C’è la descrizione del resoconto di un viaggio che un personaggio fa al
narratore, il quale scrive la storia attraverso i ricordi del protagonista, un
farmacista di un paese chiamato Taxham, che esce di casa per fare un giro nel
bosco e viene colpito in testa da qualcuno, non ricorda o capisce chi.
Si ritrova successivamente in una locanda dove incontra una
donna, che gli infila nella tasca della giacca una busta con una lettera, e due
altri personaggi, un poeta e un ex sciatore. I tre uomini si avventurano in un
viaggio in auto per andare a trovare la figlia del poeta, che però non ricorda
esattamente dove vive.
I tre sembrano vagare in un mondo fuori dal tempo e dallo
spazio. Il farmacista, che è anche il guidatore dell’auto, trascorre lunghi
periodi senza parlare, anche quando si trova in compagnia di altre persone.
“Non so se qualcuno ascolterà mai le mie parole", sembra voglia
dire il farmacista “muto”. Questa sua ignoranza, comunque, non gli impedirà di
parlare e raccontare le cose.
La lettera della donna incontrata nella locanda faceva
riferimento al fatto che il farmacista aveva abbandonato e ripudiato il figlio
e per questo sarà condannato a portare una macchia infamante sulla fronte e
anzi, questa macchia sarà la causa che lo condurrà alla morte.
I tre uomini si trovano al centro di una festa a Santa Fé.
Il poeta riconosce la figlia che durante una processione interpreta il ruolo
della regina, che però viene arrestata senza che ci venga detto il motivo.
Anche il farmacista ritrova il figlio che suona la fisarmonica nella banda alla
festa del paese.
Nel romanzo c’è quindi un personaggio, il farmacista, che racconta
al narratore del romanzo alcune vicende da lui vissute. Il narratore del
romanzo, quello nascosto, di primo grado, sta trascrivendo i resoconti ed i
ricordi raccontati dal farmacista, il quale, intanto, fornisce allo stesso
narratore dei consigli su come trascrivere la sua storia, per aiutare il
lettore che avesse bisogno di eventuali spiegazioni o chiarimenti.
Ci sono tanto interrogativi che il narratore si pone, tante
domande a cui prova a dare risposte, più o meno soddisfacenti, più o meno
attendibili, per colmare alcuni vuoti della narrazione del farmacista. Con
queste risposte abbiamo l’impressione che il narratore stia procedendo a balzi
nella ricostruzione degli eventi, e che sia anche dubbioso sulla veridicità di
quanto il farmacista gli va raccontando.
“Sentivo così
pressante e importante la ricerca di quella donna, che a momenti la mia
coscienza non riusciva più a concepirla”
L’impressione che si ha leggendo questo libro è che l’autore
non abbia le idee chiare su come raccontare la storia che ha in mente, o forse
non ha una storia e prova ad andare avanti con esitazione, confusamente, a
tentoni, proprio come i protagonisti del romanzo, che si ritrovano a vagare
senza una meta ben precisa, o forse la meta la individuano volta per volta,
strada facendo, e forse è anche questo è il senso di questo lavoro, dare conto
della nascita di un racconto, e del farsi della narrazione, attraverso l’uso di
espedienti rappresentati da frequenti domande, dubbi, interrogativi,
tentennamenti, aggiustamenti in corso d’opera, fino ad arrivare, o anche a non
arrivare, ad un punto che può essere considerato quello finale.
La domanda che sorge spontanea leggendo queste pagine
riguarda la scelta sulle vicende da raccontare, quali particolari privilegiare,
quali trascurare o tralasciare, quali pensieri anche. Le parole no, quelle che
vengono pronunciate dal protagonista sono davvero poche. Non è dai suoi
discorsi che si può ricavare il materiale narrativo per progettare e costruire
un romanzo. E questo nonostante il fatto che l’intera opera può essere
considerata una sorta di confessione del farmacista al narratore, che sembra
avere il compito di trascrivere, così che noi lettori possiamo leggere, e
venire a conoscenza delle avventure del protagonista e dei personaggi che lo
accompagnano lungo il percorso, soprattutto quello narrativo.
Lo strumento di osservazione è usato in modo da riuscire a
percepire i dettagli più piccoli anche da una distanza notevole, in tali
circostanze viene privilegiata un’osservazione di tipo iperrealista; dopo un po’
l’obiettivo si modifica, si allontana e si allarga ad inquadrare ampi panorami,
aperti su orizzonti lontanissimi, il tutto con una rapidità che fa venire le
vertigini.
“Mi accorsi infatti
che di tanto in tanto, quand'ero particolarmente pieno di ciò che incontravo per
strada, mi mettevo involontariamente e tacitamente a raccontare”.
Il farmacista, nuovamente da solo, si incammina per la
steppa fuori Santa Fé. La steppa in fondo è il terreno su cui nascono le
storie, è il luogo dell’immaginazione, rappresenta la scritture stessa.
“Narrare e steppa si facevano una sola cosa”.
Tutto il romanzo è una lunga metafora della scrittura.
“Un’impazienza inaudita
lo cavava dal sonno, un’impazienza di addentrarsi sempre più nella steppa”.
“Era sempre
emozionante il primo passo sul terreno della steppa…”, altro non è che la
descrizione di ciò che si prova nell'ideazione e redazione dell’incipit di un
romanzo.
“E per una volta non
ho letto proprio niente, o forse era la steppa, con i suoi posti, la mia
biblioteca”.
Nel suo vagare attraverso la steppa, incontra l’ombra di una
donna che ha bisogno di lui, e che gli dà appuntamento a Saragozza. Il farmacista
parte in direzione di quella città. I due si incontrano alla stazione dei
pullman. Lei è la “vincitrice”, la
donna che un tempo gli aveva consegnato una lettera in una locanda. Vuole
riportarlo a casa, in Austria.
Gli dà dei consigli: “Perciò
devi prendere la rincorsa per ricominciare a parlare, per ritrovare nuove
parole, per ricomporre nuove frasi, a voce alta, o che almeno si possano udire.
E se il tuo parlare risultasse sconnesso e stupido, l’importante è che tu abbia
riaperto bocca”.
Così il farmacista riprende la vita di sempre, nel suo
negozio, e in un giorno d’inverno comincia a raccontare le sue avventure al
narratore del romanzo.
Uscire in quella notte buia dalla casa silenziosa poteva
essere una delle tante possibili opzioni. È stata quella che ha fatto nascere
questo romanzo. Se solo fosse rimasto dentro non sarebbe nata quest’opera di
Peter Handke.
Peter Handke – In una notte buia uscii dalla mia casa
silenziosa – 1998, Garzanti
Traduzione di Rolando Zorzi
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