Lettori fissi

giovedì 11 dicembre 2014

Malone muore (forse).

Eccomi in un’altra pagina. Lo spazio che mi separa dalla precedente non è casuale, rappresenta il tempo che è trascorso da quando ho letto le ultime cose e di conseguenza da quando ho scritto, anzi riscritto. Sì, perché di tempo ne è passato tanto da quella volta.
Non so perché ho interrotto la lettura, non saprei spiegarmelo. Di certo sono stato distratto da avvenimenti esterni ed estranei al libro.
Forse mi sono fermato in occasione di una vacanza. Sempre porto dietro con me un libro, e a volte anche più, quando viaggio, ma questo che sto leggendo non si presta molto ad una lettura rilassante quale dovrebbe essere quella richiesta nei momenti di vacanza.

Adesso anche questa seconda lettura è finita. Non so se basta, oppure proverò ad affrontare nuovamente la lettura di questo romanzo, se mi arrischierò cioè in un altro tentativo, perché in certi momenti davvero mi sembra di correre un rischio a leggere queste pagine, rischio di perdermi, di non riuscire più a leggere altro.

La conclusione la sintetizzo in poche frasi e, come succede in questi casi, anch’io sono consapevole che così facendo mi sottopongo al rischio di eccessiva semplificazione e di conseguenza banalizzazione, quando so che su questo lavoro sono stati spesi i classici fiumi di inchiostro, ma io non ho le competenze per parlare tanto o di fare approfondite analisi e perciò dirò solo quello che mi sembra di aver capito, o che serve a me per continuare a scrivere.

In questo romanzo c’è quest’uomo, il narratore, che vuole raccontare delle storie, e sono quelle, che crescono, mano a mano che avanziamo nella lettura.
I protagonisti di quelle storie diventano i protagonisti del romanzo, se ne appropriano, lentamente, spudoratamente.
È di loro che si parla adesso, non di altri, né di altro, hanno occupato lo spazio narrativo e non lo lasceranno più fino alla fine, anzi, la fine del romanzo coincide con la loro fine.

E il narratore originario, non può più fare niente per evitare questa appropriazione indebita, non ha più forza, né volontà, e finisce che muore, così come anticipato nel titolo.

domenica 16 novembre 2014

Riscrivendo Malone muore - 12

C’è una camera dove il tipo sta da un sacco di tempo, e non si trova né in un ospedale, né in un manicomio, e neanche in una casa di riposo. C’è qualcun altro nella sala, e c’è una finestra, da cui osserva il mondo.
Non sa com’è arrivato da quelle parti o chi ce l’ha portato. Semplicemente si è ritrovato su un letto, senza ricordare niente di ciò che ha causato e reso necessario questo ricovero, senza riuscire ad individuare precisamente nemmeno l’ultima cosa che ha fatto prima della perdita di conoscenza, perché di questo si è trattato, di uno svenimento, o in termini più tecnici, di una sincope.

Nei suoi pensieri cerca di ritrovare un momento, anche una parola, che al solo pronunciarla possa aiutarlo, fornirgli un indizio, per ritrovare la strada che stava percorrendo quando è successo l’evento traumatico, prima di ritrovarsi nella camera, che considera una camera normale, da dove sta cercando di ricostruire gli eventi, ma forse anche il suo passato, la sua vita. 

venerdì 24 ottobre 2014

Around Malone muore - 1

Quella di Saposcat è la prima delle storie che ha in mente di scrivere, e ci prova anche, ma senza grandi risultati.
Si annoia, non ricava soddisfazioni, qualcosa non va per come vorrebbe, non capisce cosa, deve prestare maggiore attenzione, dovrà riflettere di più.
Prova a ripartire, a definire il personaggio, i suoi amici, i genitori, il contesto in cui si muove, a creargli un passato, ad immaginare una vita, a fugare dubbi, a rispondere a quesiti. Si prende gioco di questo personaggio, ma si lascia anche adescare, condurre per mano, invaghito delle sue sollecitazioni e fantasie.

Ho paura di perdere il filo del discorso, a forza di seguire i ragionamenti di questo malato, di questo paziente, mi verrebbe da dire, perché per immaginare storie così, per costruirle, ci vuole davvero molta pazienza, ma ancor di più ne serve per seguirle, per star dietro ai suoi intricati pensieri e fantasiosi ragionamenti.

Deve tornare a riflettere, a fermarsi un attimo, per trovare l’energia necessaria per riprendere a ragionare. Adesso frugo un po’ nelle mie cose, per mettere ordine nelle mie idee altrimenti che mi seguirà più?

Mi capita a volte, mentre leggo, di pensare di aver colto un segnale di non difficile lettura, o di comprensione non immediata, e penso che forse sto dando un’interpretazione alquanto inverosimile a quanto vado leggendo, lontana dalle reali intenzioni dell’autore, una visione solo mia, la mia immaginazione sembra che riesca finalmente a seguire quella di chi ha creato quelle pagine, che possono apparire astruse, ma solo di primo acchito, perché ad una successiva ed attenta lettura, anzi no, dopo varie letture, qualcosa di più o meno chiaro all'orizzonte comincia ad apparire.
Ma poi, quando la concentrazione comincia ad andare via, allora i pensieri sfumano, le idee svaniscono, la chiarezza viene meno, ed occorre ricominciare di nuovo dall'inizio della frase, del paragrafo o della pagina.
Ecco perché ho bisogno di tempo per leggere Beckett.

Il libro vuoto

Josefina Vicens non esiste, non è mai esistita.
E se pure ha vissuto da qualche parte, ha qualcosa a che fare con me, anzi di più, Josefina Vicens soy yo, o almeno è la mia creatrice, è lei che mi ha concepito, che mi ha inventato. Non potrei dire di pensare diversamente.
Il libro vuoto non è come gli altri libri. 
Mi lascio facilmente e piacevolmente adescare dalle parole, fin dalle prime, non mi arrabbio se in breve mi ritrovo ad aver letto un bel numero di pagine e di capitoli. Perché questo libro non è come tutti gli altri, dentro c’è la mia vita, racconta la mia storia, sono esattamente io il personaggio che si muove fin dall’inizio, non c’è ombra di dubbio.
Per questo sono convinto che Josefina Vicens è un falso, nessuno può conoscere la mia vita meglio di me, continuo nella lettura meravigliandomi sempre più di quanto perfettamente uguali alle mie sono le caratteristiche del protagonista di questo libro.
Juan Garcia non esiste, Juan Garcia soy yo, è la mia controfigura, o forse il contrario, in ogni caso sto andando avanti a leggere la sua storia, perché mi può aiutare a capire come potrà continuare la mia vita, o anche quella del protagonista del romanzo, rigorosamente autobiografico, che ho in mente di scrivere.
Il libro vuoto è formato dalle stesse identiche parole con cui sono composti i miei pensieri, non sapevo di averlo già scritto questo romanzo, non lo ricordavo. Questo libro è fatto con le parole dei miei infiniti libri numero 1.
Questa meravigliosa scoperta mi ha riempito il cuore più di quanto potesse contenere, quando l’ho capito mi sembrava di scoppiare dalla gioia.

Non ho parole per dire come mi sono sentito.

Josefina Vicens - Il libro vuoto - Editori Internazionali Riuniti - 2014
Traduzione dallo spagnolo di Roberta Arrigoni

lunedì 20 ottobre 2014

Riscrivendo Malone muore - 11

Per fare l’inventario che ho in mente mi basta un quarto d’ora. È un progetto a cui pensavo da tanto tempo, una cosa a cui tengo e vorrei farlo, e anche se dovessi spegnermi improvvisamente, beh, il tempo per un inventario lo troverò di certo. 

Meglio quindi cominciare con le storie, ormai ho deciso che saranno tre, unirò in un’unica storia quelle che avevo pensato per l’uomo e la donna.

Da qui alla fine ho diviso il tempo in cinque parti, o meglio, dedicherò quello che mi resta a soddisfare cinque interessi: la situazione attuale, le tre storie e l’inventario.

Mi rendo conto che un semplice segnalibro può non essere sufficiente. 
La lettura richiede attenzione, non è facile entrare nella mente di uno che tra poco morirà, non so nemmeno se c’è un ragionamento da seguire, nel senso che anche lui, non è che sembra avere le idee molto chiare, e d'altronde lo capisco, non è facile restare sereni e mantenere la tranquillità nella situazione in cui si trova, anche se non è facile capire cosa effettivamente ha, però non sembra che stia bene. 

Dicevo del segnalibro, non basta inserire un oggetto fra le pagine per sapere dove sono arrivato nella lettura. Ogni pagina è così intensa, e anche variabile, che sarebbe opportuno prendere nota anche del rigo dove sono arrivato, e non sempre interrompo la lettura in corrispondenza con la fine di un paragrafo, cosa che potrebbe aiutarmi nell'individuazione del punto da cui riprendere la lettura, quindi, conclusione, penso che userò una matita per segnare il punto esatto in cui smetto di leggere. 

Certo, quando ricomincio, qualche rigo di prima lo rileggo, così, come per prendere la rincorsa e ritrovarmi con un pezzettino di strada già fatta. Mi viene in mente il corridore di una staffetta, che comincia ad avviarsi anche se il compagno che ha completato la sua parte non gli ha ancora passato il testimone. 
E già, ricominciare da una frase nuova mi sembra difficile poter rientrare nell'atmosfera della storia.

domenica 12 ottobre 2014

Riscrivendo Malone muore - 10

A seguire i ragionamenti di questo paranoico non mi sembra di essere libero di dire niente di me, come se fossi costretto a star dietro ai suoi deliri, e se per un momento smetto, mi sento perso e comunque in colpa, per qualcosa che non so spiegare o illustrare, mi manca qualcosa, una direzione mia da poter seguire, un interesse che mi possa rendere finalmente libero.

Di solito so dove sono arrivato nella lettura perché tra le pagine lascio un segnalibro. Non sempre uso oggetti concepiti per questo scopo, può trattarsi ad esempio di una cartolina, o di un biglietto da visita, o qualsiasi altro oggetto che mi fa ricordare dove ho interrotto la lettura.

La sera, a letto, quando non ce la faccio più a tenere gli occhi aperti, perché cominciano a bruciare, quando sento come delle punte di polvere o come scorie di metalli che ne graffiano le parti interne, chiudo il libro e a mo’ di segnalibro ci metto quello che mi capita tra le mani, può essere la pezzuola per pulire gli occhiali, o una moneta che lascio solitamente sul comò quando svuoto le tasche dei pantaloni, e se non ho altro, ed è già capitato, anche un fazzolettino di carta usato, o addirittura un calzino, non mi va proprio di chiudere il libro e ritrovarmi il giorno dopo a dover ammattire per ritrovare il punto dove mi ero fermato.


Quando oggi ho ricominciato a leggere ho trovato tra le pagine un cartoncino con l’immagine di una santa, una tipa in fase di beatificazione, e sul bigliettino, appiccicato con lo scotch, un quadratino di stoffa nera, c’era scritto che era una reliquia, un pezzettino di vestito appartenuto a questa donna. Non ricordo dove l’ho mai trovato o chi me l’ha dato, però avrò pensato che poteva tornarmi utile in qualche occasione, e forse anche adesso potrò beneficiare della sua influenza, spero infatti che faccia un miracolo, che mi dia la capacità di capire qualcosa di questo libro che sto leggendo, perché a volte mi viene il dubbio che non sempre c’è da capire qualcosa in un libro, oppure ognuno ci capisce quello che vuole, boh?, vedremo se questa quasi santa mi aiuterà a liberarmi da questi dubbi.

sabato 11 ottobre 2014

Dissipatio H. G.

Il protagonista di questo romanzo ha preso la decisione di suicidarsi, senza lasciare tracce, e ha già scelto anche il luogo, una grotta in fondo a una valle a forma di imbuto, e il momento, la notte tra l’uno e il due giugno di un anno non specificato.
L’atto estremo però non verrà attuato, l’aspirante suicida cambia idea all'ultimo momento e ritorna verso casa.
A poco a poco si rende conto però che le cose sono cambiate rispetto a come le aveva lasciate prima di dirigersi verso la grotta dove aveva deciso di finire i suoi giorni.
Attorno a sé non c’è più nessuno, non si vede nemmeno una persona in giro per le strade delle città, gira impaurito per Crisopoli, nome dietro cui si riconosce Zurigo, senza incontrare nessuno nei luoghi dove vivevano o lavoravano gli abitanti.
Tutto il resto sembra normale, gli animali continuano a pascolare  per i campi, o a girare per le strade, come fossero accompagnate da persone, che però sono inesistenti; nelle fabbriche i macchinari sembrano continuare a girare e funzionare per inerzia, come fossero stati appena abbandonati dai lavoratori, non è chiaro a causa di quale evento.
Il protagonista ha come l’impressione che tutto sia avvenuto in maniera improvvisa, assolutamente imprevista e imprevedibile e si ritrova a vagare incredulo ed interrogativo, per tutto il tempo descritto nel romanzo, un unico lungo monologo, in cerca di segni di vita del genere umano, senza riuscire a darsi una risposta, o dandosene alcune che tuttavia lo lasciano con molti dubbi.
L’umanità si è come volatilizzata, o meglio, per citare il titolo del romanzo (Dissipatio H. G., dove le iniziali stanno per Humani Generis), si è dissipata.
La dissoluzione del genere umano non è solo la scomparsa di ciò che c’è oltre la propria persona e la propria identità. È anche il risultato, o meglio la rappresentazione di ciò che rimane, a seguito del suicidio pensato dal protagonista, il quale senza riuscire a dar seguito ai tentativi di risollevarsi, - “Mi estraggo dalla mia poltrona, mi avvicino alle vetrate. Non riesco a sciogliermi, il freddo, l’inerzia, mi fasciano ancora. Tuttavia qualche cosa aiuta. Ho un progetto, e con questo (lo sento) io sfato la morte, da me e da attorno a me” - avverte continuamente la paura e soprattutto l’inadeguatezza, che gli è caduta addosso come un macigno, di rappresentare l’umanità.
Dissipatio H.G. è l’ultimo romanzo di Morselli, finito di scrivere nel 1973.
Pochi mesi dopo, all'età di 61 anni, lo scrittore pone fine alla sua esistenza terrena suicidandosi.
“Le mie esaltazioni d'altronde erano e sono genuine, non avevano o non hanno niente di letterario. Non ho mai cavato una riga scritta, dai miei spasimi di solitudine, non me ne sono mai compiaciuto”.
Guido Morselli - Dissipatio H. G. - Adelphi

giovedì 2 ottobre 2014

Riscrivendo Malone muore - 9

Voglio giocare anch'io, decido che giocherò per il tempo che mi resta, anche da solo, se è il caso.

Voglio giocare a far stare le storie che intendo scrivere nel tempo che mi resta. Se non ce la faccio, vorrà dire che doveva andare così, l’importante è averci provato. Se invece finisco di scrivere le mie storie prima della fine, della mia fine, allora proverò a fare un inventario delle mie cose. 

È da tanto che ci penso ma devo ancora rimandare l’inizio perché non posso sapere fin da ora come si metteranno le cose. Penso che non ci metterò molto. Ma forse sì, ed allora, onde evitare problemi dell’ultima ora, forse sarebbe meglio cominciare con l’inventario, per poi passare alle storie, perché non posso rischiare di morire e non aver fatto il mio inventario.


Ma per troppo tempo ho rinviato questo momento, per tanti anni, pensando fosse sempre presto, ed oggi, ho altre cose a cui tengo, e quindi è ancora di nuovo presto. Dunque, prima le storie e poi il resto. Ed allora, sotto con la prima, quella dell’uomo e della donna, così mi tolgo il pensiero. Quella dell’oggetto indefinito girerà probabilmente attorno ad una pietra. 

Adesso mi sembra di avere le idee più chiare. 

sabato 27 settembre 2014

Riscrivendo Malone muore - 8

Lui, lo identifico con un semplice pronome, perché ancora non si è presentato, non è ben chiaro dove si trova, lui è “qui”, questo è l’unico avverbio che usa e che ci dovrebbe far capire qualcosa, ma qui può essere ovunque, e quindi non ho ancora capito niente, solo che è passato un giorno ed è arrivata la sera.

Quest’uomo qui a me sembra proprio un mago, cioè uno che possiede doti magiche, e fa apparire dal nulla ciò di cui ha bisogno. Ce ne sono altri di mestieri che permettono di ottenere gli stessi risultati, come per magia appunto, o come per gioco. Uno di questi è lo scrittore, e questo signore che stiamo seguendo fa esattamente lo scrittore, cioè il raccontatore, perché l’ha detto apertamente che vuole scrivere storie, né brutte, né belle, semplicemente pacate, ed ha precisato che prima della fine vorrebbe scriverne quattro.


L’ha pensato durante la notte, ed ha deciso anche gli argomenti di cui parlerà in queste storie: una sarà su un uomo, una su una donna, una riguarderà qualcosa di indefinito e l’ultima, la quarta, sarà su un animale. Forse le prime due le concentrerà in una, con due personaggi, un uomo ed una donna cosicché le storie si ridurranno a tre. 

venerdì 26 settembre 2014

In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa

C’è la descrizione del resoconto di un viaggio che un personaggio fa al narratore, il quale scrive la storia attraverso i ricordi del protagonista, un farmacista di un paese chiamato Taxham, che esce di casa per fare un giro nel bosco e viene colpito in testa da qualcuno, non ricorda o capisce chi.
Si ritrova successivamente in una locanda dove incontra una donna, che gli infila nella tasca della giacca una busta con una lettera, e due altri personaggi, un poeta e un ex sciatore. I tre uomini si avventurano in un viaggio in auto per andare a trovare la figlia del poeta, che però non ricorda esattamente dove vive.
I tre sembrano vagare in un mondo fuori dal tempo e dallo spazio. Il farmacista, che è anche il guidatore dell’auto, trascorre lunghi periodi senza parlare, anche quando si trova in compagnia di altre persone.
“Non so se qualcuno ascolterà mai le mie parole", sembra voglia dire il farmacista “muto”. Questa sua ignoranza, comunque, non gli impedirà di parlare e raccontare le cose.
La lettera della donna incontrata nella locanda faceva riferimento al fatto che il farmacista aveva abbandonato e ripudiato il figlio e per questo sarà condannato a portare una macchia infamante sulla fronte e anzi, questa macchia sarà la causa che lo condurrà alla morte.
I tre uomini si trovano al centro di una festa a Santa Fé. Il poeta riconosce la figlia che durante una processione interpreta il ruolo della regina, che però viene arrestata senza che ci venga detto il motivo. Anche il farmacista ritrova il figlio che suona la fisarmonica nella banda alla festa del paese.
Nel romanzo c’è quindi un personaggio, il farmacista, che racconta al narratore del romanzo alcune vicende da lui vissute. Il narratore del romanzo, quello nascosto, di primo grado, sta trascrivendo i resoconti ed i ricordi raccontati dal farmacista, il quale, intanto, fornisce allo stesso narratore dei consigli su come trascrivere la sua storia, per aiutare il lettore che avesse bisogno di eventuali spiegazioni o chiarimenti.
Ci sono tanto interrogativi che il narratore si pone, tante domande a cui prova a dare risposte, più o meno soddisfacenti, più o meno attendibili, per colmare alcuni vuoti della narrazione del farmacista. Con queste risposte abbiamo l’impressione che il narratore stia procedendo a balzi nella ricostruzione degli eventi, e che sia anche dubbioso sulla veridicità di quanto il farmacista gli va raccontando.
“Sentivo così pressante e importante la ricerca di quella donna, che a momenti la mia coscienza non riusciva più a concepirla”
L’impressione che si ha leggendo questo libro è che l’autore non abbia le idee chiare su come raccontare la storia che ha in mente, o forse non ha una storia e prova ad andare avanti con esitazione, confusamente, a tentoni, proprio come i protagonisti del romanzo, che si ritrovano a vagare senza una meta ben precisa, o forse la meta la individuano volta per volta, strada facendo, e forse è anche questo è il senso di questo lavoro, dare conto della nascita di un racconto, e del farsi della narrazione, attraverso l’uso di espedienti rappresentati da frequenti domande, dubbi, interrogativi, tentennamenti, aggiustamenti in corso d’opera, fino ad arrivare, o anche a non arrivare, ad un punto che può essere considerato quello finale.
La domanda che sorge spontanea leggendo queste pagine riguarda la scelta sulle vicende da raccontare, quali particolari privilegiare, quali trascurare o tralasciare, quali pensieri anche. Le parole no, quelle che vengono pronunciate dal protagonista sono davvero poche. Non è dai suoi discorsi che si può ricavare il materiale narrativo per progettare e costruire un romanzo. E questo nonostante il fatto che l’intera opera può essere considerata una sorta di confessione del farmacista al narratore, che sembra avere il compito di trascrivere, così che noi lettori possiamo leggere, e venire a conoscenza delle avventure del protagonista e dei personaggi che lo accompagnano lungo il percorso, soprattutto quello narrativo.
Lo strumento di osservazione è usato in modo da riuscire a percepire i dettagli più piccoli anche da una distanza notevole, in tali circostanze viene privilegiata un’osservazione di tipo iperrealista; dopo un po’ l’obiettivo si modifica, si allontana e si allarga ad inquadrare ampi panorami, aperti su orizzonti lontanissimi, il tutto con una rapidità che fa venire le vertigini.
“Mi accorsi infatti che di tanto in tanto, quand'ero particolarmente pieno di ciò che incontravo per strada, mi mettevo involontariamente e tacitamente a raccontare”.
Il farmacista, nuovamente da solo, si incammina per la steppa fuori Santa Fé. La steppa in fondo è il terreno su cui nascono le storie, è il luogo dell’immaginazione, rappresenta la scritture stessa.
 “Narrare e steppa si facevano una sola cosa”.
Tutto il romanzo è una lunga metafora della scrittura.
“Un’impazienza inaudita lo cavava dal sonno, un’impazienza di addentrarsi sempre più nella steppa”.
“Era sempre emozionante il primo passo sul terreno della steppa…”, altro non è che la descrizione di ciò che si prova nell'ideazione e redazione dell’incipit di un romanzo.
“E per una volta non ho letto proprio niente, o forse era la steppa, con i suoi posti, la mia biblioteca”.
Nel suo vagare attraverso la steppa, incontra l’ombra di una donna che ha bisogno di lui, e che gli dà appuntamento a Saragozza. Il farmacista parte in direzione di quella città. I due si incontrano alla stazione dei pullman. Lei è la “vincitrice”, la donna che un tempo gli aveva consegnato una lettera in una locanda. Vuole riportarlo a casa, in Austria.
Gli dà dei consigli: “Perciò devi prendere la rincorsa per ricominciare a parlare, per ritrovare nuove parole, per ricomporre nuove frasi, a voce alta, o che almeno si possano udire. E se il tuo parlare risultasse sconnesso e stupido, l’importante è che tu abbia riaperto bocca”.
Così il farmacista riprende la vita di sempre, nel suo negozio, e in un giorno d’inverno comincia a raccontare le sue avventure al narratore del romanzo.
Uscire in quella notte buia dalla casa silenziosa poteva essere una delle tante possibili opzioni. È stata quella che ha fatto nascere questo romanzo. Se solo fosse rimasto dentro non sarebbe nata quest’opera di Peter Handke.
Peter Handke – In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa – 1998, Garzanti
Traduzione di Rolando Zorzi

lunedì 15 settembre 2014

Riscrivendo Malone muore - 7

Finalmente sono riuscito a superare la prima pagina, era diventato un incubo, ma era importante, anche simbolicamente, riuscire ad andare avanti, ce l’ho fatta con un atto di estrema ed efficace disinvoltura, ho preso la rincorsa, e sono arrivato di slancio a quest’altra pagina.

Del resto, si sa, l’incipit rappresenta sempre un trauma, come la nascita, il neonato che arriva in un mondo diverso, di cui non sa niente, conosce poco, allo stesso modo, quando si comincia a leggere, si viene scaraventati in una realtà sconosciuta, c’è bisogno di tempo per abituarmi, e così anche per il bambino, che deve allenarsi ad un’altra respirazione, immerso in un fluido del tutto nuovo, ed anche nella lettura ancora di respiro si tratta, bisogna affrontare il testo con la giusta calma ed attenzione, nel caso in questione, poi, altro che nascita, qui ci stanno dicendo che c’è qualcuno che tra non molto morirà e insomma, bisogna essere concentrato per cominciare bene, ed è per questo che ci ho messo tanto a superare lo scoglio dell’inizio e della prima pagina, spero che da qui in avanti tutto scorra più agevolmente, ora che ho cominciato a familiarizzare con lo stile narrativo, e comunque, non sarà facile, prevedo che sotto sotto dovrò ancora affrontare e superare diversi ostacoli.

martedì 19 agosto 2014

Riscrivendo Malone muore - 6

È vero, a volte sono curioso di vedere come va a finire un qualche episodio appena accennato, oppure come l’autore riesce a venire fuori da taluni intrecci che è riuscito a creare o in cui penso, stoltamente, di essersi impelagato, senza via d’uscita, e questo desiderio mi impedisce di cogliere i dettagli di un determinato momento, e soprattutto non giova alla comprensione del testo, però è quello che mi capita, ed allora, per evitare che la cosa si ripeta anche con questo personaggio, quello che sta morendo, cosa che in realtà si è già verificata con la prima lettura, ho deciso di rileggerlo, questo libro, ma stavolta con più calma ed attenzione, e penso anche che possa esser utile trascrivere, anche ripetutamente, i pensieri, che la lettura mi suscita, così mi restano maggiormente impressi.

Allora, c’è questo tipo che però tra poco non ci sarà più. Che sia tra una settimana, o tra un mese, non è dato sapere, ma questa, e non penso di svelare chissà mai quale segreto, è una cosa che succede a tutti, che si muoia cioè, e anche che non si sappia quando, ma in questo caso ci sono dei segnali che ragionevolmente fanno affermare al narratore, ed io non ho alcun motivo di dubitare e di conseguenza non posso far altro che dargli credito, che questo momento non sarà lontano.

Si tratta di una sensazione che può anche essere ingannevole, lo dice lui stesso, ma non ci pensa, e soprattutto non vuole precorrere i tempi. Aspetterà gli eventi, naturalmente, senza intervenire, l’unica cosa che intende fare, se ci riuscirà, è raccontare storie, storie pacate le definisce.

lunedì 11 agosto 2014

Riscrivendo Malone muore - 5

Che strano, avevo già dimenticato che tra poco sarò morto del tutto, o meglio avevo dimenticato di averlo affermato con una certa convinzione. Invece, una sicurezza del genere non può passare inosservata, non può essere annunciata senza conseguenze, ed io, a distanza di un giorno, è come se non fosse successo niente, come fosse una dichiarazione qualunque, e sono ancora qui, nonostante mi resta sempre meno da vivere, pochi giorni dico, nonostante questo mi permetto il lusso di non pensarci, di lasciar passare tutto come se non mi riguardasse, a volte non mi capisco, non so come valutare questi atteggiamenti, forse la soluzione è passare avanti, saltare qualche frase, soprattutto quando le trovo contorte ed appaiono astruse, mi richiedono uno sforzo superiore che non sempre sono pronto o comunque disposto ad affrontare.

Quando mi succede, quando cioè passo avanti senza riflettere abbastanza su quanto leggo, mi sembra di prendermi in giro, in fondo nessuno mi costringe a leggere, è stata una mia scelta, se non voglio leggere basta chiudere il libro e tutto finisce là. Senza considerare che se sorvolo su qualche periodo che mi è oscuro, so che me ne pentirò, perché questo tipo non scrive parole a caso, se le ha scritte, qualche motivo ci sarà pure, lo so già che mi pentirò e che mi toccherà ritornare indietro e leggere i passaggi trascurati. E allo stesso tempo mi dico che non è questo il senso della lettura, anche se per qualcuno interrompere la lettura può rappresentare un diritto, ma per me non è così, e poi, penso anche a chi quelle frasi le ha scritte, a quanto sacrifici per arrivare alla versione finale, alla stesura definitiva, solidarietà fra scrittori direte voi, non so, però mi sembra giusto onorare gli sforzi di chi si è impegnato per trasmettere un messaggio, e lo fa con tutte la parole che ha scritto, non solo con quelle che ho voglia di leggere o capacità di comprendere, per cui, sotto con la lettura, andiamo avanti che sto perdendo fin troppo tempo e non ho ancora finito la prima pagina.

domenica 15 giugno 2014

Riscrivendo Malone muore - 4

Dov’eravamo rimasti? Sì, perché intanto siamo ad un altro giorno e oggi c’è una novità che mi pare importante riferire, oggi mi è capitato tra le mani un cofanetto di musica celtica ad un prezzo davvero invitante e non ho saputo trattenermi dal comprarlo, anche se, a dire il vero, non è un tipo di musica che amo, ma forse sarebbe più corretto dire che non conosco, e però, adesso che ho ripreso questa scrittura, anzi questa riscrittura, penso di capire che non sta solo nella convenienza del prezzo la ragione per cui ho comprato questi dischi, cinque per la precisione, in fondo, pensandoci bene, il libro che sto leggendo in queste ore qualche influenza inconscia deve averla prodotta in me, dal momento che l’autore è irlandese e che la musica celtica da quelle parti non è del tutto estranea, anzi, tutt’altro, ma tant’è, ho cominciato ad ascoltare qualche brano e forse mi potrà aiutare a ricavare qualche ispirazione per questo mio lavoro, e intanto continuo a leggere, anzi, riprendo nuovamente dall’inizio, non ricordo bene il concetto che stavo esprimendo, nemmeno la costruzione della frase, e ripartire in questi casi aiuta.

Certo posso farlo adesso che sono alle prime battute del romanzo, intendo, ricominciare a leggere dalle prime frasi, in fondo, anche se può sembrare difficile da credere, ancora ho letto solo poche righe, e per poche intendo appena una decina, e non sarebbe un grosso sforzo riprendere dall’inizio, ma quando sarò in una fase avanzata della lettura, dovrò senz’altro trovare un metodo diverso per ricordarmi dov’ero arrivato, non potrò ricominciare ogni volta daccapo, ma questo si vedrà al momento opportuno.

lunedì 9 giugno 2014

L'attesa di una frase

Una frase attende da tempo, l’avevo scritta in un momento di distrazione, di noia, come per un passatempo, tanto per fare qualcosa, ed è rimasta là, su un pezzetto di carta che avevo riposto nella tasca interna della giacca, ed ogni volta, quella frase, mi viene da pensare che se avessi portato la giacca in lavanderia, e se la proprietaria avesse avuto l’ardire di frugare tra le tante tasche, ma forse non è tanto ardire, è il loro compito, quando mettono a lavare i capi di abbigliamento, devono fare attenzione a non lasciare bigliettini, o monete o chissà cos’altro, dentro i taschini o nelle pieghe delle giacche, dei pantaloni, o anche delle gonne, e la ragazza, mi piace tanto, ci vado spesso, anche se non ho vestiti sporchi da lavare, ma mi piace vederla, scambiare due parole con lei, cercare un approccio, che però non sempre mi riesce, non ho ancora capito le sue intenzioni, mentre io le mie ce le ho ben chiare, è che non sempre sono in grado di esprimerle ed allora, quella volta, ho lasciato, come distrattamente, un bigliettino piegato in quattro con l’indirizzo di posta elettronica, poteva essere un’occasione, ma forse era meglio il numero di telefono, anzi no, pensai che il telefono era decisamente un mezzo più diretto, se anche lei fosse interessata, o comunque volesse dimostrare una qualche attenzione nei miei riguardi non restava altro che chiamarmi, e poi, il resto sarebbe venuto da sé, io mi sarei impegnato a non sprecare quest’ennesima occasione, ed insomma, già per me le cose erano compiute, potevo passare ad un’altra avventura, ma prima dovevo cucinarmela a fuoco lento, e comunque, è importante il lavoro di una lavandaia, se così si può chiamare l’addetta a quell’esercizio commerciale, non saprei, adesso quello che più mi importa è riprendere la frase che era rimasta appesa prima di un’interruzione che mi era venuta spontanea, una distrazione per associazioni di idee balorde ed ossessive, e così ogni volta che indossavo quella giacca, quel foglietto me lo ritrovavo fra le mani, quando cercavo una penna per prendere nota di un numero di telefono o di una frase, un’altra, che mi passava per la testa come un ronzio che non se ne andava, che continuavo a ripetermi fra i denti, come lavorasse in sottofondo, che non riuscivo a far andare via, quella frase, dunque, era rimasta incisa in quel pezzetto di carta ormai consumato, lacero, quasi strappato in tanti quadratini per quante erano le pieghe, erano anni che si trovava là dentro e vedeva la luce solo in poche occasioni, quando ritornava la stagione autunnale, sul finire dell’estate, tra settembre ed ottobre, quando le foglie degli alberi ancora non hanno cominciato a cadere e coprire le strade e però al mattino presto comincia ad essere freschino ed una giacca fa la sua parte, oppure ad aprile, quando tutto sembra ricominciare, l’illusione di una nuova vita, ed io, ancora oggi, non ho molte scelte, ormai erano anni che la riproponevo, sempre la stessa giacca, l’unica, di velluto blu, ormai consumata nei gomiti, le costine schiacciate e consunte, e a dire il vero erano già un po’ così, fin dalla prima volta che l’avevo indossata, perché non era una giacca nuova, l’avevo comprata in un mercatino dell’usato ed ormai dimostrava tutti i suoi anni, che però non sapevo quanti fossero e comunque mi stavo chiedendo se non era il caso di pensare ad un ricambio, di darmi da fare per trovare qualcos’altro, non necessariamente di seconda mano, è tempo che mi impegni, gli anni cominciano davvero a farsi sentire ed a minare certe forme di sicurezze che fino a poco fa sembravano inossidabili e che ostentavo con assoluta strafottenza e spavalderia.
Quella frase non può più torturarmi, un tempo avrei resistito con forza, con determinato vigore, oggi non ne ho più voglia, non me la sento di assumere certe posizioni che poi dovrò sostenere a tutti i costi, con la sofferenza tipica di chi è costretto a fare cose che non condivide, adesso no, non mi faccio tormentare dalle parole, sia pure scritte, e non voglio nemmeno portarmi dietro questi stupidi fogliettini, dove appunto di tutto, adesso la trascrivo per bene, così mi sentirò libero, non più legato da vincoli che non sopporto.
Mi viene spontaneo, naturale, confrontare, sia pur per un breve inciso, le signore che incontro, e non solo la ragazza della lavanderia, anche le altre donne, le vicine di casa, la fornarina, le commesse del supermercato, le impiegate di tutti gli uffici che pressoché quotidianamente mi capita di frequentare, con quella della mia frase, che però non riesco a trovare, e nemmeno ad individuare da nessuna parte, chi sarà mai? Non la vedo in giro, cosa rappresenta per me? Mi capiterà un giorno di trovarla? Non ce la faccio a sostenere questi dubbi, tutte queste ignoranze, è una ricerca che mi sta portando lentamente alla follia!
Capite adesso perché volevo disfarmi di quella frase, nascondendola in un contesto già esistente, come per renderla irriconoscibile? Era perché non riuscivo a trovare pace con quella donna, e volevo che si confondesse col resto del mondo, con gli altri personaggi che, visti tutti assieme, passano in secondo piano o, in ogni caso, non spiccano sugli altri, come fosse una qualunque, non una che mi ha fatto perdere intere notti di sonno, senza peraltro aver capito se alla fine ci abbia guadagnato ed eventualmente cosa, spero solo che non ritornino più quelle parole, che siano definitivamente parte del passato, cadute nell’oblio, per sempre, come tutte le altre già scritte. 

mercoledì 4 giugno 2014

Mario Vargas Llosa a Firenze


Mario Vargas Llosa all'ultimo appuntamento con "Leggere per non dimenticare", 
alla biblioteca delle Oblate di Firenze, il 3 giugno 2014.

Claudio Magris a Firenze


Claudio Magris all'ultimo appuntamento con "Leggere per non dimenticare", 
alla biblioteca delle Oblate di Firenze, il 3 giugno 2014.

Riscrivendo Malone muore - 3

Devo cercare di tenere a distanza, separati cioè, i due piani, che spesso si sovrappongono senza che me ne accorga, quello in cui viene riportato il testo, e quello in cui mi cimento a commentarlo, tanto per differenziare i due momenti, anche se a volte può tornare utile tenerli vicini, quanto più prossimi, fin quasi a confonderli, così che quando voglio, posso defilarmi di soppiatto e raccontare la storia dal punto di vista che più mi conviene. Farò attenzione, ed anche chi mi legge deve aprire gli occhi.

martedì 27 maggio 2014

Riscrivendo Malone muore - 2

Cioè, questo qui, qualcuno, non so chi, un personaggio, già nella prima frase dice che tra poco sarà morto, del tutto, e nel periodo successivo aggiunge, anche se un po’ fumosamente, che questo passaggio avverrà il mese prossimo, ad aprile o forse a maggio.
È o non è un inizio scioccante? Uno che sa che tra poco morirà, non vi ispira un po’ di tenerezza?, o di pietà? Vabbè che non si conoscono ancora i motivi, però quando di mezzo c’è la morte, un po’ fa pensare.
C’è da dire che il lavoro che ho in mente di fare non è esattamente un’interpretazione, o una recensione, e nemmeno una parafrasi del testo. Come forse ho già detto, dovrebbe essere una riscrittura, e siccome il testo originale è scritto in prima persona, se voglio mantenere le caratteristiche, lo stesso registro, allora anche la riscrittura deve essere in prima persona.
Sono dei concetti che mi sono rimasti da quando studiavo queste cose, e anche se con l’età ho perso un po’ in lucidità, però ancora riesco ad avere delle intuizioni felici.
Come conclusione quindi dovrò usare l’io, cosa che mi riesce facile quando devo parlare di me, ma quando invece devo immedesimarmi in un altro, mi risulta alquanto ostico. Ma non mi tiro indietro, ci proverò.


Per quanto sia vicino il giorno del trapasso, forse arriverò a san Giovanni, che è il 24 giugno, su questo non ho dubbi, sul 24 giugno intendo, non sul fatto che arriverò a quel giorno, e potrei arrivare anche al 14 luglio, l’anniversario della presa della Bastiglia, ma addirittura potrei arrivare anche al giorno della Trasfigurazione o dell’Assunzione, che non so quando cadono, però rende bene l’idea, di una data non prossima, ancora da venire, qualcosa di molto futuro, insomma un giorno lontano, anche se non troverei sorprendente, soprattutto per come sono combinato, se non arrivassi vivo a festeggiare quelle ricorrenze, che hanno tutta l’aria di essere importanti ma che, come forse ho già detto, non so cosa sono con esattezza, cose che riguardano sicuramente la Madonna, ma più di questo non saprei dire.

domenica 25 maggio 2014

Riscrivendo Malone muore - 1

So che lo riscriverò questo libro, cioè vorrei, forse è meglio dire così, perché non sempre ciò che si desidera si riesce a realizzare.

Ma riscriverlo non vuol mica dire copiarlo, senno era facile, un po’ palloso, ma facile. No, è un’altra cosa quello che ho in mente di fare, anche se, lo dico subito, non è che abbia le idee ben chiare. È che quando l’ho letto, perché l’ho già letto, e non è passato tanto, quando l’ho finito di leggere, mi è rimasto come un non so che di incompletezza e di insoddisfazione allo stesso tempo, perché sinceramente non è che c’ho capito molto, ed allora mi viene da pensare che se lo rileggo e provo a scrivere qualcosa a modo mio, con parole mie, è come se il libro lo scrivo io, e quindi è più facile, almeno questo penso. Allora ricomincio a leggerlo e quando ho da dire qualcosa la scrivo al computer e così è come se lo riscrivessi. Penso di procedere così.

Non so fin da adesso se scriverò alla fine di ogni frase, direi che potrebbe bastare, spero proprio che questa fantasia non mi venga più spesso, ad esempio alla fine di ogni parola, potrei rischiare l’esaurimento, ma può andare bene anche dopo ogni pagina, o anche alla fine di un capitolo, sebbene i capitoli hanno una lunghezza variabile, se non ricordo male ce ne sono anche di un solo rigo, insomma vedrò come mi gira l’ispirazione.

Adesso però devo cominciare a leggere sennò va a finire che non arrivo da nessuna parte. Vado.

La prima frase è Comunque tra poco sarò finalmente morto del tutto.

Ah, dimenticavo, sto leggendo nella traduzione in italiano, e quindi è a questo testo che farò riferimento. Già l’originale è stato scritto in francese, quindi rispetto all’autore che è irlandese, si tratta di una qualche forma di traduzione, se poi non preciso che lo sto leggendo nella versione italiana, cioè in un’altra traduzione, e questa volta nel vero senso della parola, allora si rischia di non capire niente, o comunque che qualcosa risulti poco chiara.

Però, io ho cominciato a riportare la prima frase, ma anche a voler fare un lavoro di interpretazione letterale del testo, non posso mica riscrivere tutte le parole e le frasi al completo per analizzarle una dopo l’altra.

La prima frase, vabbè, in qualche modo può essere considerata importante, almeno simbolicamente, e in questo caso anche per la dichiarazione in sé, uno che dice che tra poco sarà morto, specificando, per giunta, che morirà del tutto, non è un incipit che si legge tutti i giorni.

Ah, un’altra cosa, mi veniva in mente che se anche non riporto tutte le frasi, e nemmeno per intero, quando ne cito una parte forse dovrei virgolettarle, o scriverle in corsivo, perché si capisca che sono citazioni, che non sono parole mie. Ma non so, adesso ci penso, intanto proseguo, vado avanti con la lettura.

venerdì 25 aprile 2014

martedì 28 gennaio 2014