Una frase attende da tempo, l’avevo scritta in un momento di
distrazione, di noia, come per un passatempo, tanto per fare qualcosa, ed è
rimasta là, su un pezzetto di carta che avevo riposto nella tasca interna della
giacca, ed ogni volta, quella frase, mi viene da pensare che se avessi portato
la giacca in lavanderia, e se la proprietaria avesse avuto l’ardire di frugare
tra le tante tasche, ma forse non è tanto ardire, è il loro compito, quando
mettono a lavare i capi di abbigliamento, devono fare attenzione a non lasciare
bigliettini, o monete o chissà cos’altro, dentro i taschini o nelle pieghe
delle giacche, dei pantaloni, o anche delle gonne, e la ragazza, mi piace
tanto, ci vado spesso, anche se non ho vestiti sporchi da lavare, ma mi piace
vederla, scambiare due parole con lei, cercare un approccio, che però non sempre mi
riesce, non ho ancora capito le sue intenzioni, mentre io le mie ce le ho ben
chiare, è che non sempre sono in grado di esprimerle ed allora, quella volta,
ho lasciato, come distrattamente, un bigliettino piegato in quattro con l’indirizzo
di posta elettronica, poteva essere un’occasione, ma forse era meglio il numero
di telefono, anzi no, pensai che il telefono era decisamente un mezzo più
diretto, se anche lei fosse interessata, o comunque volesse dimostrare una qualche
attenzione nei miei riguardi non restava altro che chiamarmi, e poi, il resto
sarebbe venuto da sé, io mi sarei impegnato a non sprecare quest’ennesima occasione,
ed insomma, già per me le cose erano compiute, potevo passare ad un’altra
avventura, ma prima dovevo cucinarmela a fuoco lento, e comunque, è importante
il lavoro di una lavandaia, se così si può chiamare l’addetta a quell’esercizio
commerciale, non saprei, adesso quello che più mi importa è riprendere la frase
che era rimasta appesa prima di un’interruzione che mi era venuta spontanea,
una distrazione per associazioni di idee balorde ed ossessive, e così ogni
volta che indossavo quella giacca, quel foglietto me lo ritrovavo fra le mani,
quando cercavo una penna per prendere nota di un numero di telefono o di una
frase, un’altra, che mi passava per la testa come un ronzio che non se ne
andava, che continuavo a ripetermi fra i denti, come lavorasse in sottofondo,
che non riuscivo a far andare via, quella frase, dunque, era rimasta incisa in
quel pezzetto di carta ormai consumato, lacero, quasi strappato in tanti quadratini
per quante erano le pieghe, erano anni che si trovava là dentro e vedeva la luce
solo in poche occasioni, quando ritornava la stagione autunnale, sul finire
dell’estate, tra settembre ed ottobre, quando le foglie degli alberi ancora non
hanno cominciato a cadere e coprire le strade e però al mattino presto comincia
ad essere freschino ed una giacca fa la sua parte, oppure ad aprile, quando
tutto sembra ricominciare, l’illusione di una nuova vita, ed io, ancora oggi,
non ho molte scelte, ormai erano anni che la riproponevo, sempre la stessa
giacca, l’unica, di velluto blu, ormai consumata nei gomiti, le costine
schiacciate e consunte, e a dire il vero erano già un po’ così, fin dalla prima
volta che l’avevo indossata, perché non era una giacca nuova, l’avevo comprata
in un mercatino dell’usato ed ormai dimostrava tutti i suoi anni, che però non
sapevo quanti fossero e comunque mi stavo chiedendo se non era il caso di pensare
ad un ricambio, di darmi da fare per trovare qualcos’altro, non necessariamente
di seconda mano, è tempo che mi impegni, gli anni cominciano davvero a farsi
sentire ed a minare certe forme di sicurezze che fino a poco fa sembravano
inossidabili e che ostentavo con assoluta strafottenza e spavalderia.
Quella frase non può più torturarmi, un tempo avrei
resistito con forza, con determinato vigore, oggi non ne ho più voglia, non me
la sento di assumere certe posizioni che poi dovrò sostenere a tutti i costi,
con la sofferenza tipica di chi è costretto a fare cose che non condivide,
adesso no, non mi faccio tormentare dalle parole, sia pure scritte, e non
voglio nemmeno portarmi dietro questi stupidi fogliettini, dove appunto di
tutto, adesso la trascrivo per bene, così mi sentirò libero, non più legato da
vincoli che non sopporto.
Mi viene spontaneo, naturale, confrontare, sia pur per un
breve inciso, le signore che incontro, e non solo la ragazza della lavanderia, anche
le altre donne, le vicine di casa, la fornarina, le commesse del supermercato,
le impiegate di tutti gli uffici che pressoché quotidianamente mi capita di
frequentare, con quella della mia frase, che però non riesco a trovare, e
nemmeno ad individuare da nessuna parte, chi sarà mai? Non la vedo in giro, cosa
rappresenta per me? Mi capiterà un giorno di trovarla? Non ce la faccio a
sostenere questi dubbi, tutte queste ignoranze, è una ricerca che mi sta
portando lentamente alla follia!
Capite adesso perché volevo disfarmi di quella frase,
nascondendola in un contesto già esistente, come per renderla irriconoscibile? Era
perché non riuscivo a trovare pace con quella donna, e volevo che si confondesse
col resto del mondo, con gli altri personaggi che, visti tutti assieme, passano
in secondo piano o, in ogni caso, non spiccano sugli altri, come fosse una
qualunque, non una che mi ha fatto perdere intere notti di sonno, senza peraltro
aver capito se alla fine ci abbia guadagnato ed eventualmente cosa, spero solo
che non ritornino più quelle parole, che siano definitivamente parte del
passato, cadute nell’oblio, per sempre, come tutte le altre già scritte.
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