Lettori fissi

martedì 26 maggio 2020

Veneranda età - 2

Può darsi che traspaia un fondo di pessimismo nelle cose che scrivo. Rimastico queste parole, senza però trovare una conferma. Non sono convinto o non voglio accettare questa verità. Perché un fondo di verità deve pur esserci. Più volte mi viene il sospetto che certe frasi possano suscitare un senso di cupezza che non riesco ad escludere quando parlo, tantomeno quando scrivo. 
Parole che mi rigiro in testa cercando di afferrarne il vero significato, la portata che possono avere su di me e sulle azioni che voglio, devo, posso fare da qui fino alla fine dei miei giorni. 
Spesso questa espressione finale mi lascia un po’ di angoscia nel cuore. Non sono capace di pensare a cosa resterà di me e, prima ancora, come sarà la mia vita fra un po’. Non tanto, a dire il vero. 
Tutta questa voglia di riprendere la vita normale non è che ce l’abbia. Ma forse dovrei chiedermi cos'è la normalità. Non trovo risposte, e non solo adesso. È una vita che mi interrogo inutilmente su argomenti del genere. Perché dovrebbe essere diverso adesso? Il pessimismo rimane, non si è mai allontanato da me. È come un’aureola che mi circonda e circonfonde e di cui ormai ho come una sorta di paura, forse anche terrore, ad abbandonare. 
Quando ci si abitua ad una routine non è semplice distaccarsene. Sarebbe qualcosa di diverso dalla routine, altrimenti, un intermezzo, una parentesi o una pausa di riflessione. 

lunedì 18 maggio 2020

Veneranda età

Lo dico subito, così, per intenderci. Non ho studiato molto nella mia vita. Oppure sì ma forse gli sforzi, che si sono rivelati improduttivi, non sarebbe corretto definirli propriamente studi. Eppure, a ben vedere, penso di aver trascorso gran parte della mia vita, e tuttora è così, con un libro in mano. 
Evidentemente il fatto di avere a che fare con i libri non è sufficiente a darmi la patente di studioso. Non di uno che mette a frutto gli studi, almeno, se è vero, ed è vero, che mi ritrovo senza arte né parte alla veneranda età di … ma a chi importa conoscere i miei anni, fruttuosi o meno che siano stati?
E poi, sarei forse degno di una qualche venerazione? Mi sbagliavo prima ad usare quell'attributo, ma spesso si dice così, ed anch'io mi sono sottoposto a questo gioco, anche se non mi aspetto niente da nessuno, meno che meno venerazione. E per cosa poi? Non esigo rispetto nemmeno da me stesso, figuriamoci cosa posso aspettarmi dagli altri! 
Ma mi sto perdendo, come spesso mi succede quando provo a cominciare a dire qualcosa. È che non sempre, anzi quasi mai, so cosa dire, non sempre ho qualcosa da dire, e tuttavia ho voglia di scrivere lo stesso ed allora parto, comincio a battere le dita sulla tastiera nella speranza che prima o poi qualcosa di buono possa arrivare, e a volte succede pure, solo che prima di riuscire ad intravedere qualcosa che minimamente sembra avere un qualche simulacro di interesse ne passa di tempo, il che significa scrivere pagine e pagine senza dire assolutamente niente fino a quando qualcosa di vago sembra spuntare all'orizzonte. 
Allora potrei cominciare. Prima, però, dovrei cancellare tutta la spazzatura scritta fino a quel momento, in quanto assolutamente inutile. Solo che, a questo punto, mi blocco perché non sono disposto a mettere in atto questo macello, non mi va, cioè, di annullare per sempre le cose già scritte perché, evidentemente, tanto inutili non sono state, dal momento che si sono rivelate invece necessarie a farmi intraprendere un percorso che, senza quella massa di parole preliminari, all'apparenza insensate, non avrei mai potuto iniziare
Quindi, so poco di tutto, o forse di tutto un poco, che però non è mai abbastanza. Ma abbastanza per cosa, poi? 
La vita c’è già tutta. Non c’è da inventare o aggiungere altro. Me ne accorgo sempre dopo, a cose ormai fatte. Ma va bene lo stesso. Basta essere al di sopra delle parti, di tutte le parti, immaginarsi drone, con una vista totale, e subito, con un semplice sguardo, non risulterà difficile rendersi conto di quello che è il mondo e, in breve, anche la vita.
Noi adesso la vediamo così, completa, completata. Si tratta solo di chiederci come ha fatto ad arrivare ad essere quello che è. Il quesito non sempre è di facile soluzione, ma è in questo che sta il bello, altrimenti, che noia!

sabato 16 maggio 2020

Le menzogne del tempo - 5

Le parole pesate non danno conto di ciò che è stato, non sarò mai in grado di raccontare il mio passato, in nessuna forma, questo il cruccio più grande.
Così si perde la storia, la mia e quella di chi ho conosciuto. Quella, poca, che è stata, e quella, di più, che non è stata. Di quella che sarà, quanta?, vorrei non occuparmi, non pensarci, vorrei viverla, piuttosto, ma ho ben poca fiducia, oramai.
Non ho saputo riciclarmi in qualcosa di interessante, e la poesia, inutile passatempo, non viene in soccorso. L’idea, poi, che il domani sarà uguale all'oggi non mi arride per niente. Né riesco a trovare qualcosa che mi possa far compiere un passo per spezzare questa catena. Mi sento come dentro un gioco di specchi in cui perdo continuamente di vista l’oggetto da ricercare e la stessa ricerca. Di questo passo non so quanto potrò ancora durare a meno che non mi basti il vuoto di un niente.
Mi sforzerò di descriverlo, questo vuoto, nei modi che più si convengono ad una così improba impresa. Al massimo metterò in fila frasi inutili e altrettanto inutili pagine fatte di niente, o poco più, come fosse ogni volta la palestra degli ultimi giorni, di quelli assegnati a me per destino, o anche per caso.
Non so se riuscirà a ispirarmi, questo vuoto, o saranno risultati vani gli affanni, le lunghe ore, i giorni infiniti, un passaggio senza traccia, semplicemente esistenza sprecata.
Ma, pure, continuo a chiedermi come fare per esprimere tutto questo, perché un modo vorrei pur trovarlo, un modo purchessia, un nuovo battesimo, non certo esente da errori, ma qualcosa comunque che mi possa far dire, Ho vissuto un minuto, o pur anche un secondo, e non invece, solamente, Ho aggiunto ogni giorno un’arida goccia di niente al già sterile nulla.
Forse mi ha dato una certezza, questo periodo di isolamento, che non ho più bisogno di niente, cioè, come è stato, del resto, finora. Solo che adesso lo so, ne sono convinto, e forse sto meglio così.
Queste ore vorrei ricordarle, per questo ne scrivo, vorrei ricordare come non è per nulla difficile, come se non fosse niente, come se la vita non fosse niente davvero.
Non so a cosa potrà servire conservarne memoria, ma mi sembra che possa essere una buona certezza da cui ripartire. Ma ripartire per cosa?, per dirigermi dove? Sarebbe forse consigliabile chiuderla qui, non proseguire se è solo per dire sciocchezze, per sommare alle tante già esistenti altre ancora banalità. 
È che scrivendo, solo così, mi sento un po’ vivo. Per il resto è come se fossi già bell'andato da un pezzo. Però, questi anni che restano, qualcosa dovrò fare. Penso proprio di dedicarli, quando ormai sarò vecchio, più vecchio, intendo, di adesso, di dedicarli a ricordare qualcosa che oggi non ho più con me, che è scomparso, e che, col tempo, col passare degli anni, come pure di dice, sarà più facilmente presente. La memoria di cose lontane, mi divertirò a evocarle così come vengono, e a ricordarmi cos'ero, com'ero. Non so cosa me ne farò, ma mi parrà almeno di avere vissuto, di essere stato qualcosa, qualcuno.
Probabilmente qualcosa di non molta utilità, ma con gli anni forse le idee saranno più chiare e potrò alfine così dire, Non è che sia stato del tutto memorabile, ma in qualche modo l’ho vissuta, la vita.
Ma la felicità? Sarò in grado di trovarne un frammento sia pure un attimo prima del definitivo respiro, così da poter dichiarare, anche se per un breve momento, Sono stato felice?
Mi confesserò come meglio so fare, scrivendo, cioè, e non è detto che verran fuori verità veritiere. Tutto è possibile quando si è prossimi al patibolo, o comunque alla fine, declinata in un modo qualunque.
Non ho pratica di assoluzioni, al massimo resterò peccatore e dannato in eterno.

venerdì 15 maggio 2020

Le menzogne del tempo - 4

Sono una di quelle persone, ce ne sono tante altre, insoddisfatte della vita che conducono, che vorrebbero cambiare direzione e che pensano, allo stesso tempo, che è tardi oramai, che si chiedono, Dove vado, più? Non saprei fare altro, ma altro rispetto a che cosa? Rispetto a questo non far niente continuo? 
Non esistono solo nei film o nei libri di quelle persone, l’ho sperimentato sulla mia pelle, solo, non ricordo che fine abbiano fatto i personaggi di quei film, di quei libri.
C’è chi si sarà riscattato, per il breve tempo residuo, chi si è perso per sempre a rievocare qualcosa che non è stato, un rimpianto, un rimorso per cose mai fatte, o tentate. Ma, in ogni caso, niente sarà più come prima. Quel che non si è fatto, non si è fatto per sempre, e per sempre è andato perduto.
È a questo che mi viene da pensare nei giorni di isolamento. Sto facendo un bilancio come se già fossi giunto alla fine, e non solo di questo quaderno. Sentimenti da quarantena, quella in cui vorrei finire i miei giorni.
Queste grevi inquietudini da adolescente non so togliermele proprio di dosso, mi ritornano sempre come turbe incistate nei recessi profondi e non vogliono andare più via. Le porterò con me fino alla fine, occupanti abusive di un corpo che non sento più mio.
Del resto, anche questo son’io, se non solo questo. Che fare allora? Dimenticare, come fosse un’azione intenzionale? Una scelta deliberata? Non sono, da molto, padrone più di me stesso. Mi vendo al miglior offerente, che sia io o un’immagine distorta di una realtà non propriamente vissuta, o qualcosa di là da venire, ancora sospeso o non deciso del tutto.
Vorrei rinascere vergine. Non ho bisogno di disimparare più niente, semplicemente perché non ho mai imparato alcunché. Né so bene cos'è accaduto nel tempo, cos'è stato il passato. È rimasto ben poco, io spettatore distratto, protagonista mancato.
Ma forse il tempo non è passato, non è mai esistito e mi sono illuso che ci potesse essere un giorno un futuro. Niente è successo, niente le cose che ho scritto. Solo qualche occasione per illudermi di vivere, una vita che si dissolve come niente appena chiudo una pagina, appena non ci penso più e non ci sarà nessun altro a pensarci.
Questi giorni rappresentano in piccolo la reclusione forzata di un'intera esistenza, la sintesi di una chiusura che conosco da anni.

giovedì 14 maggio 2020

Le menzogne del tempo - 3

Ancora qualche pagina e anche questo quaderno sarà giunto alla fine. Voglio completarlo, così metto da parte un altro periodo della mia vita, che comprende più mesi oltre l’ultimo anno. 
Forse un giorno lo leggerò, quando vorrò ricordare cosa sono stato, cosa ho vissuto, come ho vissuto. Non so a cosa veramente potrà servire. Forse a deprimermi ancora, più di quanto solitamente succede, per le cose non fatte, per il tempo trascorso inutilmente anche se, a dire il vero, non è che abbia ancora capito qual è il modo più utile di vivere una vita, né se effettivamente ce ne sia uno. Alla fine è possibile solo fare un bilancio. Ma anche su questo non è che abbia le idee molto chiare, su cosa, cioè, porre sui classici piatti della bilancia. Un confronto con cosa?, con chi?
Voglio completarlo, ho detto, mi sembra di avere tante cose da dire quando prendo la penna ma in realtà ho ben poco da dire, tranne il fatto che non ho niente da dire e tutto questo non ci vuole molto a dirlo, ed una volta detto il compito è finito, non resta altro, anzi, no, il resto è solo un girare scomposto intorno alle parole con l’unico scopo di illudermi che invece sto dicendo qualcosa, per questo forse sarebbe meglio non rileggere queste pagine, sarebbe solo perdere tempo.
Più di un mese in isolamento ma mi sembra di non aver perso niente, se non l’idea che uscendo, l’illusione che quando si poteva uscire, stessi vivendo. Adesso mi accorgo invece, mi rendo conto che non era così, non sto perdendo assolutamente niente. Anzi, non so se ho voglia di uscire di nuovo, se non per andare a fare delle camminate o una corsa nel parco, soprattutto adesso che sta per arrivare la bella stagione. Per il resto, vorrei chiudermi in casa e non uscire, non vedere nessuno. Mi aspettano tanti libri, riposti da anni negli scaffali delle librerie e sui tavolini e dappertutto dove in casa c’è spazio.
Vorrei chiudermi ancora di più in me stesso e leggere, scrivere anche, cose che forse non rileggerò mai, ma cose di me, che fanno parte di me, della mia vita, per svuotarmi, per liberarmi, per operare un distacco con tutto ciò che è stato. Solo alla fine di tutto questo, che non so se o quando potrà arrivare, solo a quel punto potrei ritornare, vedere il mondo di nuovo.
Perché nel frattempo non sarò più io, non avrò più dentro me quello che avevo, non sarò più fatto di quello che ero e, intanto, forse, anche il mondo all’esterno sarà cambiato e mi sembrerà di rinascere, di vivere un’altra vita, diversa da quella che ho conosciuto.
Non so in che forma tutto questo potrà realizzarsi. Forse sarò in un’altra dimensione che oggi non sono in grado di immaginare. Del resto l’immaginazione non è mai stato il mio forte. Ma per svuotarmi non mi serve, sarebbe sufficiente attingere al repertorio dei giorni passati, che non sono poi molti. Cioè, non sono variegati, la stessa tipologia quotidiana di vita, con poche, pochissime variazioni. Basta pescare a caso nel vuoto, qualche misera briciola in superficie verrà. Forse non la riconoscerò nemmeno, come particola di vita, ma la prendo lo stesso, faccio finta che sia stata mia e proverò a raccontarla.
Presto anche questa pesca sarà infruttuosa ed allora sarà il momento di prendere coscienza per ripartire. Non so quanto presto sarà questo presto. A volte temo che arriverà in ritardo, quando ormai non avrò che un filo di fiato o, addirittura, quando non avrò più fiato del tutto.

mercoledì 13 maggio 2020

Le menzogne del tempo - 2

Da settimane chiuso in casa. Esco di tanto in tanto per andare al supermercato. Con maggiore frequenza per comprare il pane, e allora approfitto per buttare la spazzatura. Resto a casa come forma di sopravvivenza.
Non è vita questa. Ma quale è, invece, la vita? Quella che facevo prima di questa reclusione forzata? 
Penso anche a questo. A cosa avrei fatto se non fossi costretto a rimanere chiuso in casa. Sarei andato a lavorare, certo, un lavoro comunque che non mi soddisfa, se non per il fatto che mi consente una certa autonomia dal punto di vista economico. 
Sarei uscito per fare quattro passi, una corsa, un giro in libreria, una visita al mercatino dell’antiquariato e poco più. Sarebbe stata più vita? Pensieri come questi, domande così mi passano per la testa in questi giorni. E non so rispondere.
Il tempo se ne va, in ogni caso. Lo riempio con poco, come se fosse un contenitore da colmare in qualche modo. A volte penso che è il tempo a riempire me, la mia vita, anche se non ho ben chiaro cosa possa voler dire. 
È il tempo ad occupare me, non il contrario, l’immobilità del tempo a paralizzarmi. Cioè, io resto immobile di fronte al trascorrere della vita, inerte e inoperoso.
Come se mi trovassi di fronte alla pagina bianca di un taccuino e non avessi idea di cosa scrivere. Così è la vita, la mia. Non so come viverla. Altro che dono e, a volte, a causa di questa incapacità, si trasforma in un incubo.
Un mese di isolamento è la consapevolezza di un mese di assenza. Se fosse un anno sarebbe un anno di assenza. E così via. A ben vedere sono in quarantena da una vita. Non ho fatto niente, o molto poco. Pochissime le tracce che ho lasciato e che lascerò.
Una vita in quarantena a mia insaputa. Non so definire meglio quel che è stato. E saperlo non mi aiuta a cambiare tanto che potrei continuare a non uscire fino alla fine dei miei giorni.

martedì 12 maggio 2020

Le menzogne del tempo - 1

Io non ho niente da raccontare. Posso scrivere lo stesso? Anche in questi giorni di isolamento in cui avrei tanto tempo? Ma sì, anche il niente mi piacerebbe descriverlo, se solo fossi capace. Il niente è quasi come un vuoto, ma non so effettivamente perché solo quasi, e non invece del tutto. È venuto così. Avrà un senso. È che mi sono fissato che da qui in avanti potrò scrivere solo del niente. Solo che vorrei sapere in cosa consiste questo benedetto niente e non sempre mi riesce capirlo. Ma potrei senza problemi anche dire mai.
Ma a qualcuno potrà mai interessare questa mia incapacità?
Un mese di vita perso a causa di questa epidemia. Non so cosa avrei fatto, né se mi è mancato qualcosa. So solo che siamo costretti a stare in casa, salvo qualche uscita autorizzata. 
In genere si perde qualcosa che ci apparteneva, e non abbiamo più. Io non ho mai pensato di possedere il tempo. Me lo sono quasi sempre lasciato scorrere addosso facendo poco o niente. Senza neanche tanti rammarichi.
È che non sempre voglio pensare a certe conseguenze che pure sembrano inevitabili. Come se volessi rimandare sine die il momento in cui qualcosa necessariamente dovrà accadere.
Me ne resto inoperoso come se anche per me il tempo non dovesse passare mai, nonostante tutto, senza affrontare la benché minima difficoltà.
Non mi va di fare niente. Ci sono di questi momenti nella vita di una persona. Nella mia ce ne sono stati tanti di vuoti simili, e ancora continuano a perseguitarmi. Non so che fare. Prima o poi anch’io arriverò al capolinea ed allora, tutto sarà risolto, senza altro da dare, senza altro da dire.