore. O di odio. Oppure di assoluta indifferenza, anche se quest’ultima partita l’ho già persa. In ogni caso solo una storia tra me e le parole del libro.
Quando leggo vivo solo di quello. C’è poco o null'altro attorno a me. Cerco ogni volta di affinare la sensibilità, indovinare quella che più si addice al contesto in cui provo ad accedere, pur con ogni cautela possibile. Questa volta mi piacerebbe entrarci con tutta la mia fisicità, con l’essere corpo, per apprezzare al meglio la materia di cui è fatta la storia che sto per affrontare, quella che ho davanti, e di cui  vorrei essere in un certo senso coprotagonista. Ma, ad essere sincero, mi andrebbe bene anche un ruolo secondario, una comparsa all'apparenza indifferente, ma comunque presente, e pronta a riferire quello che sente, che vede, quello che percepisce o che intuisce.
Sappi che il libro lo tengo sempre accanto a me. La senti la vicinanza? Lo avverti il calore del mio corpo? Vorrei tuttavia raggiungere la giusta confidenza prima di ricominciare. Quando quel momento arriverà qualcosa scatterà senz'altro dentro me. Drizzo le antenne, non voglio perdere nemmeno un secondo. Sfrutto ogni momento, soprattutto di notte, quando il richiamo si fa più forte.
Ogni minimo rumore si appalesa come un tocco alla porta, qualcuno che bussa, che vorrebbe entrare. Non so se aprire. Devo conservare la calma, la giusta concentrazione. Sono io a dover entrare nei tuoi pensieri attraverso le parole del libro, non accetto distrazioni di sorta.
Aspetto il momento opportuno per agire, l’occasione propizia per muovermi, mi serve una chiave di accesso alla tua mente. Solo così potrò ricominciare.
Forse questa notte, nei sogni, troverò un rimedio valido, la forza necessaria per svelarti le mie vere intenzioni, entrare cioè nella tua intimità. Potrà così emergere la parte femminile che è in me. Una trasformazione necessaria per sentirti più mia, per essere te.
Dove mi condurrà questa finzione, che fa rima con fissazione?
Ho come l’impressione di aver rovinato la festa. Ma quale festa? La lettura per me non è mai un divertimento. Non mi addentro in un libro come se stessi partecipando ad una festa. Piuttosto ad una sfida, ecco, una battaglia, una lotta, anche atroce a volte. All'ultimo sangue sarebbe esagerato, ma di certo qualcosa che vi si avvicina parecchio.
Non so mai come uscirò da una lettura. Non intendo dire se ne verrò fuori cambiato, ed eventualmente in che direzione. No, ma so che si tratta quasi di un pericolo, l’azzardo di una zebra che deve attraversare un fiume infestato di coccodrilli o quello di una gazzella che si aggira spaurita per la savana, consapevole che da un momento all'altro potrebbe spuntare dal niente un branco di iene affamate.
Quando leggo avverto simili minacce. Il pericolo è grande. Forse non è esattamente la vita ad essere in gioco, ma sono consapevole che potrei subire danni notevoli da questa operazione, ferite non facilmente rimarginabili.
L’approccio ad un libro, l’avrai capito, è sempre un rischio per me e se, alla fine della storia, sono ancora integro, sia pur profondamente cambiato, allora considero l’impresa come un successo.

Ma finora ho parlato della lettura in generale. Da questo momento, invece, mi appresto ad affrontare un testo che, sebbene abbia già avuto modo di leggere, sia pur non con la dovuta attenzione, tuttavia mi desta qualche preoccupazione. Per questo penso che la festa, se di questo si tratta, è quasi ormai compromessa.
Nonostante tutto, sono pronto. Nel senso che mi sembra di aver messo in campo tutte le contromisure del caso. I conti si faranno alla fine.
Quelle piante, tanto per cominciare, non so cosa siano. Potrei verificare con una rapida ricerca, ma non mi va. Rimango nel dubbio, in un’aura di confusione che, comunque, mi rende nervoso.
Forse non ti farà piacere quello che sto per dire ma ritengo che dovevi fare uno sforzo per essere più precisa dando qualche altra informazione per facilitare la lettura. Ad esempio indicare le piante con un nome più familiare, non con quello scientifico, perché, se proprio vuoi saperlo, la mia prima reazione è stata che, no, non gliela do la soddisfazione a questa qua di sprecare il mio tempo, aprire una pagina internet o verificare nel dizionario di botanica, che non sfoglio da tanto tempo ormai e che sarà pieno della polvere di anni.
L’avevo comprato … non ricordo più neanche dove e tantomeno mi va di sforzarmi di ripescare qualche indizio in una memoria che non sempre mi aiuta.

Non sono riuscito a trattenermi, lo confesso. Alla fine ho ceduto ed ho consultato il dizionario. Ma tutto questo sfoggio di erudizione, per cosa? Solo per indicare due banalissime piante che anch'io ho in casa. No, non ho il pollice verde se è questo che volevi sapere. Non sono io a prendermi cura delle piante. E queste due, adesso che ci penso, ce le ho davanti agli occhi da anni. Ma per quanto mi riguarda potrebbero anche non esistere. A me bastano i libri. Non ho mai abbastanza tempo per leggere, figuriamoci per star dietro alle piante.
Ma sto divagando. Mi lascio prendere facilmente la mano da certe descrizioni e poi mi perdo dietro ai pensieri, lasciando da parte il testo che, pure, era stato il punto di partenza delle mie distrazioni. Ecco perché può sembrare che a volte non abbia ben chiaro chi sia il destinatario di queste parole, o l’interlocutore con cui mi confronto.
Anche questo svariare tra prima e terza persona può apparire come un indice di incertezza, di insicurezza. E forse è anche così. Non sarà che anch'io abbia necessità di rivolgermi ad uno psicoterapeuta? E non sarà che questo continuo pormi delle domande, questa incalzante attività tendente a farmi rivelare più cose possibili di me, con la scusa della lettura di questo romanzo, non sarà anche questo un preludio ad una situazione di malessere, in cui ben presto potrei precipitare?
Ora, non so bene di che entità potrebbe essere, ma qualcosa di certo c’è che non va in me. Ma può darsi che succeda così a tutti. Per adesso, però, lascia che mi occupi di me, mi interessa preservare solo la mia sanità mentale, anche se non sono del tutto sicuro che il modo migliore per farlo sia quello di ritornare su questo romanzo.
Sono un po’ fatalista, forse anche un po’ troppo e questo tergiversare nervoso può darsi che sia un modo per scongiurare prevedibili momenti di panico, quando non addirittura di angoscia, in cui sento di precipitare se intraprendo questo percorso, quello cioè di voler comprendere in tutto e per tutto la storia raccontata, di cercare di penetrare nella mente di un personaggio che ha dalla sua la depressione, come una corazza dentro cui rifugiarsi, senza accorgersi, oppure disinteressandosi completamente, di come nel frattempo gira il mondo.

Sono disposto ad accettare tutto? Parlo delle regole del gioco, quello che si svolge nella stanza di un eventuale psicoterapeuta. Sono pronto a raccontare tutto, ma proprio tutto di me, ad una persona sconosciuta, una con cui, sia pur a fatica, col tempo potrebbe instaurarsi un certo tipo di rapporto?
Potrei cominciare a farlo scrivendo, raccontandomi, pur non avendo delle linee guida da seguire. Immagino di trovarmi di fronte a questo professionista. Per l’occasione si tratta di una donna. Non conosco il suo volto. Mai vista. Neanche in foto. Cosa mai vorrà sapere di me? Quante volte scopo in una settimana, o al mese? Lo so, sono tutte storie di sesso quelle che cercano questi tipi. Gira e rigira tutto va a finire là, è risaputo.
Ed io, da questo punto di vista non è che avrei molto da raccontare. Che fare allora? Ce ne staremmo zitti a guardarci l’un l’altra per tutto il tempo? E dovrei pure fingere di essere soddisfatto quando, alla fine della seduta, mi toccherebbe tirare fuori i soldi? Con me queste cose non funzionano, lo so già, non servono a guarirmi perché, se pure dopo un po’ di tempo dovesse arrivare qualche successo, cioè qualche miglioramento, penso che la cosa non potrebbe continuare per molto proprio a causa di quel gesto che mi farebbe attorcigliare le budella e venire un tale mal di testa che poi ci metterebbe un bel po’ prima di dileguarsi e scomparire del tutto.
Il gesto, tanto per essere chiaro, è quello di tirare fuori i soldi dal portafogli per pagare quella maledetta sanguisuga, e per di più doverla anche ringraziare con un finto sorriso che mi fa crescere una rabbia dentro che la ammazzerei seduta stante.
Potrà anche darsi che questi appuntamenti apportino qualche progresso nella cura della mia malattia mentale ma chissà quante dosi di gastrite o di chissà quale altra diavoleria nel frattempo mi sarò beccato a forza di buttare così i miei soldi.

Ma, è bene che lo sappia, non è solo la storia delle piante e dei nomi latini che mi innervosisce. Non sopporto che, secondo lei, secondo la tipa che racconta, uno debba sapere cosa sia o cosa si impari in un corso di EMDR. Non l’ho saputo fino ad oggi e penso di poter continuare tranquillamente a vivere ignorando cosa si nasconde dietro questa sigla. Non sarà mica la chiave di lettura dell’intero testo?
Io, comunque, vado avanti lo stesso. Casomai, se ad un certo punto dovessi rendermi conto che sarà fondamentale conoscere il significato di quell'acronimo per riuscire a capire la storia, vorrà dire che chiederò lumi a Google.
Per adesso, tra piante dai nomi astrusi e sibillini e questo misterioso EMDR, ce n’è abbastanza per indispettirmi ed è già tanto che non abbia afferrato il libro e non l’abbia scagliato dritto dentro il secchio dell’immondizia.
Ma sto esagerando, stai tranquilla, cara la mia autrice, non lo farei con nessun libro. Buttare libri è un delitto, figuriamoci se lo faccio col tuo. Solo, cercherò di proseguire in qualche modo, perché sono ore che non riesco a smuovermi dal primo capitolo, che poi non è nemmeno un capitolo, ma insomma, intendo dire dalle primissime pagine.

(continua)

Marta Zura-Puntaroni
GRANDE ERA ONIRICA

lunedì 22 aprile 2019

Incipit

Cosa penseranno le persone a vederti così, in mutande, stravaccato sul divano a leggere, ed io, che non volevo pensarci, mi ritrovai improvvisamente nella situazione di dovermi soffermare a riflettere, ragionare su quello che mi aveva appena fatto notare, non sapevo, non avevo idea di cosa fare, come comportarmi, vestirmi sarebbe stata una sconfitta in un’ipotetica battaglia o comunque una gara tra me e lei, dargliela vinta, ammettere che sì, stare sdraiato nudo come un verme sul divano per gran parte del giorno non era proprio il massimo, anche se il tempo lo passavo leggendo ed arricchendo il patrimonio da cui speravo di ricavare un giorno qualcosa di buono, qualcosa che mi permettesse di tirare avanti con una certa regolarità, e a dire il vero ci provavo anche, non stavo solo a leggere, provavo a buttare giù qualcosa, l’abbozzo di una storia, avevo già iniziato centinaia di racconti, migliaia forse, solo l’inizio, una prima parte, ne ho tanti di incipit, più o meno lunghi, a seconda della durata che mi concedeva l’abbrivio, poi, quando finivo la carica iniziale, che scrivevo quasi in apnea, per non perdere nulla, per non compromettere l’ispirazione del momento, per non dimenticare tutto, mettevo malinconicamente carta e penna di lato con la speranza, quasi sempre frustrata, di riprendere non appena mi fosse ritornata l’ispirazione, oppure potevo continuare a stare così, a leggere, fin quando arrivavo alla fine del libro, o di un capitolo, o fin quando resistevo, prima di chiudere gli occhi quasi collassato, per aver letto le ultime righe o forse le ultime pagine, avrei verificato il giorno dopo, alla ripresa della lettura, ancora in apnea, senza rendermi conto di cosa leggevo, era un passare gli occhi semichiusi sulle pagine con la mente chissà da quanto scollegata, quel maledetto vizio di scrivere senza prendere respiro e soprattutto senza rivedere quello che scrivevo, mi aveva fatto collezionare innumerevoli bozze di racconti, non so se anche di romanzi, e più di una volta mi sono ripromesso di mettere un po’ d’ordine tra le mie carte e l’ordine poteva significare provare a dare un seguito a quegli accenni, a quegli abbozzi di storie che chissà come erano nate e soprattutto chissà mai come sarebbero andate a finire, avrei potuto inventare tutto ma mi sembrava di tradire lo spirito iniziale che mi aveva portato a scrivere quelle cose ma allo stesso tempo, dopo ripetute riflessioni, stabilivo che dovevo darmi una mossa e le scelte erano due, provare a dare un seguito completando i racconti oppure buttare via tutto, non fare più affidamento a quegli aborti, che per anni avevo considerato un discreto patrimonio da cui partire per la mia carriera di scrittore, ed entrambe le alternative erano argomenti per altri racconti o romanzi che questa volta però mi auguravo potessero arrivare ad una qualche conclusione, e così alla fine decisi che dovevo proseguire, quando si fa una scelta bisogna portarla avanti fino in fondo, smettere, rinunciare, equivaleva a consegnarmi nelle mani della polizia, sentivo di essere diventato come un delinquente abituale che, dopo una vita vissuta nell'illegalità, rinnegava anni di rapine in banca, assalti a furgoni portavalori, anche omicidi, ma come semplici incidenti di percorso, mai programmati, e non mi sentivo di farlo, volevo continuare, andare avanti, trovare uno sbocco a quella situazione di stallo, una soluzione l’avrei trovata, non mi sarei arreso facilmente, tutti quei fogli, li avrei ripresi, forse con l’intenzione di costruire un enorme puzzle, mi aiutavano in questo le tante letture, più libri allo stesso tempo, più mondi in cui entravo senza mai perdere di vista l’obiettivo finale, quello di costruire una realtà che mi potesse dare almeno l’illusione di vivere, a dispetto di quanto mi girava attorno, avrei certo trasformato o trasfigurato persone di mia conoscenza, costruendo un mondo di personaggi familiari, tutti potevano entrarci, senza selezioni preliminari, dovevo solo capire quali ruoli attribuire ad ognuno di loro, capire perché arrivavano certi sogni inattesi, e da dove, non previsti, chiunque poteva entrare a far parte del mondo che stavo costruendo, di più, anche le cose, gli oggetti familiari o anche ciò che vedevo per strada, tutto era buono per un verso, per un racconto, un eterno ed immenso diario che stavo ormai compilando, che tenevo da quando avevo memoria, come se la vita, quella reale, esistesse solo per essere rappresentata, semplice oggetto di letteratura, e per ogni storia avevo pronto già un titolo, L’uomo in mutande sul divano, L’incipit infinito, Donne di carta, Il fado ed altre colonne sonore, già tutto pronto, si trattava solo di sviluppare le intenzioni iniziali e per questo non mi davo un termine, anche perché non riuscivo a stabilire in partenza quanto avrei resistito senza respirare quando mi accingevo a raccontare una nuova storia e non era un particolare di poco conto o irrilevante perché tutto dipendeva da quell'aspetto, il respiro è importante nella scrittura e, questo un altro titolo a cui pensavo da un po’, mi frullava in testa senza riuscire a rendermene conto, ma quando meno te lo aspetti, ecco che appare come un colpo di vento inatteso che viene a squarciare la pesante cappa di afa che, in certi momenti, sembra soffocare la città d’estate, Il respiro della città, ed era già tutto pronto, mi mancava il tempo, pensai rattristandomi, ma poi mi dissi che non c’era fretta, dovevo solo iniziare, riprendevo vecchi attacchi di racconti, li rifacevo miei, come se mi appartenessero, episodi del passato che avevo dimenticato, non si può ricordare tutto, anche le cose più belle, quelle che lasciano un segno, è solo per un tempo limitato, certo, non scompaiono del tutto, perché ad un certo punto della vita appaiono da dietro una tenda, ed è una storia di tradimenti, momenti vissuti intensamente, senza che ci si renda conto nel momento stesso in cui si vivono, quante volte ho pensato che uscire la sera, quando l’estate stava per finire, scendere in strada per un motivo qualunque, poteva trasformarsi nell'inizio di una nuova vita, ricominciare in un mondo nuovo, come se stessi per entrare in un sogno, non vedevo confini, non ben delineati, non certi, tutto sfumava in possibili partenze o meglio trasformazioni, sentivo la necessità di cambiare qualcosa della mia vita, non sapevo cosa, ed allora, uscire per buttare la spazzatura o andare al bar per un caffè, una scusa qualunque, come se avessi bisogno di una giustificazione, poteva rappresentare davvero l’inizio di un percorso che accettavo di intraprendere, anche se non sapevo dove mi avrebbe condotto, non me ne curavo, ascoltavo il battere della signora del piano di sopra, che richiamava l’attenzione, ma non ero interessato a lei, non mi era mai piaciuta, con quella voce stridula che quando parlava sembrava una gallina stonata, e quando salutava, buongiorno caro, come va oggi, equivaleva a chiedermi se ero libero da impegni e potevo aiutarla a fare quei lavoretti in cantina che rimandava da anni, cosicché potesse risparmiare un po’ di soldi, in cambio di qualche favore o chissà, nei suoi pensieri, anche di qualche prestazione, ma ve l’immaginate, proprio sul più bello, a sghignazzare contenta, come se avesse fatto un uovo d’oro, coccodè, coccodè, no, proprio non è il caso, rinunciai a questo pensiero, girai l’angolo dell’edificio, il vento mi spolverò in faccia una zaffata di fogna, arrivata da quegli enormi buchi che lasciavano intravedere le interiora del marciapiedi almeno da due mesi, un giorno o l’altro il comune si dovrà pur decidere a tapparli, era anche per questo che cominciavo a non sopportare quella zona, ma direi di più, quella città, avevo bisogno di cambiare, di evadere, in qualunque modo, e l’avrei fatto se solo …

martedì 16 aprile 2019

Inventario

Vorrei raccontare certe fantasie, mi sto chiedendo se farlo, vorrei raccontare le volte in cui mi sono rinchiuso dentro i suoi armadi, rispettando rigorosamente un turno che non avrei mai violato, per nessuna ragione al mondo, sentivo che poteva succedermi qualcosa di male, di negativo, se solo mi fossi nascosto per due volte di seguito dentro lo stesso armadio, a morire di piacere nell'oscurità assoluta, fra vestitini lunghi, eleganti tailleur, peccato che non riuscivo a distinguere i colori, mi ero fatto l’idea che fossero adeguati più alla sua asfissiante bellezza che non alla sua altezza, riuscivo però a cogliere tutte le sfumature dei profumi, sia pur confusi uno nell'altro, era un buon esercizio, provare a distinguere le occasioni in cui avevano rivestito l’intero corpo, quasi avesse fatto un bagno dentro un lago di essenze di sandalo, qualcosa di caldo, che appassiona, che strangola persino, al punto da non permettere l’espressione, la definizione, e lo specchio grande, ondulato, doveva entrarci tutta, non un piede od un ricciolo dei neri capelli doveva restare fuori, bene in vista, in qualsiasi momento poteva averne bisogno, non voleva trovarsi nella condizione di non sapere come appariva, come stava con la gonna appena sopra il ginocchio, l’aveva comprata per indossarla con l’ultimo paio di scarpe, un po’ alte, una autentica novità per lei che aveva portato sempre scarpe senza tacco, aveva bisogno di certezze, non sarebbe mai uscita senza la conferma che tutto fosse in ordine, per questo non potevano mancare gli specchi in casa, ne aveva dappertutto, viveva come dentro un’immensa sala prove, uno specchio per i vestiti, un’altra serie in posizioni inaspettate, per permettere una vista da varie angolazioni, solo per i capelli, a portata di mano infiniti aggeggi e strumenti per le pettinature più variegate, uno specchio per i trucchi, non permetteva che qualcuno la interrompesse durante queste operazioni, che potevano durare ore, un lavoro degno di un grande pittore, il volto una superficie da dipingere con calma e soprattutto con estrema cura, nulla lasciato al caso, una ricca tavolozza di colori faceva bella mostra accanto allo specchio a forma di cuore, ingentilito da una sottile cornice di legno laccata di rosso, uno specchio per provare le scarpe, quasi all'altezza del pavimento, leggermente inclinato per consentire una visione ottimale, da più punti di osservazione, uno per la borsa, verso la fine, per un ultimo sguardo d’insieme, sulla porta, prima di uscire, per assicurarsi che davvero tutto era a posto, poteva uscire, nessuno avrebbe potuto rimproverarle nulla, era padrona di sé e della strada, di tutto quello che aveva davanti, non vedeva nulla, era solita indossare occhiali scuri, in qualsiasi condizione atmosferica, col sole o con la pioggia, sempre occhiali scuri, ne comprava spesso, in ogni città che visitava, una collezione che si allargava sempre più, andava con tutti ed ognuno le regalava un paio di occhiali, qualunque materiale o forma, purché le lenti fossero scure, al punto da rendere vane le ore passate a delineare occhi accattivanti, servivano per altre occasioni, per strada o quando desiderava solo occhiali scuri, uno specchio solo per questo, in una posizione strategica, che poteva essere all'uscita del bagno, o anche, anche sul ballatoio, dopo l’ultimo sguardo, non si sa mai, respirare l’aria con gli occhiali appena inforcati era una sensazione che non sapeva descrivere, avvertiva solo il piacere di farlo e questo era sufficiente, il cielo cambiava improvvisamente di tonalità, ed anche questa era un’esperienza che non avrebbe scambiato con nient’altro, tanto piacere le procurava, ed una volta fuori, niente poteva turbare la sua fiera serenità, le infondeva una certa sicurezza lo specchietto comprato in Marocco, uno dei tanti bazar, in quell'enorme mercato che è Marrakesh, cornice di osso di cammello, a forma di enorme bocca, sorridente, come sempre le piaceva apparire, tranquilla, lo specchietto dentro la borsa, andava con tutti, con tutti, nelle sale da ballo, ovunque potesse mettersi in mostra e adesso che era finita in una storia, cos'altro cercava, adesso che era finita nella grande rete, cosa desiderare di meglio, tutto il mondo, tutto il mondo avrebbe potuta ammirarla …

giovedì 11 aprile 2019

Quaresima alle Cascine

A corto di ispirazione ero uscito di casa e mi ero avviato verso il parco dove, come ogni domenica di quaresima, si tiene un grande ed animato mercato, ero certo che lì, tra migliaia di persone, avrei trovato una storia da raccontare, o almeno qualche storia si sarebbe presentata a me per chiedermi di essere riportata e a quel punto non avrei potuto rifiutare, non avrei potuto dir di no, avrei trovato io le parole, non serve immaginazione in contesti del genere, a volte sono proprio queste situazioni che invogliano a raccontare cose che altrimenti non sarebbe possibile trovare altrove o rimanendo a casa ed allora, quando le cose si fanno impetuose, impellenti, addirittura invadenti, ciò che più desidero, è scappare, rifugiarmi all'ombra di qualche albero, ché nel parco di alberi non ne mancano di certo, ero comunque uscito con le buone intenzioni, prendere solo quello che il tempo mi avrebbe dato, senza forzature, mi ero perciò infilato nella moltitudine di gente, di tutte le razze, di tutti i colori e quando dico tutti i colori ovviamente non si deve immaginare di ritrovarsi di fronte la gamma di sfumature che compongono l’arcobaleno così come a volte capita di vedere nel cielo dopo una breve pioggia, è semplicemente un modo di dire e di cosa vivo, continuo a chiedermi ancora oggi, se non di modi di dire ormai, da quando ho deciso di rinunciare a tutto per dedicarmi alla scrittura come una fonte di energia, l’unica in certi momenti, l’unica che sento utile a farmi andare avanti, ed era proprio quello che stavo sentendo quella domenica pomeriggio assolata, tanto assolata che mi ero pentito di essere uscito con la maglia di lana, mentre tutto attorno, le persone, le donne soprattutto, cominciavano a spogliarsi, ad esporre sempre più parti di corpo, che vedevo lentamente abbronzarsi, quasi in diretta, al punto che non riuscivo più a distinguere le donne abbronzate dalle mulatte e poi, a seguire, queste ultime dalle africane, quelle autentiche, che a loro volta si situavano all'estremo opposto delle donne dell’est, che nella mia ignoranza confondevo in un’unica razza, includendovi rumene, slave, le più disparate provenienze, donne originarie dalle repubbliche un tempo appartenenti all'Unione Sovietica, la ricordo ancora questa espressione, polacche, tutte insieme, in un unico calderone indistinto, ed il caldo, il primo sole di primavera, rendeva difficile questa domenica di quaresima ed io, col maglione arrotolato ai fianchi, facevo sforzi enormi per farmi strada tra quella folla sudata e scomposta, una processione ad adorare banconi di merce in offerta, capi d’abbigliamento intrisi degli odori della porchetta, del lampredotto o di altri cibi bolliti, fritti, arrostiti, scaldati e promozioni assolutamente da non perdere, e mi chiedevo se fosse davvero quello il posto migliore per trovare ispirazione, perché lì non c’era assolutamente nulla da inventare, semmai da inventariare, bastava fare un elenco di cose viste, ascoltate, dialoghi afferrati al volo, nelle varie lingue che inquinavano l’aria, da combinare con quelli di due persone che litigavano sul prezzo di un paio di forbici da potatura, con l’arrivo della bella stagione un articolo molto richiesto, le novità nel campo della pulizia delle pentole, o dei vetri, sempre valide, provare per credere, con la solita formula, soddisfatti o rimborsati, diritto di recessione e via discorrendo, ed il gioco è fatto, le donne si spogliavano, le vedevo come in una sequenza di fotogrammi man mano che andavo avanti, che proseguivo lungo lo stretto corridoio che riuscivo a ritagliarmi tra un numero incalcolabile di individui sudati e bambini che piangevano in russo, in arabo, in spagnolo, in cinese, in indiano, in toscano anche, perché di rischiare di rimanere soffocati in mezzo a quella moltitudine non ne volevano proprio sapere, e si spogliavano anche perché il caldo aumentava sempre più e non sembrava volesse finire mai, così come sembrava non volesse mai finire la marcia verso un nulla infinito, dove mi avrebbe portato, mi chiedevo, avendo soprattutto in vista l’obiettivo principale della mia uscita, dove avrei trovato il personaggio, in mezzo a questa folla asfissiante, disposto ad accompagnarmi per un lungo tratto di strada, possibile, mi dicevo, che non trovo un individuo, uno qualunque, disposto a confessarmi un segreto, cosicché io, a mia volta, possa farlo mio e svelarlo, raccontandolo al mondo, non certo per profitto personale, è che ormai da tempo mi propongo come tramite tra il particolare e l’universale, tra l’anonimato ed il mondo che è lì in attesa, non aspetta altro che di conoscere storie, un mondo desideroso di pettegolezzi, uno che è fatto di persone curiose, pronte a sbirciare da uno spiraglio, da ogni angolo, per immaginarsi una vita meno misera, meno grigia, e per questo viene al mercato, dove c’è più scelta, ero pronto, a volte sento di avere questa missione, sento di essere stato inviato su questa terra al solo scopo di alleviare le pene del mondo, un santo dovrei essere, uno che di tanto in tanto fa qualche miracolo, così da assicurarsi una sopravvivenza in questo mondo di increduli, io ce la metto tutta, ma non sono sicuro che la gente capirà, e sono uscito, forse anche per questo, in questi giorni che ci condurranno verso un altro periodo di passione, un passaggio obbligato, con lo spirito giusto, anche se le donne si spogliano, ma cosa volete farci, se ne sono viste di cose nel corso dei secoli, dei millenni, non sarà di certo un centimetro quadrato di pelle in più esposta al sole che potrà fare la differenza, c’è di peggio al mondo ...

martedì 9 aprile 2019

Monica

E’ un atto del tutto arbitrario attribuire determinate caratteristiche ad un personaggio. La stessa creazione di un personaggio è di per sé un atto di imperio che non trova giustificazione in nessuna categoria etica o in nessun codice di comportamento.
Ed è per questo che, spesso, i personaggi di una storia si ribellano, vogliono vivere di vita propria, senza intenzione alcuna di seguire le indicazioni dell’autore che li ha creati.
Con quale diritto posso permettermi, quindi, di pensare a Monica? Chi mi autorizza a farlo? Dovrei quantomeno avere un mandato, una procura ad agire in sua vece o a rappresentarla, o a trattare i suoi dati personali, magari anche quelli sensibili, ai fini che mi propongo in questa sede.
Occuparmi di lei significherebbe approfondire l’argomento streap-tease. Non perché di notte faccia la spogliarellista in qualche locale, e neanche di giorno. 
Non le piace parlare di sé. Sicuramente non col primo arrivato, non con la prima persona che incontra.
Non so perché Monica abbia gli occhi azzurri. Forse le servono per la sua professione ma, dimenticavo, non fa la spogliarellista, anzi mi sembra di aver già detto che non ama che si parli di lei.
Ma la conosco bene e lo scoprirà un po’ alla volta, che mi piace prendermi gioco di lei. Anch'io mi svelerò ai suoi occhi, occhi azzurri, in tutta la mia nudità e non potrà non vedermi, non potrà fingere di non vedermi o, peggio ancora, di non conoscermi.
Mi racconterà tutto di sé quando finalmente avrò imparato a farle togliere i vestiti, offrendomi il corpo come se si spogliasse in presenza del suo barboncino. Ma, dimenticavo ancora una volta, non fa la spogliarellista di professione ed eventualmente, son sicuro, lo farebbe solo per me, solo per soddisfare un mio capriccio.
Già prefiguro quel momento. Ma procediamo con ordine, e senza fretta. Sono tanti gli ostacoli da superare nel cammino verso la costruzione della fiducia e un attimo di distrazione può compromettere un lavoro preparato a lungo. Perciò non anticipiamo nulla. Ogni cosa va detta a tempo debito.
Intanto, però, questa notte farò di tutto per sognarla. E lei non sarà poi così cinica da farmi soffrire. Di questo sono certo.
Tutte le volte che l’ho desiderata, infatti, si è sempre dimostrata disponibile e senza neppure opporre resistenza. Così anche nei sogni. Quando ho avvertito la necessità di sognarla non mi ha mai delusa. E le sono ampiamente riconoscente al punto da amarla come mai è successo con nessun altra.
Eppure, non ho mai avuto il coraggio di rivelarglielo. Forse l’avrà capito da sola, o almeno qualcosa l’avrà intuita. Sono di quei pensieri che sfiorano anche solo per un attimo la mente e che si insinuano come un assillo che ben presto si trasforma in chiodo fisso che, una volta conficcato, è difficile eliminare e si è costretti a portare dentro come stimoli che segnano il corpo, e non solo, per tutte le future incarnazioni.
      Ma io non credo alla reincarnazione, mi dirà, quasi per giustificarsi, quando si renderà conto della finzione a cui la sottopongo ventiquattro ore al giorno, persino quando dormo. Già, perché il suo stato non può essere condizionato neanche dalla circostanza che io dormo. Potrò così addormentarmi tranquillamente, senza prestare attenzione a ciò che sento. Finalmente sottratto a questa responsabilità, come stessi facendo la raccolta delle schede telefoniche. 
       È un po’ una mia caratteristica, salvo a liberarmene appena possibile perché stufo di interpretare un ruolo difficile da sostenere e che non sento più mio. Ma so già quale sarà la durata della sua vita, ne possiedo tutti i segreti, so quando arriverà il momento fatale, quando, con le mani tremanti, si leverà il reggiseno turchese, e sarà l’ultima volta.
Ma io non faccio la spogliarellista, mi sussurra piano, come se leggesse i miei pensieri.

mercoledì 3 aprile 2019

Mafaldina - 3

Questa è una donna che se chiede a me dei consigli su come comportarsi a letto, vuol dire che non ha capito niente della vita. È vero che c’è sempre una prima volta per tutto, però non puoi fermarti, addirittura bloccarti, davanti al corpo nudo di un uomo pronto a prenderti. Quanto meno non fare niente, resta ferma e fatti fare da lui tutto quello che desidera. Non c’è da filosofeggiare più di tanto. Lasciati andare e non fare storie.
Si dirà che c’è poco movimento in questa storia e che forse non è nemmeno una storia. Chi lo dice avrà anche le sue buone ragioni per pensarlo. Dopo tutto, se questa donna se ne sta immobile, aspettando chissà chi, un miracolo o il principe azzurro, beh, la storia è finita ancor prima di cominciare.
Quanto al movimento, ci potrebbero essere terremoti o tsunami e invece niente, è tutto un mortorio e non so a chi addebitare tutto questo. Sarebbe certamente meglio una realtà più animata, una scena un po’ più vivace, forse sarebbe anche normale. Solo che quello che appare alla vista dei curiosi, di chi si affaccia su questo triste palcoscenico, è una scena muta e degli attori che non hanno alcuna consapevolezza del ruolo che dovrebbero svolgere o delle parti da interpretare. Una tragedia assurda.
Eppure, non mi dispiacerebbe affatto perdermi dentro alle sue gambe, sia pur ridotte a due bastoni, due pali rigidi e fissi. Avrei provveduto io con qualche trucchetto appreso nella mia non certo brillante carriera, sufficiente comunque al caso in questione, avrei provveduto io a riscaldarla, a farle venire la voglia di vivere, di amare, di sperimentare una storia, del tutto nuova. 
Anche solo perché potesse finalmente dire che l’ha fatto, sì, e la prossima non sarà più la sua prima volta, e mi auguro così che si presenti al fortunato di turno, perché a quel punto sarà davvero fortunato, con una maggiore consapevolezza, con un’altra coscienza e, comunque, senza l’ansia della prima volta, perché, in fondo, è proprio vero, in un modo o nell'altro, per una ragione o per l’altra, la prima volta non si scorda mai, senza che tuttavia questo voglia significare che si sia trattato di un’esperienza memorabile, nel senso di positiva. Anzi, nella maggior parte dei casi è stato qualcosa di traumatico, che si vorrebbe rimuovere, solo che certe cose non vanno via nemmeno a cacciarle, a spingerle nel dimenticatoio, prima o poi ritornano a farci ricordare di cosa siamo fatti.
E lei è fatta essenzialmente di desiderio di essere amata, anche se non è chiaro quanto ancora debba aspettare per realizzare questo sogno. Non è chiaro nemmeno se sia una cosa che dipende da lei o da fattori su cui non può farci niente. 
Sta di fatto che è bella, bellissima. Le migliaia di pixel che compongono il suo volto rimandano l’immagine di un luminoso splendore, danno l’idea di una bellezza straordinaria, a cui non riesco a resistere e questa mia incapacità non si manifesta in me con una fuga, non sono mai partito alla sua ricerca. La via di fuga più semplice è rinchiudermi in bagno e far lavorare la mano, a volte tutte e due, pensando a lei e a cosa potrei fare se ce l’avessi davanti, immaginando di squarciarle il velo e tutto il resto.
Non scrivere almeno qualcosa sulla storia che ci riguarda è come non aver vissuto. Mi accorgo che non ci sono. A sentire lei dovrei scrivere in maniera più chiara, cioè dovrei scrivere meglio, in modo che il senso delle parole sia più comprensibile, ma dovrei impegnarmi molto, anche perché, a star dietro a come scrivo, poi, va a finire che non riesco più a seguire i pensieri. Quelli scappano via come niente, e la storia per me è lei, non c’è altra storia all'infuori di lei. Lei e solo lei.
Questa donna, si sarà capito, mi fa arrabbiare non poco. Conduce un’esistenza dedita poco a se stessa e molto agli altri. Ma non bisogna commettere l’errore di pensare che sia una santa. O forse sì, una novella santa Mafaldina vergine e martire che, se non esiste nel calendario, possiamo sempre proclamare con lei ancora in vita. 
Certe vocazioni sono incomprensibili, non alle persone normali, non ai comuni mortali, non di certo agli egoisti, a chi non capisce che …., cioè, a chi non capisce e basta.
Io, però, è vero che certe cose non le capisco, e non solo cose che riguardano lei, il che sarebbe anche comprensibile, dal momento che non l’ho mai vista, ma anche cose che mi riguardano personalmente. E non saprei nemmeno da dove iniziare a provare a capire e a capirmi.
Il suo modo di fare l’amore solo attraverso le parole, ad esempio. Ma non può bastare, glielo ho detto mille volte, che l’amore è carne, è dolore, è sangue che scorre e che scivola addosso.
Lo so, mi sto ripetendo, ed anche noiosamente, ma sei le mie parole, mia dolce Mafaldina, quelle che mi ispiri di continuo, e tutto il resto.
Non so che cosa dire più, ormai. Né come, eventualmente. Sempre meno parole per dire il mio amore, ne servono sempre di meno. Vorrei arrivare al punto di non aver più necessità di sprecare fiato, perché me ne rimane poco, perché non ne serve più, perché è tutto chiaro, perché non ho bisogno di conferme, perché non hai bisogno di conferme, perché la storia è una, una ed una sola, che io senza le parole, io senza te non sono niente e non saprò reinventarmi un futuro. 
Sembravano cose difficili da credere, persino da immaginare, solo poco tempo fa. Come è cambiato tutto nel giro di poco, e non ho ancora capito come. Sono finito dentro un vortice, incapace di uscirne.
Quella ragazza io la amo. Forse è con lei che ho appreso l’autentico significato del verbo amare. La amo in ogni momento. Riempie la mia esistenza. Mi sento saturo di lei e l’amore per lei potrebbe debordare oltre i miei confini corporali, oltre la fisica dei sentimenti, al di là dei limiti spirituali. Qualcosa che non riesco nemmeno ad immaginare. Come potrei mai esprimerlo?
Non voglio perdere niente di lei. Fra un po’, fra qualche anno, la rivedrò in queste parole e potrò dire di aver vissuto. Non soltanto l’esperienza di un momento. Qualcosa di memorabile, che rimane per sempre, che lascia tracce, che incide ferite nella mente, più forte della materia. 
Potrei dire, io sono stata quella ragazza. Grazie a lei mi sono assicurato l’eternità, un posto in questo, altrimenti triste, mondo. 
Non so indovinare il passo successivo. Né prevedere se ce ne sarà un altro.