Questa storia comincia con la descrizione di un lui, che però viene chiamato l’Altro, che chiede alla narratrice di descrivergli la stanza della sua psicoterapeuta e tutto questo mentre se la sta scopando. Ecco, a me sembra che se c’è qualcuno che ha bisogno di uno psicoterapeuta, se non di un valido psichiatra, ebbene è proprio questo personaggio maschile, il quale non trova di meglio da fare che porre ripetutamente di queste domande alla donna con cui sta facendo sesso. Sarò un tantino impulsivo ma è l'idea che mi sono fatta di questo tipo.
E la cosa ancor più incredibile è che lei sembra disposta a soddisfare le sue curiosità e ad assecondarlo rispondendo anche in maniera dettagliata, descrivendo ad esempio il percorso che conduce alla stanza della psicoterapeuta e poi la stanza stessa, elencando uno ad uno tutti i pezzi di arredamento.
Ma cosa sto facendo? Non avrò mica intenzione di analizzare ogni frase, ogni parola di questo romanzo? Di questo passo me lo porterò con me nella tomba.
Fortuna che finisce presto questa prima scena. Non un grande incipit, a dire il vero. Uno spezzone di ricordi, tanto per cominciare. Mi auguro che il prosieguo sveli qualche caratteristica più interessante.
Le mie dovrebbero essere delle considerazioni, ma non riesco a staccarmi dalle singole immagini che compongono questo mosaico. I capitoli sono tessere che nella mia mente faticano a comporsi. Rappresentano episodi distaccati l’uno dall'altro che a stento riesco a tenere uniti. Effetto della narrazione non organica o colpa della schizofrenia in cui mi sembra di cominciare a navigare?
Vabbè, ti accetto così come sei. La Grande Era Onirica. G.E.O. Questa volta sono io ad usare una sigla, così, tanto per intenderci.
Già mi sono fatto venire dei dubbi sulla opportunità di fare ricorso alla psicoterapia. Adesso ti copio anche nell'uso degli acronimi. Quale sarà il passo successivo che mi avvicinerà a te, che mi farà sempre più essere te?
Perché devi sapere, mia cara, che io, e sono anni ormai, ho come unico interlocutore soltanto il libro a cui di volta in volta mi dedico. Anche più di uno nello stesso tempo. Ne tengo sempre qualcuno a portata di mano, non si sa mai. Ed ovviamente ho sempre con me gli attrezzi del mestiere, come minimo una penna ed un quaderno per gli appunti. Che poi può essere anche un block notes, un taccuino qualunque o, ancora meglio, di quelli con la costola a spirale, con le pagine che si possono rivoltare di 360 gradi per poterci scrivere più facilmente, o un’agenda, va bene anche una di un anno già passato, un foglio di carta formato A4, qualsiasi cosa purché senza righe o quadretti. Mi piace scrivere solo su superfici completamente bianche, assolutamente immacolate. Non concepisco altro. Non ammetto distrazioni.
La penna, poi, inchiostro prevalentemente nero, meglio se morbida con una scrittura scorrevole, dalla presa agevole, un’impugnatura comoda, che non mi faccia stancare il braccio.
Sono elementi essenziali per una buona scrittura, a prescindere da ciò che si scrive ed a questo punto, l’avrai capito, non posso che raccontarti unicamente le storie che vivo con i protagonisti dei miei libri e quelle con gli autori che molto spesso però sono scrittrici, e non perché mi piace leggere solo libri scritti da donne, quanto perché sono quelli che mi ispirano di più. E non tanto per le storie raccontate. Mi interessa di più immaginare un rapporto con queste scrittrici. Di ogni tipo.
E tu, cara Marta, non penserai mica di sfuggire a questa fissazione, anche se non so come potrà evolvere la relazione nel corso della lettura.
Marta, mi rivolgo a lei così, senza specificare volutamente se il destinatario delle mie elucubrazioni sia chi ha scritto il libro oppure la narratrice in prima persona delle vicende narrate, Marta, a me piace essere chiaro, io, con te, prima della fine di questa lettura, e di conseguenza di questa scrittura, vorrei fare l’amore. Ma non preoccuparti, non ti chiederò di parlarmi della tua psicoterapeuta, tantomeno di descrivermi la sua stanza. Ciò che mi interessa è entrare dentro te e riuscire a sentire distintamente, anch’io, il dilatare dell’utero, oppure sognare continuamente di abortire, e non importa in quale delle ere oniriche. O forse sì, la mia prima ed unica grande era sarà la Grande Era Onirica della Martina. Ti è piaciuta la battuta? Mi è venuta spontanea giocando col diminutivo del tuo nome. Vorrei ubriacarmi di te, ecco.
Io ho questo interesse per la scrittura. Sarà sufficiente per avere una buona relazione con te? Che poi è la mia ambizione residua, forse l’unica, oramai. Nel lavoro non più soddisfazioni. Forse nemmeno poche. Non mi resta che il vizio di scrivere ogni volta che mi imbatto in una storia che sembra interessante. E non ho ancora deciso se questa con te lo sia veramente oppure sto solo perdendo tempo. Non che abbia qualcosa di meglio da fare, ma magari potrei dedicarmi ad una lettura più allettante, senza essere costretto a dover familiarizzare con termini tecnici, con nomi di farmaci, con interminabili teorie di malattie e malesseri vari.
C’è un che di guasto in questi pensieri. Anch'io ho avuto le mie ere più o meno grandi, adesso che ci penso. Il punto conclusivo di una progressiva chiusura a riccio nel campo delle relazioni.
Il denominatore comune è la scrittura. Storie di donne. Un tempo uscivo di casa per cercarle ovunque. E ne trovavo, di interessanti anche. La cassiera del supermercato, la ragazza del forno, la cameriera del bar.
Poi, cambio di era, ho cominciato ad uscire sempre di meno e mi sono dedicato ad amori virtuali, relazioni con profili di donne incontrate per caso sui social. I rapporti fatti di scambi di mail, di foto, di note vocali. L’amore al tempo dei social manteneva ancora un sia pur esile contatto con una qualche realtà.
Da un po’, invece, non comunico più nemmeno con un avatar qualunque. L’unica interlocuzione la mantengo con i libri, con i personaggi che incontro nei romanzi o con un autore che, però, esiste solo nella mia immaginazione. Nulla a che fare più con la realtà. Il quadro si completa con l’era dei libri in cui viene raccontato un qualunque tipo di disagio. Ormai sono interessato solo a questo tipo di narrazione.
La Grande Era del Disagio Mentale.
È stato così che sono arrivato fino a te.
Cerco le parole esatte per raccontare tutto questo. Le pesco dal fondo di una memoria devastata nel tempo e dal tempo. Non sempre emergono in maniera corretta. Mi impegno ad apportare dei miglioramenti ma la soluzione non risulta soddisfacente, mi manca il feedback su cui poter lavorare per perfezionare l’opera. Vado avanti da solo, e non solo nella lettura.
Questi rapporti, stavo per dire queste relazioni perché rapporti poteva essere frainteso, ma poi mi sono accorto che anche il termine relazioni ha un doppio significato e potrebbe creare la medesima ambiguità, questi rapporti, dicevo, nascono come preconfezionati, ci sono dei blocchi di pensieri che si ripetono. Cambia appena qualche parola ed il modo in cui tra loro si combinano. Per il resto la storia è la stessa.
Eppure a volte mi prende la voglia di scrivere di tutto. Con questa qui, ad esempio, non so perché ma mi piacerebbe scrivere tutto quello che mi passa per la testa, senza regole, senza remore, o tutto quello che mi viene in mente di fare, e quando dico tutto intendo anche le peggiori cose.
Allora comincio a riempire un foglio di word con i pensieri più strani, parto così, con le storie più assurde. Lei, povera, non c’entra niente, però in questo momento è lei che ho tra le mani, mi voglio divertire a strapazzarla, a sodomizzarla violentemente. A perpetrare tutto il male del mondo. Mi vengono a volte di questi raptus, non riesco a trattenermi e mi dispiace, Marta cara, se la vittima questa volta sei tu.
La Grande Era Onirica della Follia Omicida.
Mi spingo oltre, la taglio a pezzetti con il coltello di ceramica, quello verde appena comprato, dalla lama larga e taglientissima, per non fare grossi sforzi. Praticamente un bisturi, con cui riesco a praticare delle incisioni sulla pelle che quasi non si nota nemmeno, alla fine delle operazioni, che si tratta di un corpo, tantomeno un corpo di donna.
Mi piace a volte avere dei momenti di possessione così perversamente horror, mi perdo senza avvedermene e quando poi ritorno in me mi faccio mille scrupoli, mi chiedo come abbia potuto pensare tutto questo, se davvero sarei capace di arrivare a tanto, chi sono mai e quando, finalmente, dopo tutto questo macello, riesco a raccogliere le idee e a rendermi conto di cosa ho scritto, premo il pulsante “seleziona tutto” e cancello completamente il testo, in modo che non rimanga traccia di alcunché nemmeno nel cestino.
È stato solo un incubo, da cui stento ancora a riprendermi. Resta il dubbio se chi aveva scritto quelle cose sia stato davvero io o se si sia trattato solo di un brutto sogno. Ma non intendo indagare ulteriormente, né cercare istruzioni per uscire da questo dubbio.
(continua)
Marta Zura-Puntaroni
GRANDE ERA ONIRICA
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