Lettori fissi

martedì 30 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 13

Al solo sentire quelle parole sbiancò all'istante, non mi diede una risposta, non una convincente almeno, cominciò a girare attorno alle parole, come a nascondermi qualcosa, come volesse tenermi all'oscuro di un segreto che non mi aveva ancora svelato, quasi avesse paura, ma allo stesso tempo dava l’impressione di stare cercando l’occasione buona per parlarmene, ed io gliela stavo dando, volevo aiutarla a confessare quella che sembrava una notizia strettamente riservata, una confidenza che si svela solo ad un’amica intima, e per lei, per conoscerla più a fondo, mi sarei trasformato nella sua amica del cuore, anche se non è che avessi idea di come fare, né sapevo da dove cominciare, ma quando seppe che stavo scrivendo questa pagina, le cose cambiarono anche per me, quando le annunciai che avevo intenzione di scrivere questa storia, ebbe una reazione scomposta, che non avevo previsto, cominciò ad irritarsi, ad irrigidirsi, a diventare nervosa, ad accumulare una tensione che non avevo idea in cosa avrebbe potuto sfociare, poteva succedere di tutto, forse avevo visto male, le mie previsioni erano del tutto sbagliate, non avevo calcolato il suo amor proprio, quella forza che impone una difesa strenua di sé a tutti i costi, un’energia imprevista e forse anche ignota si era impossessata di lei e la faceva agire, ai miei occhi, in maniera del tutto irrazionale, un comportamento che mai mi era capitato di osservare in lei. 
Non sapevo più come continuare, volevo rispettare la sua ingenua timidezza, quella incapacità di esprimere le sue intime riservatezze, quelle che immaginavo fossero ritrosie di cui pensava fosse quasi impossibile potersi liberare e scrollarsi di dosso, una buona volta per tutte, perché certe paure sembrano insormontabili, è vero, ma solo fino a quando non si riesce in qualche modo a superarle. Dopo, ma solo dopo, tutto sembra facile, non si riesce a spiegare come si sia potuto verificare che quei timori, certe insicurezze, abbiano potuto creare tanto disagio e addirittura bloccare la nostra vita in uno stato di trepidazione, ogni volta che ci era capitato di dover fare una scelta o una mossa non del tutto chiara. Dopo, sì, tutto dopo, ma fino a quel momento la vita, il mondo intero, qualsiasi cosa è vista come un’enorme incognita che paralizza ogni attività.
So per certo che parlare di talune cose con me le causa un’agitazione che non sempre riesce a trattenere, le provoca un’eccitazione incontenibile, ad esempio, sentirsi dire che ho voglia di chiamarla, che ho bisogno di sentire la sua voce, anche solo per poco tempo, per un semplice saluto, e l’eccitazione in lei assume le forme più strane, la prende il desiderio di muoversi, di fare qualcosa, di salire sul primo treno e raggiungermi, subito, di essere già con me, scavalcando tutte le leggi della fisica, della dinamica, quelle che regolano il tempo, o il movimento, la velocità. L’eccitazione può diventare anche dolore, incontrollabile tachicardia, fuori da ogni controllo, è fonte di insicurezza, di profonda inquietudine, di pensieri che ancora una volta non osa svelare, pena una vergogna di esistere che non riuscirebbe a sostenere. 
Tutte queste cose le so, ma ce ne sono ancora tante altre che vado scoprendo poco alla volta. É che mi piacerebbe favorire in lei un percorso di affrancamento da taluni vincoli che la tengono bloccata. Mia cara Anna Chiara, ti affianco volentieri in questo progetto, avrei voluto dirle, avevo scelto questa frase, un po’ ad effetto, per dimostrarle ancora una volta il mio amore, forse anche senza averne il diritto, ma un giorno o l’altro, vorrei incontrarla davvero, vorrei la conferma della sua esistenza, vorrei indovinare finalmente la combinazione vincente, quella che mi farà distinguere tra le idee, le fantasie malsane, e la realtà, la sua fisicità. 
Ci tengo molto a questa cosa, perché lei, in questa comune ricerca dell’assoluto, ha la capacità di riportarmi alla realtà, anche se non è questa la strada che vorrei percorrere, perché, a ben vedere, io questo non sempre lo voglio, non sempre lo accetto, a me piacerebbe riuscire a permanere in uno stato di immaginazione perpetua, di perenne visionarietà, non dover fare i conti con niente, con nessuno. Mi basterebbe essere me stesso, sono fatto così, con le mie fantasie, con le mie contraddizioni, anche, ma senza contatti col resto del mondo, essere puro pensiero, ecco, forse si può sintetizzare così il mio estremo desiderio. Non so se sarà facile realizzarlo, questo sogno, ma ci sto provando, e lei mi sta aiutando a scrivere le regole del gioco, a reinventarle anche, di volta in volta, in questo mi sta fornendo un aiuto inestimabile.

lunedì 29 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 12

Quando penso a come è finita! Ma è stato un gioco? Ancora adesso stento a capirlo, a cogliere le implicazioni di un rapporto, e della sua conclusione, o forse sarebbe più corretto dire rottura, unilaterale, di una relazione fatta di parole, di rapidi messaggi, ma che necessariamente coinvolge, ha coinvolto, qualcosa di più grande, di più importante. Un’essenza che non so cogliere. 
Come sono limitato! Posso fingere che niente è mai successo? Non so se posso dirlo, non so se riesco a pensarci, trascuro me stesso trascurando il mondo, non mi prendo mai sul serio, sono niente, sempre niente, e va bene, dico che va bene così.
Cosa so dire di quei giorni? Non capisco se è più grande, se è stato, averli vissuti, o il dolore di oggi. Sì, perché vi è un continuo dolore che mi tormenta, un refrain che mi tortura ininterrotto, unito al dolore di aver provocato dolore. 
È una sensazione che vorrei evitare, o non aver mai provato, che non fosse stata parte di me. Un’esperienza da cancellare, come mai esistita. Capita spesso, mi è capitato, forse sempre, se fosse così per tutto, ma forse sarà così per tutto, per tutto quello che ho vissuto, tutto sarà dimenticato, presto, un mondo mai esistito, forse neanche inventato, un pensiero che mi ha attraversato la mente. 
Vorrei che non avesse lasciato segni, non questa lacerazione, non questo turbinio di sensazioni malaticce, o forse sì, e allora sarebbe la molla, il motivo della mia ricerca, o forse la ricerca di un motivo, non so, però, quando ci amavamo, era bello, non pensavo certo di organizzare storie, era tutto così spontaneo, bastava un semplice sguardo e tutto …, non so, non so spiegare, non trovo le parole, piccole cose, che ci lasciavano soddisfatti, che ci davano la felicità, che forse non ho saputo apprezzare abbastanza, a quei tempi cercavo altro. Forse. 

Mi è stato anche consigliato di non dire tutto, che forse è meglio che certe cose restino come non apertamente dichiarate, magari semplicemente anticipate, ma non espresse del tutto. Ovviamente per me non è così, a me piace raccontare, se c’è una cosa che voglio dire, perché mai dovrei tenerla nascosta? 
Ma poi insistono e mi chiariscono che non si tratta di rivelare segreti. No, non è questo, è una questione di stile, è che c’è modo e modo di dire le cose. Ma cosa volete? Io ho il mio modo, non so se è quello adatto, o giusto, però, ormai, così so fare, alla mia età, cosa volete? Imparare a scrivere in un altro modo non mi va. Se a qualcuno non piace, non è detto che debba continuare a leggere, anzi, non doveva nemmeno cominciare, le cose erano chiare fin dall’inizio, ma non voglio più perdere tempo a discutere di queste stupidaggini, continuerò a scrivere così, come più mi piace, è il mio metodo, che ho sviluppato in tanti anni, di ignoranza, se volete, ma io sto bene così, perché io le cose le faccio, quelle che faccio, e le dico, quelle che dico, ma non so perché le faccio, e nemmeno perché le dico, nel senso che non sempre c’è una vera ragione, per tutte le cose che ho fatto e che ho detto, è così, semplicemente. 
Certe cose, poi, le dico a voce alta, così le posso sentire, e non sembrano tenute nascoste. Mi faccio l’idea che se le pronuncio, è come se sto dichiarando una verità, non necessariamente vera, ma comunque, è già qualcosa, non passa in silenzio. Ma non so se dire tutto, non so se vorrò dirlo.
Il lavoro appare improbo, l’impresa più che ardua, ed il tempo a mia disposizione sembra ridursi a vista d’occhio. Sento mancarmi la terra sotto i piedi, ma, poi, mi dico, come per convincermi, Comincia, dove arrivi ti fermi. 
Già, arrivare ad un punto, come fosse semplice. È che non sempre sono in grado di capire quando arriva il momento di fermarmi e così vado avanti, forse anche stancamente, senza grandi idee, quando invece di cose da raccontare ce ne sarebbero tante, ne avrei tante, ma non so se ne ho voglia, non so se voglio dire che, una storia, un momento, una giornata, un episodio, un’esperienza nuova, con lei, che mi ha lasciato, no, che io ho lasciato, non so, e non saprei ripetere esattamente come sono andate le cose. 
So solo che adesso mi ritrovo con una voglia o necessità di recuperare situazioni che in un modo che non ho ancora capito, hanno fatto parte del mio passato, recente, e che forse appartengono ancora a questo presente, se è vero che ne sto parlando, anche se vorrei essere già più avanti, oltre,  perché quando riesco ad immaginare il mio personaggio inventato è come se fosse presente, vivo, come se fosse una persona reale, di cui racconto le azioni, i pensieri, i sentimenti. 
Con lei, però, è diverso, lo è stato fin dall’inizio, perché lei non è un personaggio del tutto inventato, esiste davvero, non devo fare neanche lo sforzo di concepirlo dal niente, di dargli un nome, un’identità, una storia. Solo che, nella pratica, non è presente, non è qui con me, non è vicino a me, non lo è più, per quanto cerchi di dialogare, per quanto mi sforzi di parlarci, per quanto l’immagini con una sua voce, con un suo tono, con le sue altezze, le sue frequenze, con le mille sfumature di una voce che, perché non posso dire calda?, perché non posso definirla suadente?, a volte mi manca il coraggio di osare, perché non posso ripetere per lei l’intero repertorio di voci dei personaggi femminili della letteratura mondiale?, ciononostante, una persona che diventa personaggio è sempre un percorso difficile da realizzare, molto più di quanto non sia far diventare credibile un personaggio fittizio.
Ad esempio, la scena dell’incontro, pensavo di averla preparata bene, verificando tutti i dettagli, ma poi mi resi conto che in effetti c’era qualcosa che non avevo ancora previsto, un particolare non di poco conto, e così risolsi di inserire nel copione provvisorio poche battute veloci, messe li quasi per caso, una necessità che mi permetteva di creare un contesto in cui ambientare la storia. 
Eravamo in pizzeria e, aspettando che ci servissero, le rivolsi una domanda che ebbe un effetto devastante, come di un cazzotto in una faccia di vetro. Di punto in bianco, senza stare a tergiversare, le chiesi quali metodi anticoncezionali usava.

sabato 27 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 11

Potrei partire da qua, un desiderio inappagato che, presto, o anche no, assume forme accettabili, soddisfacenti. Le condizioni ci sarebbero e non servirebbero nemmeno grossi sforzi. Sarebbe sufficiente dilatare le esperienze minimali, estenderle oltre confini apparentemente invalicabili: una carezza lieve, come tra amici, intimi, certo, e un bacio, ingenuo, anche questo, nel bel mezzo di un incontro, più o meno casuale, l’incontro, ma anche il bacio, che deve arrivare in maniera del tutto naturale, forse anche inaspettato. 
Cose così, semplici, nulla di complicato, non voglio perdermi nuovamente in costruzioni artificiose, è bastata una volta, chissà, e forse stavolta riuscirò a trarre giovamento dagli errori del passato, a fare tesoro delle esperienze decisamente fallimentari che mi hanno ridotto nella condizione di non sapere vivere e tutto il resto, perché nonostante tutto, continuo ad avere dei dubbi, a nutrire dei sospetti, o dei timori che, proprio quando sta per nascere qualcosa, possa arrivare un elemento che inibisce lo sviluppo di una storia, un’invadenza deleteria che si materializza dentro la trama che è sul punto di sbocciare. 
Sono rischi che si corrono, soprattutto quando si agisce. La perfezione è impossibile. Eppure, non voglio rassegnarmi, non riesco ad accettare questa verità incontestabile. Che cocciuto che devo essere, anzi, che sono. Mi accontento di restare fermo, piuttosto, ecco perché insisto nel dire che non so se voglio dirlo. È un modo per mascherare non solo paure, ma anche  incapacità, l’ho già detto. 
Ah, se solo riuscissi a liberarmi di certi pregiudizi, ma non sono del tutto sicuro che solo di questo si tratti. 
Ah, se solo riuscissi a non essere ignorante, a non voler necessariamente fare le cose in grande, a non pretendere di voler conoscere tutto. 
Ah, se solo fossi capace di raccontare anche solo un sentimento semplice, descrivere una paura, attingendo al vasto repertorio a me familiare, non foss’altro per averne vissute tante, di paure, e di viverne ancora, pressoché quotidianamente. 
Non occorre che vada lontano, sono alla mia portata, lo avverto, non dovrei fare grossi sforzi, e anche questo forse l’ho già detto, e invece …

Potrei fare una doccia. In quest’estate atroce l’umidità mi sta sciogliendo. Ma non sarebbe meglio dire, ad esempio, che l’umidità non mi consente di respirare piuttosto che dire che mi sta sciogliendo? Fa caldo, certo, c’è un’afa che non so definire, il sudore si appiccica addosso, insieme ai pochi vestiti, e forse ottura i pori della pelle. Deve essere un problema di traspirazione, forse non ce n’è a sufficienza, non so, e soprattutto non voglio interessarmene. So solo, questo sì, che sto male, e che una doccia potrebbe aiutare, favorire uno scambio, un passaggio d’aria, non saprei, o forse ho bisogno di una pulizia più a fondo, eliminare gli eccessi, le non necessità. Forse sarebbe auspicabile maggiore sincerità, parlare chiaramente, una diversa apertura, una dialettica più essenziale. Forse.
Fossi più superficiale mi accontenterei, si fa per dire, di seguirla, con tutte le volte che mi ha invitato a fare la doccia insieme, sarebbe un buon modo di fare pratica, partendo da facili esercizi, una situazione concreta, piuttosto abbordabile, fattibile, in definitiva. Ancora, però, non riesco a staccarmi da certe regole che mi sono come autoimposto, senza capire tuttavia dove trovano fondamento. Mi sono ritrovato a rincorrere in ogni occasione le cose più difficili, come se non trovassi gusto per le cose semplici, forse anche banali, o che evidentemente considero tali. 
Anna Chiara, vorrei dirti che non ho mai smesso di amarti, ad esempio. Ma non ho ancora acquisito la giusta confidenza, non solo col suo nome, anzi con i suoi due nomi, ma nemmeno col suo corpo, con la sua presenza, con la sua fisicità. 
Vorrei confessarti che non ho mai smesso di amarti. Una frase come questa dovrebbe sorgere spontanea, e così la costruzione di un amore, e tutto il resto, come se mi trovassi a rivivere emozioni pressoché dimenticate. 
Ma è come, allo stesso tempo, non so, un difetto di sperimentazione, non riuscire a permettermi più un lusso, quello di osare, inibito, in questo, da qualcosa di poco lucido. 
Mi manca l’ebbrezza dell’ardimento, ecco, e non vorrei arrivare ad ammettere che mi difetta il coraggio dei sentimenti, ma spero di essere stato chiaro, non vorrei ritornare nuovamente sull’argomento, se non per proclamare una vittoria, che però, a quel punto, coinciderebbe con la fine dei miei sforzi, ed allora, non so, mi sento confuso, non sono del tutto sicuro di volerlo, di dichiarare di essere riuscito e, di conseguenza, di finire per sempre.  

lunedì 15 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 10

Mi hanno consigliato di incastrarli all'interno di una storia tutte queste riflessioni, che diventerebbero così più credibili, forse anche più appetibili, o digeribili, o accettabili, non ho ben capito, altrimenti appare come un parlare a vuoto.
Ovviamente per me non è così. Comunque, mi piacerebbe indovinarla quella storia. Indovinare, sì, è proprio il termine appropriato, accoppiare forme e pur anche scampoli di fantasie, giustapporre architetture e bricioli di immaginazione, e coinvolgere qualcun altro, un osservatore esterno, personaggi minori, comparse eterogenee. La brulicante realtà, si potrebbe chiamare. 
Disbrigare innanzitutto tali formalità, e poi il resto, tanto altro ancora, pacchetti integrati di esperienze vissute da assemblare, fino ad arrivare alla conclusione, quella che verosimilmente può essere considerata una conclusione, che non è possibile conoscere se non quando si è prossimi alla meta, quella che si individua inequivocabilmente come tale, e che a quel punto non può più essere modificata, né rinviata. 
Tutto facile, sembra tutto facile, e forse lo è anche, ma non per me, non per questa arida scrittura al limite del maniacale, forse anche essenziale, di un’essenzialità che rinuncia ad ogni azione, quando invece, sì, tutto facile se avessi in mano il tutto, invece dell’indecisione più assoluta, invece della libertà inibitoria di scegliere l’infinito tra altre infinità, di optare per un mondo in un mondo senza confini. 
Ad esempio, penso di continuo a quello che Anna Chiara non mi ha mai voluto dare, senza tuttavia riuscire a definire gli ambiti di questo suo mancato dono. Sono certo che se glielo avessi esplicitato bene, se fossi stato in grado, a quei tempi, di spiegarle con chiarezza quali erano le mie intenzioni, o forse le mie esigenze, oggi non starei qui a lacerarmi per un rammarico che in certi momenti non mi fa vivere.
Ma perché il pensiero ritorna di continuo da quelle parti? È stato duro lasciarla, lasciarci. Non so se serve dirlo, che forse mi sono anche pentito, che avrei potuto farla vivere ancora per un po’. Dopotutto, ci stavo bene insieme, avrei dovuto insistere, lentamente, essere più paziente. Ma sono fatto così, la pazienza non mi appartiene, e non imparo mai dagli errori commessi, e così mi dissolvo tra le parole. La sensazione di disperdermi è sempre grande. 
Quanto vorrei ritrovarla, così com’era! È svanito un sogno, non so se di quelli ad occhi aperti, ma mi sembra di ricordare che quando guardavo davanti a me, lei c’era, era presente. Mi pareva di vederla, gioivo nel toccarla, godevo a baciarla, mi restavano i segni addosso, ne portavo le tracce, per tanto tempo, e ancora adesso, nel bene e nel male, continua a condizionare la mia esistenza. 
Non so come si chiama tutto questo, se ha un nome, se è meritevole di una storia. Non so se è vivere questo, se tutto questo mi fa vivere, mi farà vivere, ed eventualmente per quanto ancora. 

(Fine parte prima)

domenica 14 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 9

Ora che tutto è finito, posso provare a confessarlo, almeno a me stesso. Quasi una colpa di cui vergognarmi, ma di cui spero arrivi presto anche una benefica assoluzione. 
Era cominciato così, uno scherzo, una voglia di parlare, di raccontare, di conoscere qualcuno con cui comunicare. Una chat, adesso che va tanto di moda. Volevo farlo anch'io, e così, l’ho intercettata senza sapere nemmeno come, anzi, adesso che ci penso, sarebbe più corretto dire che sono stato io la preda, sono caduto nella sua rete tesa ad arte, ed ho abboccato come un allocco. 
Comunque sia, mi sono ritrovato a vivere per un periodo intenso una storia come d’amore. Dico quasi perché non si è sviluppata in molte direzioni, nel senso che non tutto me stesso è rimasto coinvolto in questa avventura. 
Ma tant’è, posso definirla in un certo senso una storia d’amore, ed ora che è finita, anche la durata non mi è del tutto nota, non so quando esattamente tutto è cominciato, so solo che adesso che è finita, posso tranquillamente dire che tutti questi sforzi erano rivolti essenzialmente verso una direzione ben precisa: volevo sperimentare un rapporto sessuale con lei, che per me rappresentava una novità assoluta, non solo fare sesso con una donna decisamente più giovane di me, ma per di più con una alla sua prima esperienza. 
Mi eccitava doppiamente l’idea, ed ogni mio tentativo era diretto esclusivamente a questo. L’ho capito subito, dopo poche settimane, non avevo altro fine se non fare l’amore con lei. 
Per questo, quando, passati alcuni mesi, la situazione non si sbloccava in nessun modo, ma anzi ristagnava sempre più stancamente, ho cominciato ad annoiarmi, non mi bastavano le parole, non erano più sufficienti le tante carinerie che con sempre più tenerezza mi elargiva. Avevo bisogno d’altro e glielo feci capire. 
Non ricordo se glielo dissi esplicitamente, ma lei, Anna, o Chiara, non ho ancora deciso come battezzarla, ma so già che, a causa dell’eterna incertezza che mi caratterizza, alla fine sceglierò di chiamarla Anna Chiara, cioè, due in una, lei aveva intuito tutto fin da subito. E me lo disse anche, che non solo non era pronta, ma che non era per nulla interessata alla cosa. 
Ed io, cosa potevo fare a quel punto? Non so gestire queste situazioni, non sono il tipo che certe cose le tira per le lunghe, ed allora, mi sono inventato una scusa, non ricordo, e la mollai di botto, senza farmi sentire più. 
Tra le altre cose, mi sono rimaste le corrispondenze, le mie audaci scritture, le sue straordinarie parole, che nessuna donna mi aveva rivolto prima, non allo stesso modo. Me le rileggo spesso, ci ritorno di continuo, non so se con un senso di rammarico, di cosa perduta, qualcosa che non ho saputo apprezzare e che forse non potrò più riavere, oppure, come un’opportunità, una sfida, di fare sempre meglio, di richiedere a me stesso uno sforzo superiore, per superarmi negli esercizi di scrittura, per ottenere da lei quello che non mi ha voluto donare. 
Non so, vivo ancora in questa illusione, non tutto è perso per me, una flebile speranza mi tiene ancora legato, e vorrei coltivarla, a costo di perdere tutto, anche il passato, anche il ricordo dei giorni in cui ci siamo amati.
Però, ecco, ritorna ancora l’incertezza, non so se voglio farlo, non so se voglio dirlo, le cose che avrei voluto fare con lei, che ho fantasticato di fare, quelle che mi illudo di poter fare. 
Non so se posso permettermi ancora una simile speranza. È passato così tanto tempo, almeno così mi sembra, ho anche cambiato mondo, almeno così mi sembra, adesso lo vedo, mi rendo conto di tutto quello che è stato, sì, sono consapevole che ho perso una buona occasione, e non so se ne avrò altre. 
Di pensieri, sento di averne ancora tanti, ma è difficile ricominciare. Sono stanco, il peso degli anni comincia a farsi sentire. Non posso farci niente, però mi piacerebbe dire un’altra volta però, per chiarire che le cose non fatte non sono non fatte per sempre, e sentire di poter cambiare il corso della storia, semplicemente intervenendo sul nastro dei ricordi, sovrapponendo immagini non mie ai fotogrammi di un passato che non voglio più accettare, da tempo ormai, non so nemmeno da quando.
So solo che vorrei non essere più quello che sono stato, ma anche non essere stato quello che sono stato, ed è già un buon punto di partenza, perché così potrò avere le idee chiare, sulla direzione da prendere e il mezzo più comodo per arrivarci. Almeno così mi sembra, almeno così sembra, perché le idee chiare, non so se le abbia mai avute. 
Annaspo, mi piace questo verbo, annaspo come al buio, senza una meta, fino a quando, a forza di girare, mi convinco, così mi sembra, di aver trovato un senso, anche se poi, ben presto non mi sembra più.

sabato 13 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 8

C’è questo personaggio, forse il protagonista, che inizia a percorrere strade, a intraprendere cammini, anche mentali, alla ricerca di storie, con il desiderio nemmeno tanto celato di rimettere ordine nella propria vita, come se dal successo di questo tentativo dipendesse il futuro che vorrebbe vivere, quello che ancora gli rimane, e il tutto, possibilmente, senza inibizioni di sorta, quelle che impedirebbero lo sviluppo della fantasia, ma con la speranza, piuttosto, di sperimentare una libertà dagli effetti esilaranti, al limite anche inebrianti, mai prima conosciuta. 
E c’è anche l’ossessione dell’imperfetto, questo tempo che difficilmente raggiunge la perfezione così tanto desiderata, e si tratta di un ostacolo non da poco, è un grosso limite, che impedisce il raggiungimento di qualunque obiettivo. 
Se fossi in grado di parlare al passato, di raccontare storie già vissute, sarei ad un buon punto, potrei lanciarmi verso sentieri inesplorati, e basterebbe la sola curiosità per farmi andare avanti, per farmi proseguire, pur fra strade accidentate, consapevole che l’importante è raggiungere, ogni volta, la tappa successiva, il tutto, semplicemente immaginando e costruendo sempre nuove illusioni, con la speranza, un giorno, di poterle realizzare e, forse, concretizzare, non saprei, ma mi basterebbe saper raccontare, in un modo qualunque, quello che c’è stato, non le ipotesi, quel poco che ho vissuto, che è sempre tanto, se solo sapessi vedere, se solo fossi in grado di capire cos’è stato di me, cosa ho avuto, quel poco che ho dato, se ho dato. 
È che dovrei sbrigarmi, farlo con una certa fretta, il tempo che rimane si assottiglia, e questo lo sento. Un giorno che passa non è un giorno, non solo un giorno, e non un solo giorno, è tanto di più, non so, è vita che si perde, e non so se ne rimane ancora abbastanza, anzi lo so, non potrò farcela, non ce la farò mai, e forse è un buon motivo non cominciare nemmeno? 
Allora, come ho intenzione di viverli i giorni che mi restano? No, non voglio pensarci. Intanto mi avvio, poi si vedrà. Del resto è nei momenti difficili che bisogna trovare la forza per continuare, e di momenti difficili ce ne sono tanti, se ne vivono in una progressione pressoché costante, la tensione aumenta col passare degli anni, mi tira tutto, mi fa estendere all'inverosimile persino i pensieri, le ipotesi, che diventano elastiche, non solo le illusioni, anche le proiezioni, i desideri, le voglie più assurde, che cerco di affrontare come so, o come non so, tutto è vita, che sembra scorrere ad una velocità impercettibile, al punto che appare statica, immobile, stagnante, ed è in questa fissità che mi perdo ma, allo stesso tempo, è anche quando rimango bloccato che, maggiormente, avverto la sensazione di star bene, perché temo che se solo mi spostassi di un centimetro, non so cosa potrebbe succedere. Probabilmente nulla di buono, ecco spiegata la mia paura di agire, e di fare agire i miei personaggi, l’incapacità di muovermi dalla posizione in cui mi trovo, anche se non so com'è, anche se non sono in grado di spiegare se si tratta di una situazione da consigliare ai più, se con gli altri funziona. 
Ho le idee poco chiare e non agire mi pone in una condizione di non pericolo, forse. Non voglio dire di sicurezza, nella situazione in cui mi trovo sento che non posso aspirare a tanto, ma almeno, non correre rischi è già qualcosa.

Pochi episodi si sviluppano lungo questi percorsi, pochissimi quelli che percepisco, o intuisco. Solo vaghe e generiche immagini provenienti da non so dove, fumose idee che nemmeno attecchiscono. 
Potrebbe capitare, ad esempio, è già successo, che dopo tanto camminare, incontri qualcuno, avvisti un albero, in un campo deserto, ma il deserto è fatto di sabbia, o di pietre, o di nulla, polvere e vento, ed è già qualcosa a saper guardare, non serve la moltitudine per vivere, per dare vita ad una vita. 
Dopo tanto discettare, arriverà, sorgerà da un apparente nulla, da un vuoto senza niente, qualcosa che farà scattare la scintilla, una nuova vita, appunto, e dovrò essere pronto ad afferrare l’occasione, un miraggio inatteso, o forse no, lentamente costruito, senza sapere però quando esattamente si manifesterà, ed è per questo che bisogna prepararsi, tenersi pronti, il momento opportuno per uscire dal caos, ed entrare nell'ordine, per sfuggire all'aridità e rifugiarsi, a piccoli passi, o anche a grandi, come meglio conviene, nello sterminato campo della fantasia, senza però correre il rischio di perdersi, di smarrirsi dentro le infinite possibilità offerte, in ogni momento, da una storia. 
Facile a dirsi, certo, e per riuscirci, le ipotesi dovranno presentarsi in maniera meno occasionale, ah, se avessi, ah, se fossi, ah se potessi, dovrò farci l’abitudine, e non solo io, ma anche chi mi ha seguito fino a questo punto. E capiterà di trovarne altre di ipotesi, di più interessanti anche, arriveranno senza preavviso, come ho già annunciato. 
È così che nascono le storie, quando meno te lo aspetti, come dal nulla, un improvviso amore, ad esempio, ma adesso, non è che vorrei cominciare a fare l’elenco del possibile, seguitemi, è tutto naturale, fidatevi.

venerdì 12 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 7

Per ritornare agli incipit, negli ultimi tempi mi sono ritrovato a scriverne alcuni che presupponevano, o forse prevedevano, lo sviluppo di una storia in cui il protagonista era impegnato nella conquista di una donna, per una relazione fatta essenzialmente di sesso, di carattere temporaneo, anche provvisorio, al limite una tantum. 
Non so se avete presente, di quelle del tipo toccata e fuga, quando va bene, altrimenti, tanto rumore per nulla. Forse farò una raccolta di questo materiale e impasterò il tutto con un collante generico, universale. 
Non conosco nessuno a cui chiedere un consiglio, farò da me, e questo non solo per l’elaborazione della storia, ma mi succede sempre, anche quando ho delle vere avventure, nella vita reale intendo, ma anche non avventure, anche nelle altre cose, di tutti i giorni. Non ho un consigliere, faccio da me, quando sono capace, e come sono capace. Il più delle volte sbaglio e, ovviamente, me ne accorgo a cose fatte. Anzi, a cose non fatte, perché spesso non agisco, e già questo è un errore, e lo capisco sempre in ritardo, quando non posso più rimediare, quando l’occasione è passata, e non c’è più verso di riprenderla o recuperarla. 
È allora che scaturisce una sorta di rammarico, ma ecco, io le inserirò senza preavviso le storie, o meglio, i loro incipit, è come quella cosa del non ricordo, a tradimento, forse, ma non me ne importa, o forse non so fare diversamente, confido nelle capacità di chi legge. È il rammarico, dicevo, di non essere stato in grado di convincerla, Anna o Chiara poco importa, di convincerla fino in fondo che di me poteva fidarsi, che con me sarebbe stata bene, meglio di quanto poteva aspettarsi. È anche il dispiacere di non aver fatto abbastanza per trattenerla, per non farla andare via, senza nemmeno aver capito perché. 
In fondo, il potere che avevo riposto nelle parole, nella mia capacità di persuasione, nella disperata ricerca di un punto di unione, tutto questo si è rivelata pura illusione, qualcosa che è sfumato al minimo soffio di vento e ancora non so capacitarmene. 
Tra noi due è finito tutto così in fretta, senza nemmeno il tempo di capire cosa stava succedendo, come se certe cose dovessero durare in eterno, così pensavo. E invece, con una naturalezza che ancora oggi, quando ci ripenso, mi lascia sconvolto, mi ritrovo da solo, a rimuginare su presunti o possibili errori che hanno condizionato la relazione, probabilmente fin dall'origine, fin da quando ho fantasticato di una nuova storia, finalmente una storia, come mai era successo prima, come mai avevo vissuto fino a quel momento. 
Perché, a pensarci bene, non ero mai riuscito prima a far spogliare una donna davanti a me, senza che facessi niente per, stavo per dire costringerla, ma sarebbe più corretto dire, per convincerla. Una che lo faceva solo perché aveva voglia di darsi tutta a me. No, mai avuto a che fare con una che, senza che chiedessi niente, si era mostrata completamente nuda, dicendomi espressamente, senza tanti giri di parole, Eccomi, sono tutta tua. 
Forse non c’ero riuscito nemmeno nel migliore dei sogni, non mi era capitato nemmeno nelle elaborazioni più fantasiose dei miei desideri, più o meno perversi. 
Poi, però, così come tutto è cominciato, allo stesso modo finisce, passo ad altro, uso un po’ di cemento e mi rivolgo ad altre storie, un altro incipit interruptus. Ecco, ormai questa espressione la sento mia, come nient’altro, mi si confà alla perfezione, un abito che non so levarmi di dosso, incrostato nella pelle e fin dentro le ossa, ecco, ancora, la virgola, un altro punto fisso della mia scrittura, alla fine di un pensiero, al termine di un respiro, sono portato a mettere una virgola, qualcosa a cui aggrapparmi disperatamente, per far continuare la storia, per ritrovarci un senso, come qualcosa che mi tiene in vita, che mi accompagna lungo un percorso sconosciuto, come se stessi riprendendo un discorso iniziato da tempo e dovessi continuarlo chissà per quanto ancora, e invece, ci sono delle situazioni in cui mi piacerebbe riuscire a piantare, una volta tanto, un bel punto, non solo un punto fermo, ma un vero e proprio segno di punteggiatura che determina la conclusione di un pensiero, un autentico punto e basta. 
Vorrei seguire un criterio nella selezione di opere incompiute. Ecco, anche i condizionali li uso spesso, di tutti i tipi, segno ancora di poca lucidità, di sicura incertezza, ma va bene così, vorrei seguire una strada già tracciata nella mia mente, ma so che non è chiara, e forse non esiste nemmeno. 
Se avessi un percorso da seguire probabilmente tutto sarebbe più semplice, questa immensa fatica non si ridurrebbe ad un continuo girare a vuoto, con la conseguenza di perdermi nella vaghezza dell’immaginazione. 
Ecco, penso che dovrei esercitarmi di più, per imparare ad immaginare, forse dovrei fare questo, perché le storie che scrivo, non solo non sono storie, ma sono per lo più legate alle esperienze vissute, e non vanno oltre il mio essere me stesso, e invece vorrei evadere, anche da me stesso, sperimentare forme di creazione nuove, almeno per me, e forse dovrei essere più generoso anche con il lettore, non guardare solo al mio compiacimento che, detto fra parentesi, non sempre c’è, e comunque mettere insieme episodi della mia vita, provare a legarli in qualche modo fra loro, ecco, è una presunzione che non riesco a superare, o a vincere, in nessun modo, che cioè questa operazione possa interessare a qualcuno. Ma è più forte di me, ed allora, vado avanti così, vado avanti lo stesso.

giovedì 11 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 6


A volte mi viene da pensare che un incipit è come un prodotto con una data di scadenza, passata la quale non può produrre nessuna storia. Se non viene utilizzato, scade, e non se ne può più fare niente. E se davvero è così, allora io penso di averne fatti scadere tanti di incipit, ho continuato a scriverne per anni, con l’unico risultato di avviare un processo e non portarlo mai, o quasi mai, a compimento. Storie sconclusionate, o forse sarebbe meglio dire, senza conclusione, rimaste in un limbo eterno che nessun evento potrà mai sbloccare. 
Per questo, adesso che ho in mente di ricominciare concretamente a scrivere, mi trovo nella condizione di non sapere con esattezza se assumermi questo rischio, non so cioè se è il caso di osare. E non sembri strano che parli di rischio, perché potrebbe essere l’ultima volta, anche se questa cosa qui l’ho sentita dire spesso. Da me, intendo. Ho fatto tante volte di questi propositi. Ma adesso è diverso, nel senso che vorrei essere più serio e rispettare gli impegni. O ce la faccio, oppure basta, lascio, rinuncio per sempre. Sento la necessità di essere ultimativo, costi quel che costi. 

Ho deciso, rischio. Non ci ho messo molto a scegliere, a costo di utilizzare tutti gli incipit fin qui concepiti come corpo della storia, perché no? 
Un romanzo, non so se con una storia, un romanzo fatto quasi esclusivamente di incipit, ma non so ancora se dello stesso romanzo, più probabile, oppure di romanzi diversi. 
Ma forse è meglio optare per una via di mezzo, mi sembra la soluzione migliore, anche se non so bene come incastrare le parti, come giustapporle. Ecco, giustapporle, non mi veniva la parola (anche se, un’altra espressione, un indizio, o forse un inizio, di concessiva che uso spesso, e a volte anche in modo nidificato, e non sempre riesco a districarmi in mezzo a tutte le possibili ipotesi). 
Insomma, ci penso un po’ e prenderò una decisione, spero di riuscirci in tempi brevi, non vorrei trascorrere notti in bianco, ma non solo, per decidere come sviluppare la storia che ho in mente di scrivere. 
Il punto è che non ce l’ho bene in mente, anzi, non ce l’ho affatto, né bene, né male. Ecco dove sta il problema. Comunque, sì, ci penserò, e in ogni caso, si sarà capito, ormai, non so se voglio dire tutto, e non so neanche perché, non so nemmeno cos'è il tutto, forse non ne sono capace, dire quello che vorrei dire. 
Anna mia, o mia Chiara, o come altro vorrai farti chiamare, non so nemmeno io cosa vorrei dirti esattamente. Sento che così non può andare, non può più continuare, e la cosa si risolve, si potrebbe risolvere, parlandoti, parlandone. Raccontandoci reciprocamente cos'è che non va, per provare a capire dove risiede esattamente il problema. 
Se avessi le idee più chiare potrei farlo anche subito, non aspetterei un secondo in più, se sapessi con chiarezza cos'è che mi tormenta, che mi fa vivere una vita di angosce (Tu lo sai? E me ne parleresti?).
Forse non dico niente perché non so cosa dire. Devo riflettere su questa mia incapacità di concentrazione, su questo difetto che mi impedisce di ragionare. Riesco sempre a vedere tante cose inutili, almeno tali appaiono a prima vista, ma non ciò che effettivamente conta. Intendo dire che non ho certezza che le cose su cui solitamente ripongo le mie attenzioni abbiano un qualche valore, servano veramente a qualcosa. Ma forse, forse dovrei semplicemente smettere di pensare.

lunedì 8 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 5

Anna? Chiara? (non ho ancora deciso che nome darle), vorrei confessarti che sto male, perché ormai è tanto che non faccio l’amore. Ma non te lo dico, perché so già cosa mi diresti. Che anche tu stai male, stai male da una vita, perché invece tu non l’hai mai fatto.
Ecco, se proprio devo farlo, se proprio devo raccontare qualcosa, comincerei con un bell'incipit, anche se a dire il vero io sono contrario agli incipit. Questa convinzione nasce dal fatto che nel corso della mia attività, per così dire, letteraria, ne ho scritti tantissimi. Almeno ho provato, nel senso che quando li scrivevo ero sicuro che fossero degli incipit, che fossero cioè, ogni volta, il giusto preludio ad un romanzo, ad una storia, ad una narrazione strutturata. Insomma, ad uno scritto con un inizio, appunto, uno sviluppo più o meno credibile, accettabile, ed una conclusione, che prima o poi sarebbe arrivata. 
Il problema sorgeva quando, passata, ma vorrei dire conclusa, la parte iniziale, quando cioè pensavo di aver elaborato definitivamente l’incipit, il resto non veniva, né spontaneamente e nemmeno sforzandomi in qualche modo. E adesso mi ritrovo con una collezione di inizi di storie in attesa di uno sviluppo, rimasti sospesi in un equilibrio precario, aspettando che arrivi l’ispirazione per il prosieguo. E questa ispirazione non so bene da dove possa effettivamente giungere, né se c’è ancora tempo, se cioè posso sperare, oppure ormai (avverbio di morte) non c’è più niente da fare. 
A volte mi viene da pensare che un incipit è come un prodotto facilmente deperibile, con una data di scadenza, passata la quale non può produrre alcuna storia. Se non viene utilizzato, scade, e non se ne può più fare niente. E se davvero è così, allora io penso di averne fatti scadere tanti di incipit, ho continuato a scriverne per anni, con l’unico risultato di avviare un processo e non portarlo mai, o quasi mai, a compimento. Storie sconclusionate, o forse sarebbe meglio dire, senza conclusione, rimaste in un limbo eterno che nessun evento potrà mai sbloccare. 
Per questo, adesso che ho in mente di ricominciare concretamente a scrivere, mi trovo nella condizione di non sapere con esattezza se assumermi questo rischio, non so cioè se è il caso di osare. E non sembri strano che parli di rischio, perché potrebbe essere l’ultima volta, anche se questa cosa l’ho sentita dire spesso. Da me, intendo. Ho fatto tante volte di questi propositi. Ma adesso è diverso, nel senso che vorrei essere più serio, e rispettare gli impegni. O ce la faccio, oppure basta, lascio, rinuncio per sempre. Sento la necessità di essere ultimativo, costi quel che costi. 
Vorrei confessare un desiderio. Che ad ispirarmi fortemente sia lei, quel personaggio che ho in mente da un po’ e a cui presto darò un nome. Mi serve per proseguire il cammino intrapreso forse un po’ incautamente e che, sono certo, mi regalerà un’avventura che non dimenticherò tanto facilmente.

domenica 7 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 4

Per evitare tutto ciò penso che nel prosieguo potrebbe essere utile prendere nota della data, sia pur approssimativa nel ricordo, in cui alcuni episodi si sono manifestati, in cui alcune idee hanno avuto origine, o alcuni avvenimenti hanno cominciato a condizionare la mia vita, anche se in quei frangenti non ero consapevole del loro valore, dei momenti in cui ho cominciato a fare, o a non fare, alcune cose, a comportarmi in un determinato modo, capire da quanto tempo ho perso interesse alle cose, anche se forse non proprio a tutto, di certo a molte cose. 
Mi dico che dovrei provare a verbalizzarle le mie angosce, che sembrano non avere fine. Forse c’è un modo per farlo, che comunque non conosco. Ad esempio, quando è stato che mi sono rasato l’ultima volta. 
L’attività di trascrizione potrebbe tornarmi utile anche nel seguire una traccia che al momento ignoro dove dovrebbe e potrebbe condurmi. Sarà questo che cerco nella scrittura?
Liberarmi delle confusioni. Già, facile a dirsi, e quand'anche, cosa potrà mai venire fuori da tutte queste contraddizioni? 
Scrivere ad una parte di me. Forse così ce la farei a trovare le parole giuste per tradurre ciò che sento e forse non proverei nemmeno imbarazzo, o addirittura vergogna. Forse non mi rifugerei più in espressioni del tipo non saprei come dirlo. Forse verrebbe meno anche quel naturale riserbo che si avverte quando si tratta di svelare ad un altro, o persino a se stesso, qualcosa di intimo. Forse. 
Sì, rivolgermi ad una parte di me. Potrebbe essere questa la soluzione, l’unico modo di accettare l’incapacità di avere un rapporto vero con gli altri, l’incapacità persino di avere gli altri, un modo per nascondere la paura di affrontare la realtà. 
Almeno immaginare di vivere altre esperienze, non dover confessare l’inadeguatezza di riportare su carta un’esperienza realmente vissuta, non sentirmi costretto ad inventare romanzi per poi sperare che diventino reali, che si trasformino in realtà, come cose mai esistite e che però sento presenti, a cui ho dato vita, una storia che non conoscevo e che adesso è tutta mia.

sabato 6 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 3


Sarò capace di venire fuori da questa confusione? Le domande sono il mio forte, le soluzioni un po’ meno. E tuttavia ci proverò, sono qua per questo. Altrimenti continuerei a leggere, e a non capire niente, senza dare l’impressione di essere in grado di fare alcunché. O forse suona meglio, che poi è lo stesso, dando l’impressione di non essere in grado di fare alcunché
Di domande ne ho tante, per lo più sotto forma di dubbi. È l’insicurezza, l’ho già detto, e ne vengono sempre di nuove, e forse anche questo l’ho detto, non ricordo bene. Di risposte, invece, non pervenute. Non me ne intendo, non riesco a trovarne. Quelle, o ce le hai, perché hai vissuto, altrimenti è difficile azzeccarle. 
Ma, dicevo, non ricordo, ed anche questa espressione, non ricordo, forse la mia preferita, e per questo la più ricorrente, è quella che meglio mi aiuta ad uscire da certe situazioni ingarbugliate in cui a volte mi ritrovo, senza nemmeno riuscire a capire come è successo. 
Sto per dire qualcosa, sto argomentando un’idea, sto speculando su delle ipotesi e, d’un tratto, perdo il filo del discorso, non mi raccapezzo più, non riesco a soddisfare le aspettative di un possibile interlocutore, ma nemmeno le mie. 
Allora, cosa c’è di meglio che tirare dal cappello a cilindro un non ricordo? Così me la cavo, almeno penso, con una semplice, ancorché non convincente, giustificazione. 
Del resto, la dimenticanza non si può mica giustificare. È così, uno non si ricorda più e, amen, non c’è niente da fare, e si passa ad altro. Gli argomenti di cui discutere sono talmente tanti, forse infiniti, che non si corre il rischio di restare senza parole.

Dunque, dovrei cominciare, cioè, vorrei essere capace di farlo. Sembra un paradosso, anzi no, un ossimoro, anche questo sembra suonare meglio, non foss'altro perché più vicino alla realtà. Che poi è quella che ho già annunciato, cioè niente di nuovo, che non sono capace di fare tante cose, fra cui questa, cioè cominciare. 
E però dovrò pur provarci in qualche modo, cercando di vincere le resistenze, soprattutto interne, quelle, cioè, che operano dentro me, che non so bene esattamente dove siano localizzate, ma so che esistono, so che esistono e lavorano mio malgrado. 
Perché quando dico dentro me, sto delineando uno spazio abbastanza circoscritto, al punto che, mi dico, per risolvere la questione, potrei giocare a disattivare volta per volta una parte di me, e vedere dove sta l’arcano, sempre che sia capace di farlo. Ma mi sembra un’impresa alquanto difficile, fuori dalla mia portata, forse anche impossibile.
Nonostante tutto, però, non vorrei rinunciare e dentro me significa il mio corpo, da cui non posso prescindere, questa cosa che a volte vedo distante, anche distaccata, come fosse il corpo di un altro, mi capita in tante occasioni, o forse no, sono io a farlo capitare, intenzionalmente, dico, solo che non posso trattarlo in tutto e per tutto come fosse il corpo di un altro, o di un’altra, ed allo stesso tempo conservare il mio. 
Sarebbe il massimo, forse, perché se anche fosse possibile, se anche ci riuscissi, allora sono sicuro che a quel punto richiederei, pretenderei dell’altro dal mio corpo e da quello dell’altro, o dell’altra, anche se non so bene esattamente cosa. 
Non arrivo, infatti, a pianificare più di un passaggio per volta nella trasformazione che potrebbe arrivare lavorando di fantasia. Non sono abbastanza allenato per questo, non ancora, e quando guardo indietro, non sono poche le occasioni in cui vedo che dentro questo corpo hanno agito più esseri, che adesso non riconosco e, forse, dovrei, o vorrei dire purtroppo. 
Non si tratta di una sconoscenza, di quelle veritiere, non è una metafora, al punto che, se mi trovassi di fronte a quel me stesso di tanti anni fa probabilmente non lo riconoscerei, né lui riconoscerebbe il me attuale, nemmeno nell'aspetto fisico. Non voglio intendere nelle caratteristiche morali, che, quelle non è difficile cambiarle, anzi, forse è la cosa più semplice. Ma non riconoscerne la faccia, il corpo, il fisico, la fisionomia, ecco, quello non deve essere per niente facile. 
Eppure, sono sicuro che per me sarebbe quasi normale non riconoscermi, così com'ero, non dico da bambino o da ragazzo, ma anche trenta o persino venti anni fa. Forse perché mi guardo con occhi diversi, e gli occhi, è vero, come si dice, sono lo specchio dell’anima, e la mia anima, se davvero ne possiedo una, ma dubito, semmai ne parlerò più avanti, un argomento che vorrei affrontare prima o poi, la mia anima è stata molto volatile, o quanto meno volubile, mutevole e, non avendo tenuto traccia di tutti i cambiamenti occorsi, non essendo stato capace di farlo nel momento in cui si presentavano, e comunque non avendolo fatto, la mia anima, quella del passato, al momento risulta un pianeta insondabile, qualcosa di inaccessibile, col risultato che ancora oggi continuo ad avvertire un rimpianto che non so spiegare, come di cosa perduta, un rammarico, forse, di dimensioni o atmosfere smarrite per sempre. 

giovedì 4 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 2

La cosa, invece, dovrebbe venire facile, anche se non è scontato toccare certi tasti. Credo che si dica mettersi a nudo. Ci sta bene come espressione, rende l’idea. Ancora meglio se si lascia da parte ogni sorta di pudore, che sarebbe come dire non avere vergogna di niente. Ma, appunto, non so se ne sarò capace. Ad esempio, non saprei da dove iniziare, e allora, ecco, forse è meglio che le cose le dica come vengono e soprattutto quando vengono, altrimenti rischio di restare fermo, senza nemmeno più l’ausilio di una parola, senza il conforto di uno stimolo. 
Aspetto, prima o poi qualcosa arriverà, è stato così da sempre. Ho già scritto tanti diari, ho perso il conto, e sempre senza sforzi. Venivano spontanei, semplicemente capitava, ed io, certo, non ho mai fatto niente per evitarlo, o perché non succedesse. E ancora oggi sono convinto che è svelandomi che riuscirò a conoscermi, sempre che possa servire a qualcosa. 
È da un po’ che ho questo pallino, mi gira e mi rigira per la mente, o giù di lì, l’idea di parlare di me. A me stesso, certo, ma se riesco a farlo, va bene anche solo a me stesso, e potrò ritenermi soddisfatto. Almeno così leggerò la mia vita, e forse, forse, potrò giudicarla, anche se a quel punto sarà troppo tardi per rimediare ad eventuali errori. 
Eventuali? Sicuri, direi, altrimenti non avvertirei la necessità di rivedere una storia quasi giunta o, comunque, avviata verso la sua naturale conclusione. Sì, perché, penso che ormai (ormai uguale avverbio di morte, questa equazione l’ho letta tanto tempo fa da qualche parte e non me la sono più levata dalla testa), ormai mi resta poco. Poco tempo e poco da godere. 
Il più è andato. E il più vuol dire il tempo, non il piacere, che quello ce n’è stato sempre poco. Solo, di tanto in tanto, una confusa emozione, come direbbe qualcuno, e nemmeno tanto lunga, che però mi piacerebbe provare a riesumare, perché così avrei una ragione anch’io, per continuare, per riempire il poco tempo che mi rimane, prima che tutto vada perduto, prima che tutto finisca, quello che ricordo, o quello che vado ricostruendo. 
Non necessariamente cose accadute davvero, tanto, cosa importa? Ormai, sono quello che sono, anche se, in verità, la prospettiva di un nuovo futuro non mi dispiacerebbe. Nel gratta e vinci della vita non ho scoperto un bel niente e fino ad oggi tutto è rimasto come prima. Però, non si sa mai, è sempre bene lasciarsi qualche speranza.

mercoledì 3 giugno 2020

Non so se voglio dirlo - 1


Ma non so se voglio dirlo, raccontare davvero di tutte le cose che non so fare, stilare un elenco di ciò di cui non sono capace. Che non è cosa da poco, anche perché, non so se c’è qualcuno interessato ad ascoltare. 
Me ne vengono in mente sempre di nuove, di cose che, non solo non ho sperimentato, ma che, di certo, non saprei nemmeno come affrontare. Forse si chiama incapacità, ma deve avere a che fare senz'altro con l’insicurezza.  
In ogni caso, non so come sono nate, davvero, non so. 
Se c’è un modo per identificare questa situazione, però, non c’è di meglio che usare espressioni del tipo non so, non riesco, non sono capace
Ecco, questa negazione, questa particella, che è entrata a tal punto nel mio vocabolario che ormai mi impedisce di vivere una vita normale, se non appartenesse a quell'assurdo lessico quotidiano che non riesco in nessun modo a rimuovere, forse vivrei meglio. 
Ma eccone un’altra di parola, questo forse, che ricorre con una frequenza spaventosa, indice dell’insicurezza che mi paralizza. E ce ne sono ancora tante altre, con identico potere, che provocano lo stesso effetto ed individuano i tanti miei difetti. Basta leggere poche frasi e di fronte al lettore, di colpo, si spalanca l’immagine velenosa della mia essenza. O della mia assenza.
Io, tutto questo lo so, ormai, e non so se voglio dirlo, non sono sicuro di volerlo svelare. Perché in fondo, e sarebbe una beffa, se davvero riuscissi a parlare di me apertamente, come mi conosco, o anche come andrei conoscendomi parlandone, sono sicuro che il tutto risulterebbe poco credibile, buono nemmeno per un personaggio da romanzetto scadente.