Lettori fissi

martedì 28 maggio 2019

Inconcludenze

Forse il sogno di incontrarla è solo il prodotto di una mente malata, di una fantasia distorta, o nel migliore dei casi il risultato di una costruzione e forse anche ricostruzione, che poggia su basi del tutto sbagliate. Ho tanto tempo per pensare, tanto per decidere. Ma forse neanch'io sono vero, e non lo sono mai stato.
Tuttavia, questo gioco deve continuare, per arrivare ad una conclusione a cui attenermi scrupolosamente.
Sento la necessità di allargare gli orizzonti dei miei sogni. Possibile che debbano restare relegati nei ristretti confini di un io che non mi dà scampo? Possibile che non riesca a trovare un modo per sfuggire a questa soggezione?
Non ho molta dimestichezza con il corpo femminile. Spesso mi chiedo com'è fatta e cosa sente di diverso una donna rispetto ad un maschio. Rispetto a me. Non lo so, non so darmi risposte soddisfacenti, anzi, non so darmene di nessun tipo. Per questo, quando mi è capitato di leggere in un romanzo di una donna dai capezzoli imbottiti, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di soddisfare la mia curiosità chiedendole, in maniera del tutto disinvolta, come fossi un esperto in materia, se la natura aveva dotato anche lei di capezzoli imbottiti. 
Non riuscivo ad immaginare una sua reazione, ma ero preparato a tutto e perciò nelle mie fantasie mi aspettavo che mi dicesse che era proprio così che ce li aveva e che era anche pronta ad esibirli ad una mia semplice richiesta. 
Questa ipotesi mi lasciò mezzo tramortito. Non ero pronto, l’ho già detto, eppure, avrei dovuto capirlo da  un pezzo che non cercava nient’altro che una scusa per mettere in mostra il suo corpo, per spogliarsi finalmente davanti a me, che invece, che stupido, non avevo capito niente di quelle insinuazioni che si presentavano ormai da tanto tempo in maniera infruttuosa, al punto che ormai anche lei disperava di poter ricavare qualcosa da me. 
Ma io, ancora adesso, non è che abbia ben capito cosa voleva. O forse sì, perché se non perdeva occasione di invitarmi a prendere un caffè, ad uscire insieme a lei, anche solo per una piccola pausa, era per poter lanciare tranquillamente l’amo con cui sperava di catturarmi, di farmi abboccare candidamente, e poter fare con me quello che più desiderava: sesso, sesso e ancora sesso. 
Ma io, mi ripeto, non ero preparato a tanto, nel senso che avevo poca conoscenza di quell'universo e temevo di non essere in grado di soddisfare le sue voglie, che immaginavo dovevano essere tante e, nei miei pensieri preoccupati, anche insaziabili. 
Lo dico apertamente, senza alcuna vergogna, sono fatto così, non mi preoccupo molto delle figure che potrei fare con lei, anzi che sicuramente farei. 
In fondo, provavo a giustificarmi, la conosco da poco e quindi poco, e questo poteva essere un buon alibi per un eventuale fallimento nella relazione che mi figuravo.
Al massimo, se le cose non andranno benissimo al primo incontro, ci sarà di certo un’altra occasione. La prima volta, si sa, qualcosa può andare storto, ed è sempre meglio darsi un’altra possibilità, non buttare alle ortiche tutto dopo il primo incontro. 
Successe così che, dopo pochi giorni, ritornò alla carica, lasciandomi ancora più stupito di prima, e creando in me una tensione che non ero così sicuro di saper gestire o sciogliere alla prova successiva. 
Sì, perché ormai mi sentivo come sotto esame e temevo i suoi assalti, i suoi reiterati tentativi di seduzione messi in atto con ogni mezzo possibile, a partire dall'abbigliamento. I suoi vestiti stretti ai fianchi che la slanciavano oltre misura, dai colori che non passavano inosservati, i tacchi a spillo che mi facevano venire il batticuore ad ogni passo, le scollature ardite sul davanti che mi facevano naufragare dentro i suoi seni piccoli ma decisamente sodi, in più di un’occasione avrei voluto affondare le mani, ed il naso, e la bocca, e la lingua, e tutto me stesso, fino ad arrivare ai mitici capezzoli imbottiti, e tutto questo a dispetto della mia inesperienza in tuffi del genere.
Ormai l’ho capito che non aspetta altro da me, sperando che questo sia solo l’inizio di qualcosa di cui non vorrebbe vedere la fine. Fra l’altro, non capisco proprio chi o cosa le dà questa sicurezza, questa fiducia nelle mie capacità amatorie o scopatorie. 
Che non abbia confidenza con il sesso l’avrà capito da subito, da come mi muovo, da come mi atteggio nei suoi confronti, dalle reazioni impacciate, ogni volta che attacca ad ammiccare, con argomenti stuzzicanti, giochi di parole, fraintendimenti consapevoli, cose così. 
Eppure, di fronte a questa mia evidente lacuna non si tira affatto indietro. Sembrerebbe che questa mia situazione la stimoli particolarmente, le faccia montare un’eccitazione a cui deve necessariamente dare sfogo in un modo che va scoprendo di volta in volta, a seconda delle occasioni, quasi a volermi dare sempre un’altra chance, convinta in ogni caso che le mie prestazioni, per così dire, sono destinate necessariamente a migliorare, forse anche prendendosi perversamente gioco di me, deridendomi un po’, e non me lo nasconde, dai, ritenta, sarai più fortunato, riprova, non demordere, ci sono ancora dei margini di miglioramento, stai perfezionando la tua tecnica, vedrai che presto raggiungerai dei risultati soddisfacenti. 
Ma quanto ancora sarà disposta a sopportare queste mie inconcludenze? Me lo chiedo ogni volta che mi propone un’uscita, un caffè, quattro passi, che poi significa una storia col finale già scritto, ampiamente annunciato, su un letto, in spiaggia, o al limite in macchina, a pomiciare scomodi, senza necessariamente affondare il colpo.
Lei però non lo sa, come potrebbe?, che per me ogni cosa ha la sua importanza. Far bene, far male, per me è tutto maledettamente vitale, tutto materiale che potrebbe tornare utile per un altro racconto.
Non glielo ho mai confessato, anche se negli ultimi tempi mi è sfiorata l’idea di svelarglieli i veri motivi della mia disponibilità ad assecondare i suoi desideri, di continuare a passare per un utile idiota. 
Più di una volta mi sono ritrovato sul punto di dirglielo, e non so cosa mi abbia trattenuto. Forse il timore che, una volta scoperto il vero motivo che mi porta ad accettare i suoi inviti, potrebbe desistere dal continuare, sentendosi quasi come sfruttata, per dei fini che non sono esclusivamente quelli del godimento reciproco, così come aveva fin dall'inizio immaginato. 
E questo, ad essere sincero, non farebbe piacere nemmeno a me. 


giovedì 16 maggio 2019

Scrivo

Scrivo di lei, racconto la storia che la coinvolge, insieme a me, ma non sono donna, non saprei da dove cominciare, non cosa vuol dire sentirsi donna, essere donna, essere lei, glielo chiederò, glielo dirò, tu mi devi aiutare, tu mi dovrai dare la forza di amarti, solo così potrò scrivere la storia che ho in mente, mi manca sempre qualcosa, ma questa volta non è solo qualcosa, e molto di più, ci siamo appena conosciuti, se possiamo dirlo, se possiamo dire così, ma non ne sono sicuro, non ne sono certo, non so tu, te lo vorrei chiedere, vorrei che anche tu mi dicessi cosa senti quando ti guardo, quando mi parli e non ti ascolto, cosa vuoi che mi interessi delle raccomandazioni che riguardano il tuo lavoro, non è per questo che mi sono avvicinato a te, non è per sentirmi dire tutto il giorno di lezioni, traduzioni o di relazioni, ho bisogno di respirare altra aria, di assorbire i tuoi pensieri, che immagino profondi, ma vorrei smettere di semplicemente immaginarli, scrivere di lei, anche quando non c’è, anzi, soprattutto quando mi lascia solo, se ne va chissà dove, e non mi fa avere sue notizie, se ne va, non so dove, mi sento solo, come un merlo che gracchia acute urla, per invocare aiuto, non so perché, al mattino presto, quando l’aria è più sottile, e le grida si diffondono senza incontrare ostacoli, è in quei momenti che ti cerco, che sento più forte la solitudine, che maggiormente avverto la voglia di te, che non sospetti niente, ma lo capirai, oppure fingi di non sapere, ti aspetti altro da me, che intervenga, che prenda l’iniziativa, ti sei stancata di aspettare, mi sono stancato di aspettare, ma non saprei da dove cominciare, non sono donna, non ancora, aiutami a diventarlo, dimmi come fare, dimmi cosa fare, sono pronto, per avvicinarmi a te darei tutto, sarei disposto a tutto, farei qualunque cosa, pur di vivere un momento, un attimo, un istante, con te, un briciolo di idea che mi appassioni, stavo per dire un gemito d’amore che mi coinvolga, stavo per dire qualsiasi cosa, come se potesse rendere l’idea che ho di te, ma forse non è sufficiente, non basta, a chiarire i dubbi, a sbiancare un buio immenso, stavo per dire intenso, ma va bene lo stesso, scrivo instancabilmente di me, e delle mie incapacità, di insicurezze ancestrali, ormai inguaribili, qualcosa di irreparabile, cominciare una nuova vita, stavo pensando ad una nuova vita, ma l’immaginazione non mi sorregge, non saprei da dove cominciare, nemmeno di un vuoto di cui non riesco a liberarmi potrò avvalermi, non potrà essermi d’aiuto, né venire in mio soccorso, in qualche modo che non so, troppe le cose che mi difettano, troppe le cose che non so, lunga la strada che potrà portarmi a lei, spesso ci rinuncio in partenza, senza nemmeno farmi troppe illusioni, vorrei scrivere di lei, che c’è solo nei miei pensieri, e a volte nemmeno, mi devo inventare tutto dall'inizio, come se non fosse mai esistita, come se fosse il frutto di chimere o vuote utopie, volevo scrivere di lei, da tanto tempo, e non mi riusciva, non la seguivo, non mi seguiva, la vista si appannava, troppo lontana da me, la inseguivo invano, anche quando mi sembrava di averla a portata di mano, era sempre tanto distante, nonostante mi affannassi a cercare soluzioni impossibili, alle mie inesperienze, alle mie insicurezze, alle mie incompiutezze, non vivevo più da anni ormai, e non vedevo uno sbocco, non vedevo una fine, poteva andare avanti così per tanto, per tutta la vita, senza che trovassi il coraggio, o la forza, o qualcosa che non so, di cambiare, di mollare, di lasciare, di abbandonare, oppure, altra alternativa, di abbandonarmi, a qualcosa che non sapevo, ancora non sapevo, ma che forse dovevo conoscere, forse, non sapevo, ma vivevo lo stesso, andavo avanti con quella speranza, altrimenti, altrimenti non sapevo come continuare, fino a quando un barlume, un profilo, un briciolo, una caccola di qualcosa, che non sapevo, ma che doveva arrivare, mi rimetteva in gioco, e ripartivo, ricominciavo, vabbè, andiamo avanti, forse qualcosa cambierà, qualcosa che non so, forse lei mi parlerà di sé, mi dirà qualcosa in più, capirò anch'io qualcosa in più, indovinerò, mi lancerò, tenterò, proverò, mi riuscirà di trovare una via d’uscita una buona volta, la guardavo fissamente, mentre mi parlava, mentre mi spiegava, mentre mi diceva, non so cosa, la osservavo come a rubarle segreti, un particolare cui aggrapparmi, un sorriso per illuminare i miei giorni, uno sguardo incerto che mi desse la forza per cominciare, mi bastava poco, non sapevo cosa, non so ancora, ma ero certo, non di molto avevo bisogno, un la per partire, e quanto lunga era l’attesa, non mi viene nulla di spontaneo, ho bisogno di parlare, di scrivere, ore e ore, giorni e giorni, per ricavare qualcosa di soddisfacente, che non sapevo cosa poteva essere, e non so ancora, potrei continuare così per tanti altri anni, non credo che cambierà qualcosa tra noi, non credo che cambierà qualcosa in me, posso solo provare ad immaginare, fino a quando qualcosa cambierà, ma adesso non so come, forse è per questo che mi ostino a scrivere, per capire, per imparare, per trovare una ragione, per vivere, per continuare, in qualche modo, uno qualunque, non importa come, un animale, peggio, un vegetale, solo vivere, o vivere solo, chissà fino a quando, pensare di scrivere di lei, pensare che scrivere di lei mi possa servire, a raggiungerla, più facilmente, addirittura senza sforzi, senza ostacoli a frapporsi, illusioni, ma sono quelle che mi servono, sono quelle che mi aiutano, senza non sarei niente, meno di quello che sono, già senza azioni, senza movimento, senza parole poi sarebbe la fine, è per questo che ci provo, è ciò che mi resta, non ho altro, non ho altre possibilità, lo so, anche se non ho il coraggio di capirlo, di dirmelo, a chiare lettere, non mi resta altro, e non posso smettere, non posso fermarmi, la ricerca deve essere impetuosa, senza sosta, chi si ferma è perduto, non si può trattenere a lungo il respiro, ho bisogno di immergermi in un mare eterno, perché solo così potrò trovare una traccia che mi potrà portare a lei, ovunque si trovi, stavo per dire ovunque mi trovi, ma va bene lo stesso, ovunque mi trovi, per allietarmi di lei, che senza un nome riesco ancor meno ad immaginare, a farla mia, a scoprire le sue cose, mi piaceva, per questo avevo deciso di muovermi verso di lei, di fare qualcosa con lei, di non lasciarla in pace, di non fermarmi, sì, disposto a tutto anche se non sapevo cosa, ancora cosa, stavo per dire solo ancora, ma va bene così, disposto a fare tutto, perché mi piaceva, non sapevo cosa in particolare, tutta, tutto di lei mi alitava dentro, cose che non sapevo, che non capivo, ma andava bene anche così, era per questo che mi ero deciso a scrivere, così sembrava tutto più chiaro, e poi avrei agito, mi sarei mosso, con più sicurezze, con maggiore consapevolezza, sapevo cosa fare, perché già sperimentato fra le righe di un diario rabbioso, che non volevo mollare, che non volevo lasciare, che non mi lasciava in pace, che non voleva abbandonarmi, dovevo respirare, e cosa di meglio di un diario senza sosta, senza pause, un respiro continuo e aperto, a pieni polmoni, come solo lei poteva consentirmi, il pensiero di lei, di poterla abbracciare, poi avrei anche desiderato altro, un passo alla volta, cominciavo a farci l’abitudine, desideravo sempre un pochino di più, fino ad arrivare a lei, non sapevo come, non so ancora, va bene lo stesso, mi darai un po’ di tempo, ne avrò bisogno, aspetterai, non te ne andare, lo dicevo forte, lo desideravo altrettanto forte, non andartene, aspetta che nasca qualcosa, limitavo le parole, perché potevano servire in altre occasioni, non volevo usurare il mio già limitato vocabolario, sentivo il dolore di rimanere senza voce, senza fiato, senza più parole, glielo dicevo, glielo rivelavo, le confessavo anche queste incertezze, anche queste insicurezze, al punto che ormai non sapevo, e forse non so ancora, non sapevo più su cosa fare affidamento, solo su di lei mi pareva poco, potevo ritrovarmi con un pugno di mosche il giorno che avesse deciso di lasciarmi, di non volermi più vedere, non farsi più vedere, un nulla di fatto, un niente di niente, poche volte ancora avrei resistito a queste minacce, non ne avevo la forza, non avrei superato un altro attacco, non l’avrei sopportato, e non l’avrei più rivista, non i suoi occhi, i soli suoi occhi, i soli suoi seni, le sole sue gambe, che quante volte ho visto, ho accarezzato, ho sfiorato, quante volte ho sognato, non so più, non ricordo più, un sorriso rotondo, pieno, fresco, di una freschezza che incantava, restavo a guardarla, mentre mi parlava delle lettere, dei rapporti, le relazioni, le carte, e volevo scrivere, sì, ma di te, solo di te, volevo abbondarmi a te, mi sono lasciato andare, non avevo altra scelta, mi stavi davanti e non potevo lasciarti andare, non potevo perderti, ora o mai più, fingevo di ascoltare le tue prediche, che non capivo, non mi interessavano, stavo attento ad altro, nemmeno una rada lanugine, un viso liscio, morbido, soffice, tenue, diventava seta che baciavo senza perdere un secondo, poteva andare via da un momento all'altro, non mi lasciavo distrarre dalle tue pacate ammonizioni, che quasi sussurravi, o pronunciavi a bassa voce, un sorriso trattenuto a stento, non mi credevi, non ci credevo, era così che ti volevo, era così che mi piacevi, erano cose che volevo dirti, non so per quanto tempo mi trattenni, prima che mi svelassi i tuoi segreti, prima di arrivare alle tue cose, prima di arrivare alle tue cosce, non mi sarei più fermato, non ti avrei lasciata, non lasciata andare, mia, mia, mia, me lo ripetevo tante volte, per convincermi, per non distrarmi, per essere sicuro di quello che volevo, finalmente volevo, fortemente volevo, non mi saresti sfuggita, non potevi, ti prendevo fra le braccia, tutta in una volta, senza trascurare un fiato, senza tralasciare un respiro, senza smettere un attimo, non ti lascio andare, te lo dicevo forte, te lo ripeto chiaramente, perché capisca, per non essere frainteso, mi guardi scolorita, forse perplessa, ti siedi sul divano, ti accomodi lentamente, tutto il tempo a tua disposizione, ci abbracciammo, ci stringemmo, ci baciammo, senza trascurare un gemito, né un rantolo, nemmeno il più semplice respiro, nulla doveva sfuggirci in quei momenti, erano tutti per noi, non c’era altro, ormai tutto era in noi, mi sembrava di capire meglio, forse anche tu pensavi di capire qualcosa in più, te lo chiederò, in un’altra estate, stavo per dire in un altro inverno, ma era maggio inoltrato e non potevo sbagliarmi, la bella stagione doveva ancora iniziare, e con essa le giornate più chiare, e nonostante tutto …

domenica 12 maggio 2019

Grande Era Onirica - 4



Domenica mattina, la pioggia viene giù fitta e compatta. Come se non bastasse il contesto atmosferico insisto, stupidamente forse, a rimanere in questo stato di depressione ostinandomi a leggere questo libro dalla copertina cupa, che ripongo solo per un attimo sul bracciolo del divano per scrivere queste righe.
Una cosa so per certo, che non dividerò la mia vita in due periodi, una Grande Era precedente a questa lettura ed una successiva. Nulla di memorabile.
Voglio una stanza. Per scrivere. Cioè, per vivere. Una tutta per me. Assoluto silenzio. Per poter leggere in pace. In santa pace. Cioè, in tutta tranquillità. È così difficile capirlo?
Io vorrei prenderla a cattive parole questa qua. In fondo l’ho creata io. È un mio personaggio e penso di poter accampare più di un diritto. Mi va di trattarla male in taluni momenti. Si prende troppe licenze per i miei gusti. Pensa di poter fare ciò che vuole. Non la sopporto più.
Non ho ben chiaro dove mi sta conducendo. A volte mi sento afferrato per mano, costretto a seguire qualcuno, qualcosa, senza che possa oppormi. Dovrò provare a reagire? 

Quale ultima speranza mi spinge a desiderarti? Non so come sei nata in me, non lo ricordo. So solo che devo amarti. Sì, immagino che non sia una grande consolazione per te sapere che mi sento quasi obbligato ad un amore che in me non ha ancora attecchito, però non mi bastano le tue parole, non sono sufficienti a delineare un tuo ritratto. Quantomeno io non ne sono capace. 
Allora penso che dovrò inventarti strada facendo, in un altro modo, uno che ancora non ho deciso. Il volto, innanzitutto, perché non è vero che il corpo ha poca importanza. Per farne cosa, mi chiederai. Per vederti, mia cara, per scrutarti nel fondo degli occhi, per essere sicuro che davvero esisti. Solo così potrò amarti. E anch'io ho bisogno di inventarmi, cosa credi.
Ma non so se scrivendo a te e di te ho coscienza di chi sono nella realtà. Per questo potrei dirti di tutto, ed allo stesso tempo, anche da te, aspettarmi di tutto. Mi assumo le responsabilità del caso, qualunque rischio potrò correre.
Adesso, ad esempio, ti sto scrivendo, ma per me questa non è altro che una pratica masturbatoria. Lo faccio come se, al posto della penna, cioè, come se stessi sollazzandomi giocando col mio sesso che sento lentamente crescere fra le mani. E l’esplosione finale, il getto caldo e dorato, lo dedico a te come fosse il bene più prezioso da elargire. Non so cosa te ne farai, ma la metafora a volte può aiutare, è più forte di ogni pensiero e intanto mi sarò svuotato delle immondizie che mi torturavano dentro. 
Non è solo lettore chi è costretto a sorbirsi le tue deiezioni perché, una volta recepite, poi, dopo averle opportunamente rielaborate, deve trovare il modo di ributtartele addosso. È il gioco del dare e dell’avere, compreso nel prezzo. Quanto a me, potrei dirti di tutto. Vorrei dirti di tutto. Se a qualcosa potrà servire. Se in qualche modo potrà interessarti. Non penso tuttavia che le mie parole possano avere una qualche importanza per te, anche se ormai mi sono esposto abbastanza.

Narrazione non organica. Rieccoci.
Adesso mi è più chiaro il senso di tutto questo saltare a ritroso e in avanti sulla linea del tempo. Il filo rosso si svela solo alla fine ed io non sono del tutto sicuro di riuscirci. 
A fare cosa? E alla fine di cosa? Non capisco mai quando arriva questo fatidico momento. Oppure, quando arriva, sarà ormai troppo tardi per fare un resoconto di ciò che è stato. Ed avrò così perso ogni possibilità di vivere.
Non possiedo quella forza, o convinzione, che la vita debba essere vissuta in ogni momento, non importa con quanta intensità. Ma almeno impegnarmi un po’, consapevole che ogni occasione è unica e non ci sarà la possibilità di viverla un’altra volta, non allo stesso modo. Ecco, questa sicurezza non ce l’ho, non l’ho appresa ancora né interiorizzata, nonostante il carico di anni che mi porto dietro. 
Cioè, l’avrai capito, non sto vivendo. Solo qualche sprazzo di lucidità di tanto in tanto, anche grazie alle pagine che leggo, e che mi permettono di improvvisare, ad esempio, i frammenti di questa narrazione molto poco organica.
Mi costruisco giorno dopo giorno del niente anche se mi fanno illudere, ma chi poi?, che possa essere d’aiuto a qualcuno.
Le parole non rendono il senso di ciò che tento di dire. Non so se per mia incapacità o per una sorta di impossibilità intrinseca della lingua che uso. Più probabile che sia io a non saperla piegare alle mie esigenze. Anch'io “tutto questo lo vorrei chiamare disorganizzazione” ma dovrà passarne ancora tanta di acqua sotto i ponti, se pure.

Arrivato a questo punto te lo vorrei chiedere apertamente, del resto ormai tra noi si è creato un certo rapporto, puoi rispondere in tutta sincerità. Ma tu, mi vuoi bene? Non dico tanto, ma almeno un po’. È importante che lo sappia, perché mi aiuta a indirizzare correttamente il percorso che ancora dovrò affrontare.
Aspetto una risposta, che mi auguro arrivi. Intanto ne ipotizzo qualcuna, per continuare a vivere, cercando di raccontare la vita. Nella giusta maniera? Non saprei. In qualche modo, comunque, seppure è vita, questa.
Ho bisogno anch'io di sentirmi depresso, sono arrivato a questa conclusione, la lettura di questo libro mi ha portato una certezza. Almeno questo. Adesso ho uno scopo, adesso lo percepisco in maniera chiara. A forza di affrontare le giornate in compagnia di questa cosa, di questa storia, intendo, alla fine sto entrando nell'orbita di una depressione che non riesco a tenere sotto controllo. 
Più tardi farò un bilancio. Nel frattempo, comunque, nessun atto preparatorio. Non sono ancora pronto e forse non lo sarò mai. Aspetterò una fine più o meno naturale, come tanti altri.

Più vado avanti nella lettura più mi sembra che la narrazione cominci, sia pur lentamente, a divenire sempre più organica. Cosa me lo fa pensare? Trovo o provo come una sorta di immedesimazione tra la mia vita e le cose che questa tipa ha scritto. Non che abbiamo vissuto esperienze simili o qualcosa in comune da rivendicare. Oppure sì, ma è come se la narrazione in sé degli eventi mi faccia sentire parte di una storia in cui anch'io interpreto un ruolo più consono al mio modo di essere. Cioè, mi sto scoprendo un po’ alla volta, mi vado riconoscendo in certi pensieri della protagonista, anche in talune angosce o attacchi di panico. 
Forse finalmente sto diventando lei. Così sembra, almeno. Perché sono sicuro che questa qua io la conosco. Oppure devo averla incontrata in una vita precedente. Non so se la sua o la mia, ma insomma, non siamo due perfetti sconosciuti. Sento di avere una certa confidenza con lei, cosa che può derivare solo da una frequentazione pregressa. Il Primo, il Poeta, l’Altro, un altro ancora? Non saprei chi con esattezza, ma lei la incontro spesso nei sogni. 
La Grande Era Onirica della grande era onirica. Mi è già capitato di pensarlo. Forse anche di scriverlo. Forse è solo una vita che si ripete, come se avessi così tanto tempo a disposizione da potermi permettere una seconda opportunità. Però, non sarebbe male.
Cosa me ne farei? Non ho pensato a come sfruttare questa occasione che mi si presenterebbe inaspettata. Rincorro un sogno senza sapere bene quale. E come fruirne. 

Marta, un po’ alla volta te ne stai andando lasciandomi solo. Comincio già ad avvertire il peso della tua assenza. Manca poco ormai e non ho voglia, o sarebbe più corretto dire che non ho la forza, di ricominciare dall'inizio, di fare un’altra prova. Anche se la tentazione c’è ed è tanta.
Scompari ogni giorno di più. Eppure, per riaverti accanto sarebbe sufficiente riprendere la lettura, ripercorrere la storia dalle prime pagine, cercare di star dietro alle narrazioni più o meno organiche, seguirti mentre giaci a letto, o chissà dove, con l’Altro, che ti chiede notizie sulla tua psicoterapeuta e sulla sua stanza, la sua Zamiononmirocordocosa e poi tutti i suoi attestati, e le sue sigle che non ricordo più, e tu che continui a scopare finché ce la fai, prima dell’avvento delle Grandi Ere più o meno Oniriche che hai attraversato per arrivare a questo punto, per arrivare in ultimo anche fino a me, che non sarò l’Ultimo ma per me va bene così.
Sì, sarebbe sufficiente, ma io intanto sto invecchiando e, pur senza rinnegare niente di quello che tra noi c’è stato, pur non avendo capito se mi hai voluto bene, vorrei viverne altri di sogni. 
Sì, vorrei anch'io continuare a sognare.

Marta Zura-Pontaroni
GRANDE ERA ONIRICA

mercoledì 8 maggio 2019

Grande Era Onirica - 3

Lo sai che sto investendo su di te? Non dico il tempo. O non solo. La senti questa responsabilità? E ti imbarazza la cosa? Oppure ti inorgoglisce?
Dopo questa trasformazione ancor più di prima mi piacerebbe scoparti ed anche essere scopato da te. Vorrei essere la tua donna, anche se non riesco ad immaginare la scena. So solo che da oggi in avanti anch'io vorrò essere depresso, prendere di questi farmaci che ritardano l’eiaculazione. Voglio durare per sempre, vivere un eterno orgasmo con te. Chissà come sarebbe.
Vorrei tradurre questo romanzo. Cioè avrei voluto ritrovarmi di fronte ad un testo scritto in una qualsiasi lingua straniera da volgere in italiano, nel mio italiano, cioè, come lo intenderei, o meglio, come lo interpreterei io. Invece le parole le capisco quasi tutte e lo spazio che rimane per l’immaginazione è alquanto angusto al punto che mi tocca fare uno sforzo enorme per strappare una conquista, per ottenere un qualche vantaggio dalla lettura.
Voglio diventare te, forse non l’hai capito ancora. E forse è anche normale questo desiderio, non vedo altro modo per possederti. 

Sto usando tre quaderni diversi per dialogare con altrettanti libri e relativi autori e autrici. A volte però mi confondo e scrivo nel quaderno sbagliato. Immagino un momento in cui tutto si mescolerà. La mia mente è già un caos unico.
La barriera di libri attorno a me mi sta avvolgendo giorno dopo giorno, cresce a vista d’occhio. Presto sarò sbattuto fuori da questi invasori molesti. Casa occupata sta facendo il suo effetto. Insieme al libro dell’inquietudine, ai disturbi luminosi e a tutti gli altri lavori che raccontano i malesseri e le depressioni.
Mi sto coerentemente chiudendo dentro un bozzolo da cui non spunterà nessuna farfalla nonostante, o meglio, a causa delle infinite trasformazioni che, però, non porteranno da nessuna parte. Sono semplicemente precisamente infinite, ed anche incessanti, interminabili.
La Grande Era delle Metamorfosi Ricorsive.

Io questo libro vorrei mangiarlo. Impastato con un po’ d’acqua, o ancora meglio con del vino, per rendere più morbide le pagine, e anche più appetibili. Dentro me, alla fine del processo, qualcosa resterà, il mio corpo tratterrà ed assorbirà qualche elemento, non lo espellerà del tutto. Chissà in quale punto andrà a piazzarsi il bolo residuo. So che me lo porterò con me per un bel po’. 
Quante pagine saranno necessarie per un pasto decente? Sto provando a fare due conti per capire per quanto tempo riuscirò a farmelo bastare prima di comprare un’altra copia, oppure prima di cambiare cibo, o pietanza, o pasto, o ricetta, o ingredienti, o manicaretto, o vivanda, o alimento, o chissà cos'altro.
Strana impressione quella di sentirsi attraversare il corpo da un libro, sia pur ridotto a poltiglia, e avvertire il lento passaggio da un organo all'altro delle frasi, sentire le voci dei personaggi che ti rimbombano dentro, che vengono risucchiate in un turbinio di borborigmi lungo un tratto dell’intestino tenue, filtrate e distillate dai reni e infine espulse insieme all'urina che per l’occasione fluisce nera d’inchiostro, macchiando di chiazze un po’ erudite le pareti del water e producendo uno zampillo a forma di parole che scrivono una nuova storia, dopo l’ennesima trasformazione.
Temo che entrerò a tal punto in confidenza con te che fare sesso sarebbe quasi un atto incestuoso. Oppure una masturbazione permanente. Forse dovrei allontanarmi un po’. Almeno il pensiero. Perché per altro, non ti ho molto presente.
Anch'io fingo che non sia così. La differenza è che la mia esistenza si svolge in attesa praticamente da una vita. 
Vorrei poter dire, adesso ho incontrato te, adesso ho conosciuto una che mi può capire. Adesso comincerò ad uscire con lei, adesso potrò costruire una storia, non solo inventare. Una storia vera, con persone, non personaggi, con materia, non pensieri, con sostanza, non fumo. 
Io non saprei ritornare al mio passato, nemmeno in maniera irregolare. Giusto qualche vago ricordo, niente di ben articolato. Cioè, non so se ero io.
Cosa mi sta dando? È cambiato qualcosa in me da quando giro e rigiro ossessivamente questo libro tra le mani? Sto cercando la mia strada. 
So che, una volta dato alle stampe, un libro non appartiene più a chi l’ha scritto. O non solo. E ogni lettore in quel libro cerca qualcosa che lo avvicini sempre più a se stesso. Assume che quel libro sia stato scritto solo perché possa trovare la strada giusta. 
Io sto ancora cercando. Non so se mi renderò conto di averla trovata qualora dovessi riuscirci davvero. Sarà una strada percorribile? E la destinazione finale? Come sarà questa trasformazione? Potrei riempirmi di domande più di quanto pieno non lo sono già, e di dubbi, e di incertezze. 
Non ho una strada da seguire, ne sono sicuro, nonostante provi ad illudermi, non ho una storia da raccontare, nemmeno stralci di passato. Vivo alla giornata. Vivo alle pagine che riesco a leggere dalla mattina alla sera, a volte anche di notte. Non una strada da percorrere che non siano le pagine dei libri, di questo libro, che, chissà perché, mi ostino a leggere, anche se non mi sta dando niente. 
Ma, sono niente queste parole che fuoriescono senza regole? Forse il mio corpo si sta faticosamente liberando delle tossine accumulate negli anni. È il senso di questo vomito. Sarà questa la tanto agognata trasformazione? Aspetto, prima di cantar vittoria. Prima di verificare che sono diventato altro da quello che ero fino a poco tempo fa, quando ancora non avevo scoperto questo libro.
Avrò fatto bene, mi chiederò alla fine, a impiegare il poco tempo rimasto dedicandomi al resoconto delle grandi ere oniriche che questa tipa mi sta subdolamente propinando? Oppure sarà stato un altro fallimento, l’ennesimo investimento sbagliato?
Vorrei capire soprattutto quando arriverà la fine. Nel frattempo le ho inviato una mail in cui ho raccontato alcune idee, no, impressioni, no, considerazioni, no, proposte, insomma, un po’ di tutto questo, qualcosa che è venuto fuori dalla lettura del suo libro. 
Avevo scritto qualche pagina e non riuscivo a tenermela solo per me, volevo condividerla con qualcuno e in questi giorni il mio interlocutore è lei e non ho trovato di meglio da fare che metterla a parte dei miei progetti, di tutti quei pensieri che ho formulato leggendo il libro. Un dialogo a distanza. Con un account, per adesso, un avatar più o meno anonimo, un’epifania che tarda a manifestarsi, o che si palesa soltanto nei miei sogni turbati, per niente sereni. 
Passo le mie giornate su internet ed è quasi impossibile non incontrarla. Non è una frase mia, però si attaglia bene al caso e me ne sono appropriato visto che è arrivata nel momento più opportuno. Non importa che i riferimenti siano altri, questo testo è una scusa, o piuttosto un pretesto per avvicinarmi sempre più a lei. Anche nel senso di approssimarmi fisicamente.
Quello che mi interessa è assorbire finanche i suoi modi di dire, i suoi comportamenti, fino alla completa giustapposizione. 
Quel libro lo sto scrivendo. Da quando te ne sei liberata, affidandolo alle stampe, me ne sono impadronito con un’autorità a ben vedere più che giustificata, se non altro per tutto il tempo che sto dedicando all'impresa della lettura, e anche per l’intensità con cui mi sto cimentando ad interpretare ogni singola tua frase, nonostante i propositi iniziali. Penso sia il minimo.
Io, questa Marta, non importa quale, comunque vorrei essere io. Vorrei conoscerla, incontrarla. Non so bene per farci cosa e nemmeno in quale dimensione. So solo che vorrei possederla, ma non so come. Mi attira e allo stesso tempo mi irrita. C’è qualcosa di poco chiaro che mi porta verso lei. 
Non sempre ho coscienza dell’incoscienza con cui mi spingo a fare di queste dichiarazioni. In alcuni momenti mi sembra di leggere una Kinsella qualunque. Se questo paragone ti offende sappi che non ho mai letto niente di quella scrittrice ma immagino che abbia poco a che vedere con la grande letteratura. 
Avrei voluto ritrovarci, non dico Beckett, non dico Borges, non dico Cortázar, che, questi sì che li ho letti, ma da qui a dovermi accontentare di un argentino che fa lo psicoterapeuta ce ne vuole. Che delusione! 
Neanche uno straccio di Saramago che, pure, da quelle parti ci è passato e si è anche ispirato per scrivere un romanzo. Che doppia delusione!
O forse quel prenderti sottogamba dei primi momenti non era esattamente un inganno?

(continua)

Marta Zura-Pontaroni
GRANDE ERA ONIRICA

venerdì 3 maggio 2019

Grande Era Onirica - 2

Questa storia comincia con la descrizione di un lui, che però viene chiamato l’Altro, che chiede alla narratrice di descrivergli la stanza della sua psicoterapeuta e tutto questo mentre se la sta scopando. Ecco, a me sembra che se c’è qualcuno che ha bisogno di uno psicoterapeuta, se non di un valido psichiatra, ebbene è proprio questo personaggio maschile, il quale non trova di meglio da fare che porre ripetutamente di queste domande alla donna con cui sta facendo sesso. Sarò un tantino impulsivo ma è l'idea che mi sono fatta di questo tipo.
E la cosa ancor più incredibile è che lei sembra disposta a soddisfare le sue curiosità e ad assecondarlo rispondendo anche in maniera dettagliata, descrivendo ad esempio il percorso che conduce alla stanza della psicoterapeuta e poi la stanza stessa, elencando uno ad uno tutti i pezzi di arredamento.
Ma cosa sto facendo? Non avrò mica intenzione di analizzare ogni frase, ogni parola di questo romanzo? Di questo passo me lo porterò con me nella tomba. 
Fortuna che finisce presto questa prima scena. Non un grande incipit, a dire il vero. Uno spezzone di ricordi, tanto per cominciare. Mi auguro che il prosieguo sveli qualche caratteristica più interessante.

Le mie dovrebbero essere delle considerazioni, ma non riesco a staccarmi dalle singole immagini che compongono questo mosaico. I capitoli sono tessere che nella mia mente faticano a comporsi. Rappresentano episodi distaccati l’uno dall'altro che a stento riesco a tenere uniti. Effetto della narrazione non organica o colpa della schizofrenia in cui mi sembra di cominciare a navigare?
Vabbè, ti accetto così come sei. La Grande Era Onirica. G.E.O. Questa volta sono io ad usare una sigla, così, tanto per intenderci.
Già mi sono fatto venire dei dubbi sulla opportunità di fare ricorso alla psicoterapia. Adesso ti copio anche nell'uso degli acronimi. Quale sarà il passo successivo che mi avvicinerà a te, che mi farà sempre più essere te? 
Perché devi sapere, mia cara, che io, e sono anni ormai, ho come unico interlocutore soltanto il libro a cui di volta in volta mi dedico. Anche più di uno nello stesso tempo. Ne tengo sempre qualcuno a portata di mano, non si sa mai. Ed ovviamente ho sempre con me gli attrezzi del mestiere, come minimo una penna ed un quaderno per gli appunti. Che poi può essere anche un block notes, un taccuino qualunque o, ancora meglio, di quelli con la costola a spirale, con le pagine che si possono rivoltare di 360 gradi per poterci scrivere più facilmente, o un’agenda, va bene anche una di un anno già passato, un foglio di carta formato A4, qualsiasi cosa purché senza righe o quadretti. Mi piace scrivere solo su superfici completamente bianche, assolutamente immacolate. Non concepisco altro. Non ammetto distrazioni.
La penna, poi, inchiostro prevalentemente nero, meglio se morbida con una scrittura scorrevole, dalla presa agevole, un’impugnatura comoda, che non mi faccia stancare il braccio.
Sono elementi essenziali per una buona scrittura, a prescindere da ciò che si scrive ed a questo punto, l’avrai capito, non posso che raccontarti unicamente le storie che vivo con i protagonisti dei miei libri e quelle con gli autori che molto spesso però sono scrittrici, e non perché mi piace leggere solo libri scritti da donne, quanto perché sono quelli che mi ispirano di più. E non tanto per le storie raccontate. Mi interessa di più immaginare un rapporto con queste scrittrici. Di ogni tipo. 
E tu, cara Marta, non penserai mica di sfuggire a questa fissazione, anche se non so come potrà evolvere la relazione nel corso della lettura. 
Marta, mi rivolgo a lei così, senza specificare volutamente se il destinatario delle mie elucubrazioni sia chi ha scritto il libro oppure la narratrice in prima persona delle vicende narrate, Marta, a me piace essere chiaro, io, con te, prima della fine di questa lettura, e di conseguenza di questa scrittura, vorrei fare l’amore. Ma non preoccuparti, non ti chiederò di parlarmi della tua psicoterapeuta, tantomeno di descrivermi la sua stanza. Ciò che mi interessa è entrare dentro te e riuscire a sentire distintamente, anch’io, il dilatare dell’utero, oppure sognare continuamente di abortire, e non importa in quale delle ere oniriche. O forse sì, la mia prima ed unica grande era sarà la Grande Era Onirica della Martina. Ti è piaciuta la battuta? Mi è venuta spontanea giocando col diminutivo del tuo nome. Vorrei ubriacarmi di te, ecco. 
Io ho questo interesse per la scrittura. Sarà sufficiente per avere una buona relazione con te? Che poi è la mia ambizione residua, forse l’unica, oramai. Nel lavoro non più soddisfazioni. Forse nemmeno poche. Non mi resta che il vizio di scrivere ogni volta che mi imbatto in una storia che sembra interessante. E non ho ancora deciso se questa con te lo sia veramente oppure sto solo perdendo tempo. Non che abbia qualcosa di meglio da fare, ma magari potrei dedicarmi ad una lettura più allettante, senza essere costretto a dover familiarizzare con termini tecnici, con nomi di farmaci, con interminabili teorie di malattie e malesseri vari.

C’è un che di guasto in questi pensieri. Anch'io ho avuto le mie ere più o meno grandi, adesso che ci penso. Il punto conclusivo di una progressiva chiusura a riccio nel campo delle relazioni. 
Il denominatore comune è la scrittura. Storie di donne. Un tempo uscivo di casa per cercarle ovunque. E ne trovavo, di interessanti anche. La cassiera del supermercato, la ragazza del forno, la cameriera del bar. 
Poi, cambio di era, ho cominciato ad uscire sempre di meno e mi sono dedicato ad amori virtuali, relazioni con profili di donne incontrate per caso sui social. I rapporti fatti di scambi di mail, di foto, di note vocali. L’amore al tempo dei social manteneva ancora un sia pur esile contatto con una qualche realtà.
Da un po’, invece, non comunico più nemmeno con un avatar qualunque. L’unica interlocuzione la mantengo con i libri, con i personaggi che incontro nei romanzi o con un autore che, però, esiste solo nella mia immaginazione. Nulla a che fare più con la realtà. Il quadro si completa con l’era dei libri in cui viene raccontato un qualunque tipo di disagio. Ormai sono interessato solo a questo tipo di narrazione. 
La Grande Era del Disagio Mentale. 
È stato così che sono arrivato fino a te.

Cerco le parole esatte per raccontare tutto questo. Le pesco dal fondo di una memoria devastata nel tempo e dal tempo. Non sempre emergono in maniera corretta. Mi impegno ad apportare dei miglioramenti ma la soluzione non risulta soddisfacente, mi manca il feedback su cui poter lavorare per perfezionare l’opera. Vado avanti da solo, e non solo nella lettura. 
Questi rapporti, stavo per dire queste relazioni perché rapporti poteva essere frainteso, ma poi mi sono accorto che anche il termine relazioni ha un doppio significato e potrebbe creare la medesima ambiguità, questi rapporti, dicevo, nascono come preconfezionati, ci sono dei blocchi di pensieri che si ripetono. Cambia appena qualche parola ed il modo in cui tra loro si combinano. Per il resto la storia è la stessa.
Eppure a volte mi prende la voglia di scrivere di tutto. Con questa qui, ad esempio, non so perché ma mi piacerebbe scrivere tutto quello che mi passa per la testa, senza regole, senza remore, o tutto quello che mi viene in mente di fare, e quando dico tutto intendo anche le peggiori cose.
Allora comincio a riempire un foglio di word con i pensieri più strani, parto così, con le storie più assurde. Lei, povera, non c’entra niente, però in questo momento è lei che ho tra le mani, mi voglio divertire a strapazzarla, a sodomizzarla violentemente. A perpetrare tutto il male del mondo. Mi vengono a volte di questi raptus, non riesco a trattenermi e mi dispiace, Marta cara, se la vittima questa volta sei tu. 
La Grande Era Onirica della Follia Omicida. 
Mi spingo oltre, la taglio a pezzetti con il coltello di ceramica, quello verde appena comprato, dalla lama larga e taglientissima, per non fare grossi sforzi. Praticamente un bisturi, con cui riesco a praticare delle incisioni sulla pelle che quasi non si nota nemmeno, alla fine delle operazioni, che si tratta di un corpo, tantomeno un corpo di donna.
Mi piace a volte avere dei momenti di possessione così perversamente horror, mi perdo senza avvedermene e quando poi ritorno in me mi faccio mille scrupoli, mi chiedo come abbia potuto pensare tutto questo, se davvero sarei capace di arrivare a tanto, chi sono mai e quando, finalmente, dopo tutto questo macello, riesco a raccogliere le idee e a rendermi conto di cosa ho scritto, premo il pulsante “seleziona tutto” e cancello completamente il testo, in modo che non rimanga traccia di alcunché nemmeno nel cestino. 
È stato solo un incubo, da cui stento ancora a riprendermi. Resta il dubbio se chi aveva scritto quelle cose sia stato davvero io o se si sia trattato solo di un brutto sogno. Ma non intendo indagare ulteriormente, né cercare istruzioni per uscire da questo dubbio.

(continua)

Marta Zura-Puntaroni
GRANDE ERA ONIRICA