Giorni di isolamento forzato. Ma non è vero, non esattamente così. Son giorni in cui incontro tante persone. In realtà personaggi, ma va bene lo stesso. I tanti personaggi sono per lo più racchiusi in un unico individuo, che poi sarei io. Poi, certo, ci sono anche gli altri, ma forse anche negli altri quasi sempre e solo io.
Capito, quindi, che questo non può essere isolamento? C’è di buono, e mi ritengo un po’ fortunato, che almeno non c’è rischio di qualche contagio,
I personaggi appartengono quasi tutti al passato, ormai. Ed anche ai sogni, ma quelli mi capita spesso di perderli. A volte riappaiono, anche dopo tanto tempo. Ma a quel punto non so più dire se li ho incontrati nel sogno o altrove.
Ma, ai fini che mi propongo, questo dettaglio ha poca importanza. Già, ma cosa mi propongo, allora? Anche questo fa parte di un mistero che non so decifrare, e comunque, non così paralizzante da indurmi a non scrivere.
Per tutto questo dovrei essere felice. Ma forse non è così, oppure non so cos'è la felicità. Già, perché sono tante le cose che ignoro. Mi rivolgo al passato ed ecco, non so, pronta l’ignoranza si palesa in tutta la sua magnificenza. Subito, cioè, a chiedermi chi sono stato e, come sempre, a non trovare risposte. E poi, anche la paura, che non so da dove proviene, ma c’è sempre.
Ormai me la tengo così com'è, e voglio scrivere lo stesso, sono abituato da un po’, non mi faccio più problemi, e visto che, vivere devo vivere, almeno questo tempo lo occupo con ciò che più mi piace fare, non dico con ciò che più so fare, perché sarebbe un azzardo e comunque, scrivo, sempre qualcosa, soprattutto quando mi appresto a leggere un libro.
Non che le cose che scrivo abbiano a che fare con ciò che leggo. Non necessariamente, o forse, in qualche modo sono condizionate. È col passato e con l’immediato presente che interagisco, non sapendo in anticipo cosa ne verrà fuori. Lo accetto comunque, ed anche questo è un modo per conoscermi meglio, la strada per scavare dentro me a scoprire aspetti che non immaginavo di possedere. Per questo dico che cambiamo momento dopo momento e abbiamo a che fare con un essere ogni volta diverso. Piaccia o non piaccia è questo il succo dell’esistenza.
Non che la consapevolezza a cui sono giunto mi fornisca il giusto ottimismo per continuare a vivere, però, vivere devo vivere, e poi si vedrà. Se qualcuno mi chiedesse cosa mi aspetto, non ho certezze di niente, e forse è meglio così, anche se la risposta non mi soddisferebbe.
Non posso saperlo in anticipo, cioè, non voglio. Mi lascio andare all'immaginazione, sia pur scarsa, per provare a valicarne i limiti. Solo così potrò ritornare in me stesso. Ritornando, cioè, a me stesso, a quello che sono stato, o avrei voluto.
Tanto, ormai non c’è più quello che ero. Ogni giorno muto, ogni momento soggetto a cambiamenti che, per fortuna, non so gestire né prevedere, tantomeno programmare.
L’angoscia è quella del tempo, o del poco tempo, e non sapere cosa fare, da dove cominciare, e la vulnerabilità cui sono soggetto quando volgo lo sguardo all'indietro. Mi muovo entro spazi ristretti, angusti, ed anche con molto disagio, per la mancanza di appigli. Giusto qualcosa, ma non ricordo bene che cosa.
L’ultima volta, ad esempio, che ho fatto del sesso. Non ne ho più memoria e questo oblio mi persuade che non ci saranno occasioni per interrompere questa astinenza che, a questo punto, potrò dichiarare ufficiale, nonché permanente.
Un’ennesima data perduta, solo perché non potevo immaginare fosse l’ultima. Con i pensieri è successo ancora, ma non è propriamente lo stesso, se ricordo bene. Conservo una rimembranza lontana e per lo più confusa, per nulla chiara, ma non so se era questo il ricordo che aspettavo. In ogni caso è stato così e faccio finta di niente, come se appartenesse ad un mondo non mio.
Quando un episodio può essere considerato ormai definitivamente lasciato alle spalle? Può darsi che di tanto in tanto riesca ancora ad affondare i denti nei garretti, sembra qualcosa di innocuo, un solletico che presto scompare, salvo poi a ritornare quando meno si aspetta, quando si pensava scomparso in una foschia indistinta, una nebbia da lupa incorporea che acceca.
Quel piccolo segno è ancora visibile, e forse anche immodificabile. Ma che importa? Vai avanti lo stesso dopo aver condiviso un tratto di cammino, un passaggio obbligato, così appariva. Ora è altra cosa, ma quel segno ancora oggi mi spinge a pensare lo sviluppo possibile, ma non sembra più così facile l’azzardo, non sempre si palesa reale, e il duro lavoro serve anche a questo.
Sembra che non possa non occuparmi di quello che sta succedendo in questi giorni, dopo tutto non sono ancora fuori dal mondo. Il ritorno al passato è una fuga che spossa. Sento il passare dei giorni come un’eco lontana, ogni tanto qualcuno scompare, perso per sempre, oppure ritorna, ma è ormai cosa morta. Ha solo lasciato una piccola traccia che a fatica mi appresto a carpire e a capire. Più spesso non rimane granché.
Quindi, questa perdita di ore, di giorni, non pare pesarmi, qua e là un din don di campane, un brusio che disturba la quiete di una domenica come un giorno qualunque.
Non è facile assecondare il ritmo di tali giornate quando invece potrei vivere d’altro. Le alternative non appaiono certe ma almeno un’idea ce l’avrei, un fastidio che occupa spazi chiusi dentro me, un tarlo distante che a riprese ritorna, come a dirmi, Non hai voluto, Non hai osato andare più in là, bloccato da ignote paure, e adesso il rimpianto, o è rimorso?, mi stritola il cuore.
Eccomi dunque disperso nella crudele flagranza di ricordi che non so se potrò più tralasciare, la vita che si ripresenta a piccole dosi, ma sì, certo, certissimo, resteranno ancora nella memoria, per sempre, con tutti i freni che mi hanno trattenuto dal …, ma perché ricordare ancora le età perdute, e le conseguenze mancate?
Nessun commento:
Posta un commento