Lettori fissi

lunedì 4 marzo 2024

Quella è calda.

 

Quella è calda, basta vederla e ti accorgi subito che le schiumano le fregole da tutti i pori. E io che mi facevo problemi, sempre mi sono fatto di questi problemi perché chissà che cosa pensavo, è questo che vuole?, ma per chi m’ha preso, a soreta, a mammeta e via discorrendo, questa invece, non ci sono dubbi, non potevo sottrarmi, c’ha un culo che mi canta le serenate a scena aperta, e io resto imbambolato ad ascoltarla, con quei pantaloni neri e stretti, poi, hai voglia quante cose farei, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Qualsiasi cosa, non si faccia problemi a chiamare, ma mi è venuto subito in mente che di problemi non me ne sarei fatti proprio, anzi, sto qua a completa disposizione, come mai mi era successo. Questa tipa è il miracolo fatto donna, e proprio a me stava capitando. Che fortuna!

Entri, non stia sulle scale, faccia come se fosse casa sua, la invitai a entrare con la scusa del pagamento dell’affitto, come se quel monolocale che avevo preso per qualche giorno non fosse effettivamente casa sua. Per questo si era messa a ridere. Ma secondo me già pregustava l’avventura con lo straniero. Certe donne si legge in faccia le voglie che hanno, non sono capaci di nasconderle quando proprio non ce la fanno più, e che so, scemo?, non me la faccio scappare affatto.

Possibile che non faccio in tempo ad aprire la porta che questa qua già sta pensando a spogliarsi? Mi ha preso di sorpresa, non ero per niente pronto, e chi se l’aspettava una storia del genere? Mica capita tutti i giorni, perché quando vedo una femmina il primo pensiero che mi viene è quello, se poi ci si mette anche lei, allora la cosa è bell’e combinata. Non per discolparmi, ma questa stavolta ci ha messo proprio del suo. Non che sia una colpa avere voglia di scopare, intendiamoci, ma è giusto dire come stanno le cose, cioè, come sono andate, io me ne stavo per i fatti miei, è stata lei che mi ha chiamato.

Io non è che so contarle bene le cose, tutti i pensieri ce li ho dentro, ma all’occorrenza provo a farli uscire solo che non sempre vengono come vorrei e perciò c’ho bisogno di spiegare meglio le cose. Che poi, mi dico, non è che li devo spiegare a qualcuno i miei pensieri, basta che li so io, però certe volte mi gira l’uzzolo di cedere e se qualcuno mi chiede come è andata con quella, allora invece di inventarmi su due piedi una storia, me la vado preparando, che così sembra che è stata una cosa realmente accaduta, e non mi chiedo nemmeno se quello ci crede o no, l’importante è che sembri una storia verosimile.

Se c’è qualcuno che mette in dubbio i miei pensieri, perché mi fa una domanda a trabocchetto, cerco di prendere tempo, di arrampicarmi sugli specchi, senza però darlo a vedere. Sembra che mi debba giustificare di qualcosa, sto sbagliando tutto. Facciamo allora che non ho detto niente di queste ultime riflessioni e torniamo a quella là.

Dov’eravamo rimasti? Che il mio birillo si era già intostato prima ancora che si spogliasse del tutto, altro che non ero preparato! Io no, ma lui appena sente odore di fessa non sta a perdersi certo in chiacchiere. Così lei si butta sul letto, spalanca le gambe e si mette a aspettare. Che faccio?, mi mollo ovviamente, anche perché nel frattempo lei non è rimasta molto a guardare, sembrava non aspettasse altro, ha preso il mio coso e se l’è infilato dritto dritto là dentro, in mezzo alle cosce, sembrava un’ossessa e com’era vorace, al punto che mi sono chiesto se dovevo temere per la mia virilità. Non si sa mai in questi casi, è bene guardarsi alle spalle, ma anche… le palle. Ma andò tutto bene, anzi benissimo, andò come non era mai andata.

Non saprei come raccontarla questa storia imprevista. Forse sono quelle che riescono meglio. Non è stato soltanto uno spingersi e un tirarsi addosso l’un l’altra. Le ho schiacciato le tette ma senza farle del male, tutt’altro, pareva godesse ogni volta che affondavo i denti in quei bottoncini, che sembravano di ebano e di altri colori, per quanto erano duri e chiazzati a causa dei morsi. Era un piacere anche per lei, che gridava, erano proprio voci di piacere, non c’erano dubbi, perché più li stringevo e più ne voleva.

Era affamata, insaziabile e anch’io, che non sono mai stato un campione di resistenza, in quell’occasione tutto è andato in maniera perfetta. Più affondavo e più mi sembrava di averne, la forza la prendevo anche da lei, che assecondava le spinte come per una danza in cui il ritmo cresceva in maniera direi parossistica.

Dove l’ho trovata la forza ancora non riesco a spiegarlo. Temevo persino che il cuore, ma anche altro, potesse scoppiare, il fiato non c’era più ormai, tutto si svolgeva in un’apnea delirante. Non sapevo di essere in grado di tanto. Anch’io provavo dolore, o forse mi confondo, non solo nel ricordo, perché quando l’ha preso in bocca, durante una pausa, ho rischiato davvero di vederlo mozzato per sempre. Succhiava e strappava anche coi denti, come se dovesse scuoiare un coniglio con fauci possenti. Era comunque un dolore piacevole, frammisto con fasi di voluttà mai provata prima.

Era calda, altro che, caldissima, e il letto si stava smollando da quanto veniva sollecitato. Se ad ogni cliente riservava un simile trattamento avrebbe dovuto cambiare l’arredo ogni volta. Di certo dovrebbe aggiungere una tassa sul materasso insieme al prezzo della stanza, ma questo nella pagina delle prenotazioni online non poteva scriverlo, o solo come una voce extra che, semmai, avrebbe illustrato lì per lì al momento della consegna delle chiavi.

Ma perché mi sto perdendo dietro inutili particolari? Stavo così bene con quella e si mettono in mezzo questioni venali. Ho ispezionato tutto il suo corpo, i suoi orifizi, e anche lei ha fatto lo stesso con me, con la lingua e non solo. Anzi, il corpo ormai era solo un accessorio pressoché inutile. Non lo sentivo più, c’era altro che mi dava piacere, altro che non saprei descrivere, il corpo era un tramite, tutto passava attraverso di esso.

sabato 2 marzo 2024

La signorina Maria e il suo bestiario.

La signorina Maria non è un vero e proprio bestiario anche se è popolato di una variegata fauna, reale e anche metaforica.
Tra le pagine del libro si palesano mammiferi di piccole, medie e grandi dimensioni, rettili, uccelli, insetti, specie marine di vario tipo e, sia pur di rado, anche degli esseri mitologici.
Questi animali non vivono in una vecchia fattoria e non sono nemmeno rinchiusi dentro un giardino zoologico. 
Sembrano semmai convivere alla rinfusa all’interno di un’enorme arca di Noè primordiale, anche se di diluvio nemmeno a parlarne. O forse sì, ma in questo caso si tratta piuttosto di un profluvio, di parole ovviamente, quelle che servono per descrivere le storie in cui si muovono e agiscono gli animali, e non solo.
C’è un elefante triste. Gli elefanti, si sa, sono animali associati a lentezza, e nell’immaginario comune ormai sono anche esempi di stanchezza, forse anche di noia e anzi, a lungo andare, sono destinati a diventare sempre più stanchi, gli occhi si avvicineranno alla punta della fronte, le proboscidi volteggeranno con disarmoniche alterazioni nell’aria circostante. Da qui la tendenza alla tristezza di questi poveri pachidermi.
C’è anche una nobile giraffa brasiliana, un concetto spontaneo, spuntato fuori all’improvviso. Bisogna prendere le cose per come vengono.
Non solo animali della savana, però. Ci sono anche topi scorrazzanti per corridoi o scaffali pieni di articoli strampalati.
C’è un porcellino miope, ingessato nel pur ingombrante gessato. 
Ci sono asini che cascano, tanto per non smentire la fama proverbiale che li circonda, altrimenti che asini sarebbero? 
Discorso diverso per le capre che, benché vecchie e spennate, tuttavia non perdono occasione di esibire la loro agilità arrampicandosi dappertutto.
Nel mondo ricostruito, all’interno della sgangherata imbarcazione, trovano posto cani indisturbati intenti a riflettere, immersi non è facile intuire su quali pensieri. 
C’è la Regina dei camaleonti che verranno. Basta avere fiducia e un po’ di pazienza e qualcosa arriverà.
Le storie hanno molte vite, come i gatti, rinascono, si sviluppano attorno a un centro, crescono inaspettatamente senza sosta, come gramigna che infesta la testa. 
In questo contesto al lettore potrà capitare di vedere di tutto, sanguisughe, pesci essiccati, zanzare spaventate, coralli in fondo agli orecchini e attorno al collo, e chissà dove altro ancora, della protagonista, la signorina Maria, che nelle grandi occasioni esibisce anche un fermacapelli a becco di tucano, tempestato da piccoli diamantini sfavillanti sotto la luce della volta celeste artificiale. 
C’è poi la classica rondine che si ripresenta al suo nido a ogni nuova stagione, e una tartaruga marina che nuota per migliaia di chilometri per ritrovare luoghi noti dove deporre le uova. 
Ci sono ancora tanti altri animali in questo romanzo, ma se vi state chiedendo se ci sono anche dei coniglietti, ebbene, la risposta è no, però è come se ce ne fossero dappertutto.

giovedì 15 febbraio 2024

Anche se fosse vero



Nessuno qui esiste, nemmeno l’autore, è tutto un romanzo

Ho appena finito di leggere Anche se fosse vero, romanzo di Davide Antonio Pio, pubblicato dalla casa editrice Il ramo e la foglia.

Ciò che ho appena finito di dire, tuttavia, anche se fosse vero, dovrebbe essere considerato alla stregua di una menzogna bella e buona, perché una volta arrivati alla fine del libro non si può che ricominciare a leggerlo dall’inizio, dal momento che non è esatto dire che questo romanzo abbia una fine, anche perché è come se fosse composto da tanti libri e ognuno si può leggere in maniera diversa dall’altro.

Leggendolo si ha come l’impressione che ci sia bisogno quanto meno di individuare il filo rosso che unisce le storie perché qualcosa cominci a diventare chiaro. Non sarà un caso che l’editore abbia inserito una piccola guida nelle ultime pagine, allo scopo di farci orientare tra i tanti personaggi che si muovono qua e là.

Che sensazione mi lascia la lettura di questo libro? Non conosco l’autore e mi sembra irriguardoso nei suoi confronti dire che la sensazione avuta sia quella di essere stato preso, ma forse sarebbe più corretto dire portato, in giro per tutta la durata della lettura. Il problema è mio, semmai, non di chi ha scritto il romanzo.

Durante la lettura è emerso un mio limite, e cioè non sono riuscito a seguire l’andirivieni delle storie raccontate, forse perché ho letto il romanzo senza prestare attenzione alle date poste in cima a ogni capitolo (sempre che di capitoli si possa parlare). C’è da dire, a tal proposito, che i capitoli non sono esposti nell’ordine cronologico in cui i fatti sono raccontati.

A questo punto mi tocca ritornare all’inizio e rileggere con più attenzione, può darsi che così riesca a capirci qualcosa in più. O forse mi sembrerà di leggere un altro libro, il che non sarebbe del tutto male. Due libri, e anche più, al prezzo di uno!

A una lettura poco attenta può sembrare che Davide Antonio Pio non sia stato particolarmente generoso nei confronti di chi legge. Descrive i fatti senza descriverli. Così anche per i ritratti. Solo qualche accenno, pochi indizi, da cui il povero lettore deve partire per ricostruire la faccenda e se qualche dettaglio viene perso allora la narrazione può apparire oscura.

L’impressione che ho avuto io è che l’autore abbia voluto lanciare dei semi da cogliere per poter ricomporre la storia.

Non è un romanzo quindi per lettori pigri. Al contrario, chi legge è chiamato a partecipare attivamente. Non è forse questo che uno scrittore desidera? Che ci sia, cioè, un lettore complice nella costruzione della storia, che disveli le mille facce di un racconto, anche quelle che lo stesso scrittore non ha mai immaginato, o che ignora del tutto? Non è questo un modo di tenere in vita l’opera nel corso del tempo? E non è anche questo il modo di scrivere che interessa ai lettori attenti ed esigenti?

Questo romanzo è strutturato come una sorta di puzzle. Davide Antonio Pio (o, se volete, Paride Ammonio Vio) ha distribuito le tessere lungo le pagine del libro e al lettore non resta che l’arduo compito di ricostruire la vicenda.

Il fatto è che le tessere appaiono difficili da incastrarsi tra di loro, perché l’autore non è che abbia fatto molto per facilitare il compito. Non sembra nemmeno immediato capire che rapporto abbiano fra di loro i vari personaggi, le relazioni reciproche sono difficili da cogliere e l’impresa è resa ancor più ardua dal fatto che a un nome a volte corrisponde anche più di un personaggio.

Anche se fosse vero è un modo senz’altro originale di raccontare una storia. Avremmo bisogno di abituarci a strutture del genere, per disavvezzarci dalle solite scritture lineari che sembrano ormai aver fatto il loro tempo.

Un’opera da leggere? Senza alcun dubbio e soprattutto da rileggere perché, in fondo, quanto a forma, ma anche a sostanza, in questo romanzo ce ne sono abbastanza e la sua lettura non lascia indifferenti.

Un plauso agli editori che hanno avuto il coraggio di pubblicare un lavoro che forse non diventerà un best seller ma che ha il pregio di far riflettere sulle forme della scrittura. E di questi tempi non è poco.

Davide Antonio Pio - Anche se fosse vero - Il ramo e la foglia edizioni


sabato 20 gennaio 2024

Segreti matematici.

Bermúdez, o delle scienze matematiche applicate alla letteratura.
Mi viene in mente che per certe costruzioni letterarie Bermudez abbia attinto a piene mani dalla matematica. 
Si tratta di un'affermazione che si basa più che altro sull'analisi di strutture ed espressioni usate in alcuni racconti, oltre che nel romanzo tradotto e pubblicato per la prima volta in assoluto in Italia. (Ho detto assoluto?)
Che dire del titolo della raccolta di racconti  'La metà del doppio'? 
Gia questo sembra un quesito matematico di ardua soluzione. 
Se poi ci inoltriamo all'interno della raccolta capiterà di imbatterci in un racconto dal titolo più che enigmatico "Esatta come due più due fa tre". 
Non saprei dire quanto ci sia della scienza esatta in questo titolo, che sa tanto di verità assiomatica, in ogni caso una logica (matematica?) dovrà pur esserci. 
C'è poi il protagonista di un altro racconto che non riesce a porre un argine al lavorio della mente a causa della moltiplicazione delle storie che scaturiscono incontrollate.
La geometria è una parte importante della matematica. A soccorso di quanto affermato all'inizio di questo intervento giova evidenziare la particolare struttura narrativa ricorrente nella maggior parte dei racconti, ma anche in 'Segreto a più voci'.
('Le abitudini proprie, comunque, hanno la caratteristica dell’indiscutibile, sono assiomi della maniera di procedere in questo mondo').
Dalla lettura di questi testi emergono elementi che si possono far risalire a esempi tipici delle geometrie non euclidee.
Si parte da due, o più, storie che in un momento iniziale sembrano destinate a scorrere parallele e non doversi mai incontrare ma che, invece, alla fine, in un modo poco chiaro, convergono in un punto comune. 
È qui presente il meccanismo caratteristico di taluni racconti fantastici, laddove però di matematico c'è ben poco se non la conferma della struttura narrativa che ogni volta si reitera ('Che incubo sarebbe stata la vita senza la reiterazione dei comportamenti').
Anche la lettura di questi racconti ha bisogno di una reiterazione.
Occorrono, cioè, più letture per entrare nei meccanismi narrativi che Bermúdez mette in atto nell'elaborazione dei testi che compongono questa raccolta e nel romanzo 'a più voci'.

Fernando Bermúdez
Edizioni Spartaco
Trad. Giovanni Barone

sabato 13 gennaio 2024

Altri segreti

Ritorno ancora una volta su Segreto a più voci, perché quando un'opera ti entra dentro non te ne liberi facilmente. Ti invita a ripensarla, a rivederla, ti chiede di rileggerne alcuni passaggi e a riparlarne.
Allora, la risposta necessaria è quella di accogliere l’invito, ottemperare a questi che si presentano come degli ordini e accettare la sfida, dando forma scritta agli stimoli che ogni volta nascono dalla nuova lettura.

Mi ritrovo molto nello stile usato da Fernando Bermúdez. Nel senso che capita anche a me quando scrivo di fare esercizi di metatestualità. E nelle sue opere, almeno in quelle pubblicate in Italia, di esercizi simili se ne ritrovano tanti.
Lo scrittore si sofferma sulle parole da usare. Le cerne anche dal ‘dizionario dei sinonimi’ (per citare un’espressione usata da un personaggio di un racconto di La metà del doppio) che ha dentro la testa. Si pone domande su quali siano quelle più adeguate alla fattispecie che si presenta mentre scrive, quando viene invaso da un’ispirazione a cui non riesce a star dietro. Tanto rapidamente scorre. Ogni parola una diramazione. Pensieri a voce alta, esposti alla mercé dei lettori. 

Tra le parti che più ho apprezzato in Segreto a più voci vi sono quelle tra parentesi, ma non nel senso che sono messe lì tanto per riempire le pagine. Niente affatto. Quelle tra parentesi quadre, riferite da Marica, sono parole che costituiscono una parte importante del romanzo, un punto di vista che completa la restanti parti e senza le quali non si comprenderebbe la trama. 
Mi perdo a seguire il discorso diretto di Marica, a ruota libera. Comincia col fare una dichiarazione, come per lanciare una proposta, una chiave del dibattito. Da lì, poi, partono le argomentazioni che servono a chiarire quella dichiarazione iniziale e, alla fine del giro, si ritorna al punto che si era lasciato per divagare e si riparte, cioè, si continua per un altro pezzo a raccontare la storia. Salvo poi a chiarire un altro particolare, a perdersi dietro dettagli che apparentemente non sembrano far parte della storia principale ma che invece costituiscono un altro tassello, che insieme a tutti gli altri e alle tante divagazioni contribuiscono a delineare un quadro più completo. 
La storia raccontata da Marica è un puzzle, le tessere non si individuano immediatamente, ma c’è come una guida interna che permette di risolvere il problema. È sufficiente non porsi troppe domande, basta seguire la voce della donna e alla fine tutto torna.
La testimonianza di Marica mi ha ricordato qualcuno che riesco a identificare bene. Sto pensando alla signora Milagros e alla sua deposizione in Rosaura a las diez di Marco Denevi, altro scrittore argentino. Sembra che abbiano qualcosa in comune questi due personaggi, se non altro la voce, il modo di raccontare, la riproduzione di un discorso orale attraverso la parola scritta. 
Questi argentini sono maestri nel coltivare l’amore per l’intreccio, la predilezione per un certo tipo di fantastico, per una struttura narrativa originale, i punti di vista diversificati. 
In Segreto a più voci c’è la compresenza di differenti generi letterari all’interno della stessa opera, storie che si costruiscono mentre si leggono ('La scrittura che scrive se stessa mentre si guarda scrivere', direbbe Giovanni Barone, traduttore in italiano dell’opera di Bermúdez).
Non è una mia consuetudine sottolineare i libri ma, in questo caso, fin dalle prime pagine, ho sentito la necessità di appuntare le date citate a lato delle relative pagine, come per tenere una traccia temporale degli eventi che si avvicendavano. 
Ho intuito, e non solo perché ci viene ricordato che un personaggio del romanzo 'Ha una fissazione per le date', che l’insistenza e la puntigliosità con cui venivano precisate quelle date dovevano avere qualche importanza nell’economia della storia. È una narrazione che include anche delle parti che simulano articoli di giornali dell’epoca dei fatti, come per dare l’impressione di una sorta di saggio, la descrizione di una pagina di storia nazionale. 
C’è un passaggio del romanzo in cui un personaggio si intromette nella narrazione e fa un resoconto di quanto è stato raccontato. Potrebbe essere un lettore qualunque di Segreto a più voci che, a metà circa della lettura del romanzo, si ferma e prova a fare il punto della situazione. Una sorta di riassunto, come per fare ordine su quanto già letto e detto. 
Niente di strano, si direbbe, se non che questo lettore insinua il dubbio che il personaggio in questione potrebbe essere lo stesso autore del romanzo, e cioè Fernando Bermúdez, il quale si presenta facendo anche riferimento ad alcuni momenti della sua carriera letteraria, fino ad arrivare al libro che quel presunto lettore tiene tra le mani e che sta leggendo. 
Il lettore vero si trova spiazzato, preso da una vertigine narrativa che non sa come interpretare, perso come dentro un vortice da cui non capisce come uscire. 
Il lavoro di Bermúdez è tanto altro ancora ma non vorrei andare avanti a svelare ulteriori elementi di questo romanzo perché, come dice il presunto personaggio Bermúdez, 'esiste un’etica del lettore che non ce lo permette'. 

Julio, 'perché ora stavo riportando quel nome?'
Julio, un nome che non deve essere stato scelto a caso. Non si può essere scrittori argentini senza tener conto di un certo Cortázar.
E Cortázar aleggia nel romanzo in varie occasioni, anche se in maniera minore che nei racconti di “La metà del doppio”, dove mi è capitato di sentire la sua voce echeggiare qua e là tra le pagine della raccolta.
Sarà perché entrambi condividono l’esperienza dell’esilio, sia pur per ragioni diverse, che tra le parole ritornano ricordi, memorie, abitudini? 'La tenacia di un’abitudine'.
Bermúdez fa dire a un suo personaggio: 'Le abitudini proprie, comunque, hanno la caratteristica dell’indiscutibile, sono assiomi della maniera di procedere in questo mondo', parole che ricordano tanto quelle di un racconto del Bestiario di Cortázar: 'Le abitudini […] sono forme concrete del ritmo, sono la quota di ritmo che ci aiuta a vivere'.

Leggendo Segreto a più voci ci interroghiamo sullo statuto della narrazione, della finzione e quindi della realtà tout court. E cosa possiamo chiedere di più a un romanzo? 
'Saranno reali i fatti che si narrano?' 
La letteratura non dà risposte.
Basterà dire che per Bermúdez la letteratura agisce sulla realtà, modificandola.

Questa, sarà chiaro a tutti, non è un’interpretazione del romanzo. 
È che quando leggo mi piace entrare talmente tanto dentro le pieghe della scrittura che non riesco a rimanerne fuori e qualcosa devo scrivere anch’io. 
Stavolta è andata così.

Fernando Bermúdez
Segreto a più voci 
Edizioni Spartaco
Trad. Gianni Barone

mercoledì 29 novembre 2023

Segreto a più voci.

 


È morto! 

Non deve essere una gran cosa, per chi legge, sapere che un racconto inizi così. Leggere le prime parole e venire a sapere che qualcuno è morto. 

Ma chi? Io vorrei saperlo subito chi è morto. L’autore non può lasciare questa frase in sospeso, dicendo che qualcuno è morto, senza svelare di chi si tratta. Il gatto, Paolo il fornaio, il giornalaio sotto casa. Potrebbe essere la figlia del dottore, la nonna di Alice, l’anaconda che ieri ho visto in televisione. La speranza di capire qualcosa dalla vita, la voglia di vivere e, in questo caso, definitivamente, per cui si potrebbe pensare a un suicidio. La pianta che avevo comprato a prezzo scontato al mercatino delle pulci, che si tiene tutte le domeniche sotto casa della signorina Maria. 

Il dubbio può essere fugato abbastanza rapidamente se proseguo nella lettura. Così almeno spero, perché non è detto che l’autore voglia svelare subito l’identità del morto e, se è scorretto, potrebbe anche non svelarlo mai, perché, ad esempio, vuole mantenere in una condizione di sudditanza i lettori o, semplicemente, perché vuole prendersi gioco di loro, di quanti, cioè, ripongono così tante speranze in lui e nel suo libro, per trascorrere qualche ora, divertendosi. Almeno per chi ritiene sia questa la funzione della lettura. Ma so già che non è l’evasione lo scopo di questo lavoro. Questo tipo, Bermúdez si chiama, lo conosco, per aver già letto i racconti di “La metà del doppio”. I suoi scritti richiedono un minimo di impegno. Sono destinati soprattutto a chi sa apprezzare la buona letteratura.

È morto!

Caro il nostro autore, questo l’ho capito, ma se proprio non vuoi svelare subito chi è morto, non farmi stare in ansia. Dimmi almeno cosa faceva quel disgraziato, dove viveva, come è morto, così che possa cominciare a farmi un’idea, che possa fare delle associazioni, per dare un’immagine a questa cosa che non c’è più, ma che io invece comincio a far nascere nella mia mente, nella mia immaginazione.

Può capitare, quindi, che un romanzo cominci con questa frase: ”È morto”, e che il plot e la storia si allontanino da un punto iniziale, divaricandosi sempre più, allontanandosi uno dall’altra, seguendo strade diverse, e non è detto che un giorno si incontreranno. In questo caso sembra invece che le storie siano destinate a convergere, anche se in un punto non definito. Succede spesso nei racconti di Bermúdez. Seguiamo i personaggi mentre percorrono strade diverse ma poi, non è chiaro come, avviene uno scarto, la storia di uno si incrocia fatalmente con quella dell’altro. Il fantastico funziona così. Inutile cercare una spiegazione. 

È morto!

Una dichiarazione del genere metterà pure la parola fine all’esistenza di un personaggio, ma aprirà un mondo, mille mondi. Ma che dico?, infiniti mondi a chi si appresta a leggere. Le strade che si irradiano da quel ceppo piantato lì, all’inizio della pagina, conducono a destinazioni sconosciute e intraprendere una di queste biforcazioni è un’impresa che ha dell’avventuroso e di cui non si riesce a prevedere il finale. Significa essere catapultati in un vortice, essere presi da una vertigine da cui non si è sicuri di poter uscire indenni, così da poterla raccontare agli altri. Ci sto provando, a modo mio ma quando si legge Bermúdez è consigliabile dotarsi di una bussola, per non perdersi negli insidiosi labirinti che si aprono davanti, man mano che ci si inoltra nella lettura.

È morto!

Nel vero senso della parola. Non che le parole non vadano intese nel loro senso, però, si sa, gli scrittori a volte sembra si divertano a penderci in giro, facendo passare per vere cose che sono del tutto inventate, cose che apparentemente non hanno un minimo di fondamento nella realtà. Almeno nella realtà in cui ognuno immagina di vivere mentre sta leggendo, al punto da domandarsi di continuo: Saranno reali i fatti che questo tipo sta narrando?

È morto!

Potrei anche chiuderla qui e non proseguire nella lettura. E se a morire fosse stata proprio la signorina Maria? Non María Carmen, quella del romanzo. Un’altra. Come potrei accettare una notizia così sconvolgente? Siamo stati insieme per così tanti anni! Ci volevamo bene. Poi, si sa, le storie prima o poi finiscono e, a volte, c’è anche qualcuno che le racconta, che ci costruisce su un romanzo. Non potrei accettare una notizia del genere. No. Voglio proprio rimuovere questo pensiero. Maria non può essere morta. Non è lei, ne sono certo. Chi, allora? Non farei prima a proseguire nella lettura? Già, facile a dirsi. Sarebbe come affrontare un rischio, un serio pericolo da cui non c’è via di scampo. Sento che è così. Adesso, più che mai, avverto che il peso di una notizia tragica potrebbe schiacciarmi, potrebbe stritolarmi.

Fortunatamente, a liberarmi da un gioco che stava diventando pesante, mi viene in soccorso il telefono. Metto da parte il libro appena iniziato, non c’è bisogno del segnalibro, sono appena alla prima pagina, alla prima frase, me lo ricorderò, e mi precipito a rispondere. Non so dove abbia trovato il mio numero di telefono, ma dall’altra parte c’era Gianni Barone, proprio lui, il traduttore in italiano del libro, che si affrettava a tranquillizzarmi, che mi stava consigliando di continuare, di non fermarmi alle prime parole del libro, che il bello doveva ancora venire, che più avanti ci sarebbero stati dei chiarimenti, che la signorina Maria non c’entrava niente, che se avessi avuto la pazienza di proseguire nella lettura la trama avrebbe riservato delle sorprese, che si sarebbe chiarito chi era il morto, e anche quando era morto, che c’erano altri personaggi che aspettavano di entrare in scena, che forse anche lo stesso Bermúdez si sarebbe palesato tra le pagine del libro a informarci che quelli narrati erano tutti fatti reali, che a suo dire la letteratura agiva sulla realtà, modificandola e forse, ma questo lo dico io, poteva esserci un posto anche per me nelle trame del romanzo, se solo avessi accettato il patto che di solito si instaura in questi casi.

Segreto a più voci è un romanzo psicologico, è un romanzo di investigazione, è un giallo poliziesco, è una storia autobiografica, è un saggio di storia, è un’opera fantastica. È tutto questo e molto di più. 

Un regalo prezioso che la Letteratura di tanto in tanto ci offre.

Bermúdez è un maestro nel coltivare l’amore per l’intreccio, la predilezione per un certo tipo di fantastico, per una struttura narrativa originale, i punti di vista diversificati. Il segreto è a due e anche a più voci. C’è la compresenza di differenti generi letterari all’interno della stessa opera, storie che si costruiscono mentre si leggono (“La scrittura che scrive se stessa mentre si guarda scrivere”, direbbe Giovanni Barone).

Il lettore vero si trova spiazzato, preso da una vertigine narrativa che non sa come interpretare, perso come dentro un vortice da cui non capisce come uscire. Il lettore vero è questo che cerca in un libro. 

Un grazie a Fernando Bermúdez, che è ‘ricaduto’ nel vizio della scrittura, a distanza di anni dalla precedente raccolta di racconti. 

A Gianni Barone, che ha tradotto magistralmente il romanzo. 

Alla Edizioni Spartaco, che ha saputo apprezzare l’opera scegliendo di pubblicarla e di farla conoscere così anche al lettore italiano.

venerdì 23 dicembre 2022

Pensare di aver esaurito il tema

Pensare di aver esaurito il tema, così che possa passare oltre, vedendo meglio le cose, o vedendole del tutto, dove prima era cecità assoluta. Liberarmi da un assillo, il premio migliore che potessi guadagnare. Parlare più chiaro, dire tutto apertamente, senza calcoli o costrizioni formali.

Quando riuscirò a sperimentare questa liberazione sarò un uomo felice. Ma la felicità, si sa, non sempre è a portata di mano, e c’è anche chi dice che non è di questo mondo. Vorrei non crederci e darmi qualche possibilità.

Insomma, essere un altro, dire io senza pensare più a me. Non sarebbe difficile dotare quest’essere di caratteristiche che possano arrecare qualche forma di felicità, basta pensare a qualcuno diverso da me e il gioco è già fatto.