Lettori fissi

venerdì 26 settembre 2014

In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa

C’è la descrizione del resoconto di un viaggio che un personaggio fa al narratore, il quale scrive la storia attraverso i ricordi del protagonista, un farmacista di un paese chiamato Taxham, che esce di casa per fare un giro nel bosco e viene colpito in testa da qualcuno, non ricorda o capisce chi.
Si ritrova successivamente in una locanda dove incontra una donna, che gli infila nella tasca della giacca una busta con una lettera, e due altri personaggi, un poeta e un ex sciatore. I tre uomini si avventurano in un viaggio in auto per andare a trovare la figlia del poeta, che però non ricorda esattamente dove vive.
I tre sembrano vagare in un mondo fuori dal tempo e dallo spazio. Il farmacista, che è anche il guidatore dell’auto, trascorre lunghi periodi senza parlare, anche quando si trova in compagnia di altre persone.
“Non so se qualcuno ascolterà mai le mie parole", sembra voglia dire il farmacista “muto”. Questa sua ignoranza, comunque, non gli impedirà di parlare e raccontare le cose.
La lettera della donna incontrata nella locanda faceva riferimento al fatto che il farmacista aveva abbandonato e ripudiato il figlio e per questo sarà condannato a portare una macchia infamante sulla fronte e anzi, questa macchia sarà la causa che lo condurrà alla morte.
I tre uomini si trovano al centro di una festa a Santa Fé. Il poeta riconosce la figlia che durante una processione interpreta il ruolo della regina, che però viene arrestata senza che ci venga detto il motivo. Anche il farmacista ritrova il figlio che suona la fisarmonica nella banda alla festa del paese.
Nel romanzo c’è quindi un personaggio, il farmacista, che racconta al narratore del romanzo alcune vicende da lui vissute. Il narratore del romanzo, quello nascosto, di primo grado, sta trascrivendo i resoconti ed i ricordi raccontati dal farmacista, il quale, intanto, fornisce allo stesso narratore dei consigli su come trascrivere la sua storia, per aiutare il lettore che avesse bisogno di eventuali spiegazioni o chiarimenti.
Ci sono tanto interrogativi che il narratore si pone, tante domande a cui prova a dare risposte, più o meno soddisfacenti, più o meno attendibili, per colmare alcuni vuoti della narrazione del farmacista. Con queste risposte abbiamo l’impressione che il narratore stia procedendo a balzi nella ricostruzione degli eventi, e che sia anche dubbioso sulla veridicità di quanto il farmacista gli va raccontando.
“Sentivo così pressante e importante la ricerca di quella donna, che a momenti la mia coscienza non riusciva più a concepirla”
L’impressione che si ha leggendo questo libro è che l’autore non abbia le idee chiare su come raccontare la storia che ha in mente, o forse non ha una storia e prova ad andare avanti con esitazione, confusamente, a tentoni, proprio come i protagonisti del romanzo, che si ritrovano a vagare senza una meta ben precisa, o forse la meta la individuano volta per volta, strada facendo, e forse è anche questo è il senso di questo lavoro, dare conto della nascita di un racconto, e del farsi della narrazione, attraverso l’uso di espedienti rappresentati da frequenti domande, dubbi, interrogativi, tentennamenti, aggiustamenti in corso d’opera, fino ad arrivare, o anche a non arrivare, ad un punto che può essere considerato quello finale.
La domanda che sorge spontanea leggendo queste pagine riguarda la scelta sulle vicende da raccontare, quali particolari privilegiare, quali trascurare o tralasciare, quali pensieri anche. Le parole no, quelle che vengono pronunciate dal protagonista sono davvero poche. Non è dai suoi discorsi che si può ricavare il materiale narrativo per progettare e costruire un romanzo. E questo nonostante il fatto che l’intera opera può essere considerata una sorta di confessione del farmacista al narratore, che sembra avere il compito di trascrivere, così che noi lettori possiamo leggere, e venire a conoscenza delle avventure del protagonista e dei personaggi che lo accompagnano lungo il percorso, soprattutto quello narrativo.
Lo strumento di osservazione è usato in modo da riuscire a percepire i dettagli più piccoli anche da una distanza notevole, in tali circostanze viene privilegiata un’osservazione di tipo iperrealista; dopo un po’ l’obiettivo si modifica, si allontana e si allarga ad inquadrare ampi panorami, aperti su orizzonti lontanissimi, il tutto con una rapidità che fa venire le vertigini.
“Mi accorsi infatti che di tanto in tanto, quand'ero particolarmente pieno di ciò che incontravo per strada, mi mettevo involontariamente e tacitamente a raccontare”.
Il farmacista, nuovamente da solo, si incammina per la steppa fuori Santa Fé. La steppa in fondo è il terreno su cui nascono le storie, è il luogo dell’immaginazione, rappresenta la scritture stessa.
 “Narrare e steppa si facevano una sola cosa”.
Tutto il romanzo è una lunga metafora della scrittura.
“Un’impazienza inaudita lo cavava dal sonno, un’impazienza di addentrarsi sempre più nella steppa”.
“Era sempre emozionante il primo passo sul terreno della steppa…”, altro non è che la descrizione di ciò che si prova nell'ideazione e redazione dell’incipit di un romanzo.
“E per una volta non ho letto proprio niente, o forse era la steppa, con i suoi posti, la mia biblioteca”.
Nel suo vagare attraverso la steppa, incontra l’ombra di una donna che ha bisogno di lui, e che gli dà appuntamento a Saragozza. Il farmacista parte in direzione di quella città. I due si incontrano alla stazione dei pullman. Lei è la “vincitrice”, la donna che un tempo gli aveva consegnato una lettera in una locanda. Vuole riportarlo a casa, in Austria.
Gli dà dei consigli: “Perciò devi prendere la rincorsa per ricominciare a parlare, per ritrovare nuove parole, per ricomporre nuove frasi, a voce alta, o che almeno si possano udire. E se il tuo parlare risultasse sconnesso e stupido, l’importante è che tu abbia riaperto bocca”.
Così il farmacista riprende la vita di sempre, nel suo negozio, e in un giorno d’inverno comincia a raccontare le sue avventure al narratore del romanzo.
Uscire in quella notte buia dalla casa silenziosa poteva essere una delle tante possibili opzioni. È stata quella che ha fatto nascere questo romanzo. Se solo fosse rimasto dentro non sarebbe nata quest’opera di Peter Handke.
Peter Handke – In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa – 1998, Garzanti
Traduzione di Rolando Zorzi

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