Marta,
forse, se così si può dire, ti ho presa un po’ sottogamba,
cioè non ho dato molto credito alle tue potenzialità. Sia chiaro, non avevo un
motivo preciso per comportarmi così. Semplici sensazioni. Mi ero fatto
abbindolare, almeno così ho pensato inizialmente, da non so che recensione su
uno di quei blog in cui mi capita di incappare di tanto in tanto navigando in
internet. E così sono corso subito in libreria.
Adesso però che ho superato la metà di questo libro, letto forse
anche distrattamente, senza l’attenzione che meriterebbe, non comunque con
quella dovuta ad un buon lavoro, ecco che mi ritrovo a pensare, anzi no, a
farmi assalire da una sorta di pentimento o, ancora peggio, di rimorso, per non
averti presa sul serio fin dall'inizio.
Ma per fortuna niente è andato perduto, c’è tempo per
rifarmi. Sono certo che riuscirò a riparare a questo torto, commesso un po’ troppo
imprudentemente e che mi stava facendo perdere una buona occasione.
Sì, perché, arrivato a questo punto, mi sembra giusto
metterti al corrente di un mio desiderio, cioè che io una storia con te vorrei farmela.
Penso proprio che ci possa star bene. Prima di chiudere questa lettera avrò
modo di precisare le mie intenzioni. Almeno spero. Nel frattempo arriverò alla
fine del libro, non mi piace interrompere bruscamente la lettura, per poi
ripartire per un’avventura più consapevole.
Forse è colpa di questo tuo modo di raccontare, narrazione non organica, se mi capita di
perdermi con una certa frequenza fra le parole che non sempre riesco a seguire.
Non mi è molto chiaro il concetto che con quell'espressione
intendi comunicare. Nondimeno, ne percepisco, sia pur confusamente, gli effetti
su di me.
Prova a metterti nei panni anche del lettore. Lo stile non è
abbastanza ostico. Quasi facilmente leggibile. Ha tuttavia qualcosa che mi
ispira. Proverò a spremerci qualcosa di utile per le mie storie.
Certo, qualcosa c’entrerà quel cognome, doppio, per di più,
che qualifico strano, tanto per mantenermi dentro i confini della decenza, o
della discrezione. E poi la copertina, tutta nera, in cui si distingue un corpo
nudo nell'atto di precipitare, o forse è un tuffo, in una posizione
rannicchiata. Non è facile capire verso dove sia diretto, forse verso un
baratro composto.
Per non parlare, poi, del titolo. Una formula che si adatta
alle situazioni vissute di volta in volta dalla protagonista che, non dovrei
dirlo, ma io la associo a te. In fondo ha lo stesso tuo nome. Cioè di quella
vera, di chi ha scritto il romanzo, l’autrice reale, in carne ed ossa, che mi
piacerebbe conoscere e poi, sì, non solo lo stile.
Ma tu mi vuoi bene?
Sì, lo so, pur con tutti i distinguo, anche considerando i
tanti livelli ed i ruoli differenti, le stratificazioni della narrazione entro
cui sono inseriti gli svariati piani, addirittura ogni frase, io, tuttavia,
queste parole le considero come rivolte direttamente a me. A me personalmente.
Perché questa è una storia che riguarda me, sono sicuro. Lo capisco da come
sento di essere particolarmente coinvolto.
Come rispondere? Dovrò pensarci, lo ammetto, nonostante
tutto non ero preparato. Non a tale sfrontatezza. O forse non devo considerarla
in questi termini. Comunque, alla prossima lettura, quando ritroverò quella
domanda, già sarò pronto e…., staremo a vedere. Non vorrei sbagliare mossa,
giocarmi tutto alla prima esitazione.
Le parole che leggo hanno un senso diverso da quello che
dovrebbero avere. Ma non è detto che debbano averne solo uno. Ed allora, la mia
interpretazione diventa una delle tante possibili. Faccio quello che voglio col
testo, ciò che ogni volta più mi serve. Solo così riesco a sopravvivere, a
trovare un appiglio, come un’ancora di salvezza, in questo caos che è la vita e
in cui mi perdo di continuo.
Nelle letture ho bisogno di trovare situazioni di
difficoltà, di disagio. Cerco il panico, un fantasma, la depressione, il
disturbo di personalità, una malattia, un incubo, un malessere qualunque,
qualcosa, insomma, che mi faccia star bene. Oscillo entro i confini di questo
costante paradosso. Solo così riesco a vivere.
Ma non sono io a cercare queste situazioni. Sono loro che mi
inseguono, che mi scovano e non so come ma riescono sempre ad avere successo.
Mi sento osservato, spiato. Ma mi trovo bene a nuotare in quest’altra angoscia.
Mania di persecuzione.
Il mio compito, l’ho stabilito io, è capire se, ed
eventualmente come, questo romanzo ha cambiato la mia vita. O, più
verosimilmente, in che misura abbia potuto incidere. Non tutti i libri letti mi
hanno lasciato qualcosa. Alcuni non sono nemmeno sicuro di averli mai letti e,
tra quelli letti, ce ne sono alcuni di cui non ricordo assolutamente nulla.
I libri sono i miei tarocchi. Li leggo, li scruto, li
analizzo, li interpreto, per trovarvi la chiave che meglio mi possa aiutare a
vivere.
Ho perso qualcosa per il fatto di averlo già letto, questo
libro, che giro e rigiro tra le mani in attesa di ripartire?
Quando ho cominciato, la prima volta, non volevo impegnarmi
in un rapporto quasi carnale, come pure a volte avviene quando mi dedico a
letture intense e difficili. Pensavo fosse più facile, qualcosa utile a
trascorrere tranquillamente qualche momento di evasione.
Stavolta invece mi sembra di essere di fronte ad uno di quei
casi in cui occorre fare una riflessione più oculata, prestare un’attenzione
più minuziosa. Non so bene in che punto, ma c’è di certo qualcosa che mi spinge
ad approfondire la questione. Devo prendermi il tempo necessario per capire con
esattezza cosa. Non so se riuscirò nell'impresa, ma almeno ci avrò provato.
Intuisco che ci deve essere qualcosa di buono. Già, mi fa
quasi ridere questa dichiarazione. Chi sono io per dare un giudizio?
Marta, io vorrei provare a fare una valutazione partendo
solo dal testo. Del resto, non possiedo molto altro. Qualche informazione
raccolta qua e là su internet, ma non voglio distrarmi ulteriormente. La mia
deve essere una storia d’amore. O di odio. Oppure di assoluta indifferenza,
anche se quest’ultima partita l’ho già persa. In ogni caso solo una storia tra
me e le parole del libro.
Quando leggo vivo solo di quello. C’è poco o null'altro
attorno a me. Cerco ogni volta di affinare la sensibilità, indovinare quella
che più si addice al contesto in cui provo ad accedere, pur con ogni cautela possibile.
Questa volta mi piacerebbe entrarci con tutta la mia fisicità, con l’essere
corpo, per apprezzare al meglio la materia di cui è fatta la storia che sto per
affrontare, quella che ho davanti, e di cui
vorrei essere in un certo senso coprotagonista. Ma, ad essere sincero,
mi andrebbe bene anche un ruolo secondario, una comparsa all'apparenza
indifferente, ma comunque presente, e pronta a riferire quello che sente, che
vede, quello che percepisce o che intuisce.
Sappi che il libro lo tengo sempre accanto a me. La senti la
vicinanza? Lo avverti il calore del mio corpo? Vorrei tuttavia raggiungere la
giusta confidenza prima di ricominciare. Quando quel momento arriverà qualcosa
scatterà senz'altro dentro me. Drizzo le antenne, non voglio perdere nemmeno un
secondo. Sfrutto ogni momento, soprattutto di notte, quando il richiamo si fa
più forte.
Ogni minimo rumore si appalesa come un tocco alla porta,
qualcuno che bussa, che vorrebbe entrare. Non so se aprire. Devo conservare la
calma, la giusta concentrazione. Sono io a dover entrare nei tuoi pensieri
attraverso le parole del libro, non accetto distrazioni di sorta.
Aspetto il momento opportuno per agire, l’occasione propizia
per muovermi, mi serve una chiave di accesso alla tua mente. Solo così potrò
ricominciare.
Forse questa notte, nei sogni, troverò un rimedio valido, la
forza necessaria per svelarti le mie vere intenzioni, entrare cioè nella tua
intimità. Potrà così emergere la parte femminile che è in me. Una
trasformazione necessaria per sentirti più mia, per essere te.
Dove mi condurrà questa finzione, che fa rima con
fissazione?
Ho come l’impressione di aver rovinato la festa. Ma quale
festa? La lettura per me non è mai un divertimento. Non mi addentro in un libro
come se stessi partecipando ad una festa. Piuttosto ad una sfida, ecco, una
battaglia, una lotta, anche atroce a volte. All'ultimo sangue sarebbe
esagerato, ma di certo qualcosa che vi si avvicina parecchio.
Non so mai come uscirò da una lettura. Non intendo dire se
ne verrò fuori cambiato, ed eventualmente in che direzione. No, ma so che si
tratta quasi di un pericolo, l’azzardo di una zebra che deve attraversare un
fiume infestato di coccodrilli o quello di una gazzella che si aggira spaurita
per la savana, consapevole che da un momento all'altro potrebbe spuntare dal
niente un branco di iene affamate.
Quando leggo avverto simili minacce. Il pericolo è grande.
Forse non è esattamente la vita ad essere in gioco, ma sono consapevole che
potrei subire danni notevoli da questa operazione, ferite non facilmente
rimarginabili.
L’approccio ad un libro, l’avrai capito, è sempre un rischio
per me e se, alla fine della storia, sono ancora integro, sia pur profondamente
cambiato, allora considero l’impresa come un successo.
Ma finora ho parlato della lettura in generale. Da questo
momento, invece, mi appresto ad affrontare un testo che, sebbene abbia già
avuto modo di leggere, sia pur non con la dovuta attenzione, tuttavia mi desta
qualche preoccupazione. Per questo penso che la festa, se di questo si tratta,
è quasi ormai compromessa.
Nonostante tutto, sono pronto. Nel senso che mi sembra di
aver messo in campo tutte le contromisure del caso. I conti si faranno alla
fine.
Quelle piante, tanto per cominciare, non so cosa siano.
Potrei verificare con una rapida ricerca, ma non mi va. Rimango nel dubbio, in
un’aura di confusione che, comunque, mi rende nervoso.
Forse non ti farà piacere quello che sto per dire ma ritengo
che dovevi fare uno sforzo per essere più precisa dando qualche altra
informazione per facilitare la lettura. Ad esempio indicare le piante con un
nome più familiare, non con quello scientifico, perché, se proprio vuoi
saperlo, la mia prima reazione è stata che, no, non gliela do la soddisfazione a
questa qua di sprecare il mio tempo, aprire una pagina internet o verificare
nel dizionario di botanica, che non sfoglio da tanto tempo ormai e che sarà
pieno della polvere di anni.
L’avevo comprato … non ricordo più neanche dove e tantomeno
mi va di sforzarmi di ripescare qualche indizio in una memoria che non sempre
mi aiuta.
Non sono riuscito a trattenermi, lo confesso. Alla fine ho
ceduto ed ho consultato il dizionario. Ma tutto questo sfoggio di erudizione,
per cosa? Solo per indicare due banalissime piante che anch'io ho in casa. No,
non ho il pollice verde se è questo che volevi sapere. Non sono io a prendermi
cura delle piante. E queste due, adesso che ci penso, ce le ho davanti agli
occhi da anni. Ma per quanto mi riguarda potrebbero anche non esistere. A me
bastano i libri. Non ho mai abbastanza tempo per leggere, figuriamoci per star
dietro alle piante.
Ma sto divagando. Mi lascio prendere facilmente la mano da
certe descrizioni e poi mi perdo dietro ai pensieri, lasciando da parte il
testo che, pure, era stato il punto di partenza delle mie distrazioni. Ecco
perché può sembrare che a volte non abbia ben chiaro chi sia il destinatario di
queste parole, o l’interlocutore con cui mi confronto.
Anche questo svariare tra prima e terza persona può apparire
come un indice di incertezza, di insicurezza. E forse è anche così. Non sarà
che anch'io abbia necessità di rivolgermi ad uno psicoterapeuta? E non sarà che
questo continuo pormi delle domande, questa incalzante attività tendente a
farmi rivelare più cose possibili di me, con la scusa della lettura di questo
romanzo, non sarà anche questo un preludio ad una situazione di malessere, in
cui ben presto potrei precipitare?
Ora, non so bene di che entità potrebbe essere, ma qualcosa
di certo c’è che non va in me. Ma può darsi che succeda così a tutti. Per adesso,
però, lascia che mi occupi di me, mi interessa preservare solo la mia sanità
mentale, anche se non sono del tutto sicuro che il modo migliore per farlo sia
quello di ritornare su questo romanzo.
Sono un po’ fatalista, forse anche un po’ troppo e questo
tergiversare nervoso può darsi che sia un modo per scongiurare prevedibili
momenti di panico, quando non addirittura di angoscia, in cui sento di
precipitare se intraprendo questo percorso, quello cioè di voler comprendere in
tutto e per tutto la storia raccontata, di cercare di penetrare nella mente di
un personaggio che ha dalla sua la depressione, come una corazza dentro cui
rifugiarsi, senza accorgersi, oppure disinteressandosi completamente, di come
nel frattempo gira il mondo.
Sono disposto ad accettare tutto? Parlo delle regole del
gioco, quello che si svolge nella stanza di un eventuale psicoterapeuta. Sono
pronto a raccontare tutto, ma proprio tutto di me, ad una persona sconosciuta,
una con cui, sia pur a fatica, col tempo potrebbe instaurarsi un certo tipo di
rapporto?
Potrei cominciare a farlo scrivendo, raccontandomi, pur non
avendo delle linee guida da seguire. Immagino di trovarmi di fronte a questo
professionista. Per l’occasione si tratta di una donna. Non conosco il suo
volto. Mai vista. Neanche in foto. Cosa mai vorrà sapere di me? Quante volte
scopo in una settimana, o al mese? Lo so, sono tutte storie di sesso quelle che
cercano questi tipi. Gira e rigira tutto va a finire là, è risaputo.
Ed io, da questo punto di vista non è che avrei molto da
raccontare. Che fare allora? Ce ne staremmo zitti a guardarci l’un l’altra per
tutto il tempo? E dovrei pure fingere di essere soddisfatto quando, alla fine
della seduta, mi toccherebbe tirare fuori i soldi? Con me queste cose non
funzionano, lo so già, non servono a guarirmi perché, se pure dopo un po’ di tempo
dovesse arrivare qualche successo, cioè qualche miglioramento, penso che la
cosa non potrebbe continuare per molto proprio a causa di quel gesto che mi farebbe
attorcigliare le budella e venire un tale mal di testa che poi ci metterebbe un
bel po’ prima di dileguarsi e scomparire del tutto.
Il gesto, tanto per essere chiaro, è quello di tirare fuori
i soldi dal portafogli per pagare quella maledetta sanguisuga, e per di più
doverla anche ringraziare con un finto sorriso che mi fa crescere una rabbia
dentro che la ammazzerei seduta stante.
Potrà anche darsi che questi appuntamenti apportino qualche
progresso nella cura della mia malattia mentale ma chissà quante dosi di
gastrite o di chissà quale altra diavoleria nel frattempo mi sarò beccato a
forza di buttare così i miei soldi.
Ma, è bene che lo sappia, non è solo la storia delle piante
e dei nomi latini che mi innervosisce. Non sopporto che, secondo lei, secondo
la tipa che racconta, uno debba sapere cosa sia o cosa si impari in un corso di
EMDR. Non l’ho saputo fino ad oggi e penso di poter continuare tranquillamente
a vivere ignorando cosa si nasconde dietro questa sigla. Non sarà mica la
chiave di lettura dell’intero testo?
Io, comunque, vado avanti lo stesso. Casomai, se ad un certo
punto dovessi rendermi conto che sarà fondamentale conoscere il significato di
quell'acronimo per riuscire a capire la storia, vorrà dire che chiederò lumi a
Google.
Per adesso, tra piante dai nomi astrusi e sibillini e questo
misterioso EMDR, ce n’è abbastanza per indispettirmi ed è già tanto che non abbia
afferrato il libro e non l’abbia scagliato dritto dentro il secchio
dell’immondizia.
Ma sto esagerando, stai tranquilla, cara la mia autrice, non
lo farei con nessun libro. Buttare libri è un delitto, figuriamoci se lo faccio
col tuo. Solo, cercherò di proseguire in qualche modo, perché sono ore che non
riesco a smuovermi dal primo capitolo, che poi non è nemmeno un capitolo, ma
insomma, intendo dire dalle primissime pagine.
(continua)
Marta Zura-Puntaroni
GRANDE ERA ONIRICA
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