Lettori fissi

venerdì 9 maggio 2025

Tango a Porto

In occasione dell'uscita del mio nuovo libro, dal titolo Tango a Porto per le edizioni Qed, pubblico una lettura dell'amico Pasquale De Luca.

Finalmente ci siamo, da domani 9 Maggio “Tango a Porto” di Antonio Danise (Qed Edizioni, 2025) sarà in libreria e sugli store online. È un romanzo bellissimo che ho avuto il privilegio di leggere in fase di valutazione per conto dell’editore, cogliendone fin da subito il potenziale e la forza. È un romanzo breve, narrato in prima persona dal protagonista, un uomo di mezza età, in preda a una conclamata crisi esistenziale dovuta alla sua non risolta realizzazione personale e ai problemi di salute della moglie. Esperto di letteratura portoghese, riceve l’invito a tenere una relazione in occasione di un convegno di studi che avrà luogo a Porto. Decide che parlerà del romanzo “A morte de Carlos Gardel” di António Lobo Antunes, autore che predilige.
   Arrivato a Porto, l’incontro con Sofia – la donna che gli affitterà l’alloggio per la settimana del convegno - suscita immediatamente nel protagonista una forte attrazione fisica e mentale. Questi sette giorni sono dominati dalla figura di Sofia, mentre il convegno sulla letteratura portoghese rimane sullo sfondo. Rientrato a casa, il narratore non fa che pensare alla donna portoghese e prova l’intenso desiderio di scrivere un romanzo su di lei, con la convinzione che scrivendone, e solo scrivendone, quell’esperienza sopravviverà. Ma in realtà quello che aumenta e si consolida nel suo animo è la confusione fra il ricordo reale e la reinvenzione dei fatti e delle persone che la sua mente va elaborando, con l’inevitabile conseguenza che il turbamento interiore finisce per ricondurlo, come a chiusura di un percorso circolare, allo stato di infelicità e impotenza esistenziale di cui era prigioniero prima del soggiorno a Porto.
   Sofia è entrata prepotentemente nella testa del protagonista ed è oramai diventata una vera e propria ossessione. Lui avrebbe bisogno di parlare, di sfogarsi, di confidare i suoi problemi esistenziali – la moglie malata, l’incapacità di fare scelte e mettere costanza e tenacia nelle cose – ma non ha nessuno con cui aprirsi. Vorrebbe scrivere in modo organico una storia intorno alla settimana trascorsa a Porto ma non si sente pronto, non ha le idee chiare. Allora si mette a raccontare solo di Sofia, di come l’ha conosciuta, di quello che c’è (o sogna che ci sia) stato fra di loro. E lo fa navigando fra verità e immaginazione, coinvolge nel gioco il lettore e mischia le carte rendendo suggestivamente incerto se stia raccontando la vera storia di quei sette giorni a Porto con Sofia oppure se la stia reinventando. 
   In “A morte de Carlos Gardel”, il romanzo di António Lobo Antunes di cui l’io narrante ha parlato al convegno letterario a Porto, domina il tango perché il protagonista Alvaro è un uomo infelice (abbandonato dalla moglie, non amato dal figlio, si isola dal mondo ed è) ossessionato dalla musica di Carlos Gardel, grande compositore e cantante di tango. A dispetto del titolo, invece, in “Tango a Porto” la musica che domina non è il tango bensì il fado. Non che se ne parli espressamente nel testo, intendiamoci, ma le pagine dalla prima all’ultima trasudano saudade (di cui il fado è l’espressione musicale suprema), quel sentimento difficile da poter definire, ma che sicuramente include in dosi variabili il rimpianto, la malinconia, la nostalgia, il desiderio di ciò che non c’è (più), lo struggimento per l’assenza. Del resto l’io narrante di “Tango a Porto” ad un certo punto evoca apertamente una “atroce saudade che paralizza la mia esistenza quando penso a lei, a Porto, al portoghese, che amavo ascoltare quando giravo per la città!”. Ma non c’è alcuna contrapposizione fra il tango del titolo e il fado che risuona nel testo, perché l’autore riesce a far convivere l’intensa passionalità del tango e la struggente malinconia del fado.
   Quello che maggiormente determina la qualità letteraria di questo pregevole romanzo di Antonio Danise è la cifra stilistica, una scrittura avvolgente, connotata da un monologo interiore accorato, a tratti straripante, alternato a pagine di narrazione più agile e veloce. Uno stile efficace e suggestivo che a momenti si fa vero e proprio flusso di coscienza che scorre come un torrente in piena e la scrittura spalanca al lettore la porta d’accesso ai processi interiori dell’io narrante, denotando una forza introspettiva che rimanda a “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Ma è soprattutto a un altro autore che la lettura di “Tango a Porto” mi ha fatto pensare, a Giuseppe Berto e alle poderose pagine de “Il male oscuro”. Non tanto per l’assonanza, a tratti sorprendente, del monologo interiore – che è e resta pur sempre una tecnica di scrittura – e nemmeno per la cauta allusione alla funzione terapeutica della scrittura (“Tango a Porto” non evoca alcuna nevrosi né la “lunga lotta col padre” che segna il capolavoro di Berto), quanto per l’intensità emotiva dell’atmosfera, uno spleen assai ben rappresentato che riesce a stabilire fin dalla prima pagina una relazione empatica con il lettore.
   L’analisi del mondo interiore del protagonista (sogni, ricordi, frustrazioni, rimpianti, rimorsi, sensi di colpa e di inadeguatezza) prevale sulla narrazione di azioni ed eventi, i luoghi e le descrizioni appaiono specchi dei suoi tormenti interiori e questo fa sì che “Tango a Porto” possa a buon diritto essere considerato un romanzo psicologico, di cifra marcatamente intimista.
   Un romanzo che consiglio a tutte/i coloro che amano la buona letteratura.

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