Lettori fissi

martedì 10 giugno 2025

Tango a Porto




Grazie a Stefano Ventisette che ha letto Tango a Porto. Ecco cosa ne pensa. 

Ho avuto il piacere, su segnalazione dell’amico Pasquale De Luca, di leggere e partecipare alla presentazione fiorentina, a fine maggio, del libro Tango a Porto (QED 2025) di Antonio Danise. 
Riporto qui le mie sensazioni e impressioni ricevute dall’interessante lettura del testo in questione. 

Si tratta di un romanzo né tradizionale, né scontato, ma dalla struttura evocativa continua e fluttuante, sorretta da una prosa originale con una costante cadenza ritmica che si evolve e si ritrae, si eleva per poi ridiscendere, senza mai tradire l’intento originario dell’autore. 
È difficile imbattersi in un romanzo così concepito e così ben amalgamato; romanzo breve e per questo fruibile in poche ore di lettura, ma che cattura il lettore e lo conduce nei labirinti mentali dell’autore. 
Che poi, rappresentano le congetture quotidiane ed eterne di gran parte degli esseri umani: non c’è forse un flusso di coscienza (almeno per noi occidentali) che ci accompagna quotidianamente? Pensieri talvolta confusi, talaltra troppo sofisticati, ora banali, e dopo filosofici. 
Ma è la colonna sonora interiore che accompagna il nostro peregrinare alla ricerca di quiete e speranza che tardano ad arrivare, lasciandoci troppo spesso in una dimensione di attesa (di che cosa, poi?) che ci catapulta nuovamente nella tragica condizione di errabondi. 
Antonio Danise ha il coraggio, la bravura, con la libertà che si auto concede, di mettere a nudo la sua esperienza di vita letteraria che può anche coincidere con quella reale, ma al lettore poco importa se così è, perché si riconosce nel tormento che emerge pagina dopo pagina, nel rovello interiore che coinvolge e assurge a sfondo della storia narrata e, in parallelo, fatta propria dal lettore. 
Non un’esaltazione dell’ego o del narcisismo, ma rispetto per il lettore, coinvolto direttamente nel resoconto-narrazione. Così, la difficoltà a ricomporre la vita in periodi temporali, stagioni, passaggi, cicli (pag. 19), diventa pensiero comune, da condividere; e una cesura improvvisa nel racconto, insieme a un soprassalto imprevisto (Pag. 20): “Adesso che è tutto finito e si entra in un’altra dimensione”, ci riportano alla necessità di ricominciare, ripartire per un altro pensiero… 
Un autobiografismo portato alle estreme conseguenze, senza mai (o quasi mai) pronunciare la parola “io”. Una trama che è un pretesto, come in Annie Ernaux ne Gli anni. 
Nel momento in cui, come quello attuale, i segreti dovrebbero essere importanti, per gli individui, e la propria interiorità da custodire altrettanto gelosamente, rivelare e rivelarsi è diventato quasi un hobby. Questo principio non vale per gli scrittori, perché hanno il privilegio di rendere pubblica tutta l’interiorità che vogliono per interposta persona. Così sembra fare Danise con il suo Tango a Porto, di cui va sottolineato il coraggio, la temerarietà nello scrivere una storia che si presenta, a mio avviso, come una malcelata autobiografia interiore. Anzi, una autotoanalisi spietata. Con linguaggio sicuro, colto, dal taglio minuzioso. Con l’unica finalità di cesellare e sperimentare la fluidità di cui sopra, permettendosi, Danise, cesure improvvise per evocare un evento importante con una frase breve, lapidaria (Pag. 60), o ancora fughe, “la vera vita è sogno e follia”, “perdersi e ritrovarsi, nulla è definito” (pag. 80)”, portando il lettore sul piano del sogno, della dimenticanza, della seconda o terza vita che la letteratura offre a entrambi: scrittore e lettore, appunto. 
Questa sequenza di piani diversi, utilizzati con padronanza e sapienza, conferiscono, a mio avviso, ancora più forza al romanzo di Antonio Danise, al punto di indurre il lettore a imboccare altre vie interpretative, compresa quella che potrebbe definire il romanzo anche la storia di una nevrosi, dove la voce narrante, senza remore, mette a nudo la propria mente e la propria anima. Anzi, la consapevolezza del raccontare, in forma di confessione, porta Danise a far cadere i freni inibitori, per far conoscere le parti più recondite dell’esistere, del soffrire e, infine, del gioire. 
Una bella, continua alternanza fra sogno e realtà, verità e finzione, furti di identità, ambizioni, cadute, desideri, appagamenti e ritorno ai dubbi di sempre. 
Letteratura e scrittura come salvezza, rifugio che possono anche trasformarsi in nevrosi, paranoia, ossessione. La letteratura, in fondo, non è anche un pretesto per assicurarsi più vite, sicuramente migliori, più soddisfacenti? Per assicurarsi, pure, più vie di fuga, fino a una salvifica uscita di sicurezza?
Riguardo a questo aspetto ho trovato molte affinità con Cabala bianca di Gian Dauli (romanzo del 1944,) dove, certo con prosa più leggera e disincantata, si narra “la giornata di un uomo qualunque che confonde la vita reale con il mondo dei sogni, senza rispettare il naturale alternarsi del sonno e della veglia, mescolando la propria esperienza notturna e diurna…”. Sono i temi a cui accennavo prima, a cui aggiungerei, a sostegno di una ulteriore prova di coraggio dell’autore, il momento in cui Danise (pagina 30) fa precipitare l’autostima dell’io narrante al grado zero, quando lo fa riflettere sul suo “non vivere”… Ma è sempre un filo invisibile, seppur tenace, che sorregge la lunga autoanalisi di Danise, il dispiegarsi dei pensieri, delle fughe mentali, dei sogni, della malattia, dei “Piccoli equivoci senza importanza”. 
Con una incisiva impostazione in forma di poema, piuttosto che di romanzo tradizionale, dove le varie e alterne strutture narrative sorreggono il testo, trattenendolo e liberandolo in quell’area di tregua e di ripresa ossessiva del pensiero che macina parole, ricordi, sprazzi di luce, il buio del dolore, il testo procede col suo ritmo incalzante. 
Insomma, una bella scommessa. Che Antonio Danise ha saputo accettare e vincere con strumenti narrativi ben maneggiati e altrettanto ben offerti al lettore. 

Antonio Danise - Tango a Porto - Qed

giovedì 29 maggio 2025

Tango a Porto

video della presentazione di Tango a Porto https://youtu.be/WW_5jhaBsoI?feature=shared

sabato 10 maggio 2025

Tango a Porto

Grazie a Gianni Barone che ha letto Tango a Porto, edizioni Qed, e ne ha scritto in questi termini.
Antonio Danise, Tango a Porto, Qed 2025.
Conosco almeno una decina di scrittori che apprezzerebbero molto questo breve romanzo di Danise. Uno fra tutti, l'argentino Fernando Bermúdez. E conosco anche tantissimi lettori che ne rimarrebbero estasiati, quei lettori che cercano nei libri interrogativi, riflessioni sui flussi del destino, sul senso della vita, sulle strategie delle trame, sulla dialettica realtà / immaginazione, e soprattutto cercano valore letterario.
"Tango a Porto", oltre a rispondere a precisi canoni della letteratura ( monologo interiore, intertestualità, citazionismo, metanarrazione) è figura simbolica anche di certe funzioni dell'ottica. Il libro è come uno specchio che riflette altri libri, sia quello di Lobo Antunes che fa da spunto alla narrazione, sia un romanzo precedente di Danise, "La signorina Maria", una sorta di interfaccia, con la figura femminile di Sofia di questo romanzo che esisteva già nel precedente nelle ossessioni erotiche che girano nella mente del narratore come un nastro di Moebius. Ma è anche uno specchio che riflette il mero atto di scrivere di Danise, come se l'autore stesse scrivendo su una superficie riflettente e osservasse, staccata da sé, la propria scrittura nell'atto stesso dello scrivere. È chiaro che il flusso mentale si moltiplica per gemmazione, si creano divagazioni ma allo stesso tempo vengono tenute sotto controllo. La scrittura di Danise è come un fiume, spesso ci sono macigni (ossessioni, psicosi, sensi di colpa) che ostacolano il fluire; si creano allora dei flussi laterali che poi si ricompongono in un andare e venire della scrittura, in un allontanarsi dal tema centrale e a un ricongiungersi. Tutto si tiene in questo breve ma denso romanzo, tutto confluisce: libri, autori, personaggi di libri, memorie, storie, altri libri dello stesso autore. Vi troviamo il rimosso che riaffiora, ma ancora non del tutto messo a nudo. Le realtà vengono a volte travisate a seguito di specchi deformanti o di ottiche che non riescono o non vogliono mettere perfettamente a fuoco; c'è un gioco continuo tra verità e finzione, tra realtà e immaginazione. 
Ma il miracolo di Tango a Porto, in questo panorama di iperletterarietà, è che non troveremo  nessuna esibizione, nessun esercizio di stile, nessun freddo né calcolato espediente tecnico. L'abilità, il talento autoriale di Danise, risiede nell'usare la scrittura come un flusso di pensieri che ha precedenti colti nella nostra letteratura novecentesca. La trama, anche se è un pretesto per l'interessante congegno letterario costruito da Danise, è assolutamente accattivante e ricca di richiami per chi ama il Portogallo, la letteratura e i luoghi di quel paese.
"Tango a Porto" è stato senza ombra di dubbio uno dei più stimolanti romanzi che io abbia letto in questa parte dall'anno, e voglio ancora una volta rendere  merito alla casa editrice Qed per le capacità di saper intercettare e proporre ai lettori opere e autori di sicuro valore.

venerdì 9 maggio 2025

Tango a Porto

In occasione dell'uscita del mio nuovo libro, dal titolo Tango a Porto per le edizioni Qed, pubblico una lettura dell'amico Pasquale De Luca.

Finalmente ci siamo, da domani 9 Maggio “Tango a Porto” di Antonio Danise (Qed Edizioni, 2025) sarà in libreria e sugli store online. È un romanzo bellissimo che ho avuto il privilegio di leggere in fase di valutazione per conto dell’editore, cogliendone fin da subito il potenziale e la forza. È un romanzo breve, narrato in prima persona dal protagonista, un uomo di mezza età, in preda a una conclamata crisi esistenziale dovuta alla sua non risolta realizzazione personale e ai problemi di salute della moglie. Esperto di letteratura portoghese, riceve l’invito a tenere una relazione in occasione di un convegno di studi che avrà luogo a Porto. Decide che parlerà del romanzo “A morte de Carlos Gardel” di António Lobo Antunes, autore che predilige.
   Arrivato a Porto, l’incontro con Sofia – la donna che gli affitterà l’alloggio per la settimana del convegno - suscita immediatamente nel protagonista una forte attrazione fisica e mentale. Questi sette giorni sono dominati dalla figura di Sofia, mentre il convegno sulla letteratura portoghese rimane sullo sfondo. Rientrato a casa, il narratore non fa che pensare alla donna portoghese e prova l’intenso desiderio di scrivere un romanzo su di lei, con la convinzione che scrivendone, e solo scrivendone, quell’esperienza sopravviverà. Ma in realtà quello che aumenta e si consolida nel suo animo è la confusione fra il ricordo reale e la reinvenzione dei fatti e delle persone che la sua mente va elaborando, con l’inevitabile conseguenza che il turbamento interiore finisce per ricondurlo, come a chiusura di un percorso circolare, allo stato di infelicità e impotenza esistenziale di cui era prigioniero prima del soggiorno a Porto.
   Sofia è entrata prepotentemente nella testa del protagonista ed è oramai diventata una vera e propria ossessione. Lui avrebbe bisogno di parlare, di sfogarsi, di confidare i suoi problemi esistenziali – la moglie malata, l’incapacità di fare scelte e mettere costanza e tenacia nelle cose – ma non ha nessuno con cui aprirsi. Vorrebbe scrivere in modo organico una storia intorno alla settimana trascorsa a Porto ma non si sente pronto, non ha le idee chiare. Allora si mette a raccontare solo di Sofia, di come l’ha conosciuta, di quello che c’è (o sogna che ci sia) stato fra di loro. E lo fa navigando fra verità e immaginazione, coinvolge nel gioco il lettore e mischia le carte rendendo suggestivamente incerto se stia raccontando la vera storia di quei sette giorni a Porto con Sofia oppure se la stia reinventando. 
   In “A morte de Carlos Gardel”, il romanzo di António Lobo Antunes di cui l’io narrante ha parlato al convegno letterario a Porto, domina il tango perché il protagonista Alvaro è un uomo infelice (abbandonato dalla moglie, non amato dal figlio, si isola dal mondo ed è) ossessionato dalla musica di Carlos Gardel, grande compositore e cantante di tango. A dispetto del titolo, invece, in “Tango a Porto” la musica che domina non è il tango bensì il fado. Non che se ne parli espressamente nel testo, intendiamoci, ma le pagine dalla prima all’ultima trasudano saudade (di cui il fado è l’espressione musicale suprema), quel sentimento difficile da poter definire, ma che sicuramente include in dosi variabili il rimpianto, la malinconia, la nostalgia, il desiderio di ciò che non c’è (più), lo struggimento per l’assenza. Del resto l’io narrante di “Tango a Porto” ad un certo punto evoca apertamente una “atroce saudade che paralizza la mia esistenza quando penso a lei, a Porto, al portoghese, che amavo ascoltare quando giravo per la città!”. Ma non c’è alcuna contrapposizione fra il tango del titolo e il fado che risuona nel testo, perché l’autore riesce a far convivere l’intensa passionalità del tango e la struggente malinconia del fado.
   Quello che maggiormente determina la qualità letteraria di questo pregevole romanzo di Antonio Danise è la cifra stilistica, una scrittura avvolgente, connotata da un monologo interiore accorato, a tratti straripante, alternato a pagine di narrazione più agile e veloce. Uno stile efficace e suggestivo che a momenti si fa vero e proprio flusso di coscienza che scorre come un torrente in piena e la scrittura spalanca al lettore la porta d’accesso ai processi interiori dell’io narrante, denotando una forza introspettiva che rimanda a “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Ma è soprattutto a un altro autore che la lettura di “Tango a Porto” mi ha fatto pensare, a Giuseppe Berto e alle poderose pagine de “Il male oscuro”. Non tanto per l’assonanza, a tratti sorprendente, del monologo interiore – che è e resta pur sempre una tecnica di scrittura – e nemmeno per la cauta allusione alla funzione terapeutica della scrittura (“Tango a Porto” non evoca alcuna nevrosi né la “lunga lotta col padre” che segna il capolavoro di Berto), quanto per l’intensità emotiva dell’atmosfera, uno spleen assai ben rappresentato che riesce a stabilire fin dalla prima pagina una relazione empatica con il lettore.
   L’analisi del mondo interiore del protagonista (sogni, ricordi, frustrazioni, rimpianti, rimorsi, sensi di colpa e di inadeguatezza) prevale sulla narrazione di azioni ed eventi, i luoghi e le descrizioni appaiono specchi dei suoi tormenti interiori e questo fa sì che “Tango a Porto” possa a buon diritto essere considerato un romanzo psicologico, di cifra marcatamente intimista.
   Un romanzo che consiglio a tutte/i coloro che amano la buona letteratura.

domenica 30 marzo 2025

Fiquem atentos

 


A breve si danza.

mercoledì 12 febbraio 2025

Se camminare fa troppo rumore

Un romanzo che ho amato come non mi succedeva da un po'. Intanto perché è scritto molto bene, che poi è ciò che più importa in questo campo. 
Non proseguo nella lettura perché voglio sapere come finisce la storia. O non solo. Continuo perché mi piace come scrive Giusi D'Urso, una scrittura a tratti poetica, soprattutto quando ci sono di mezzo i ricordi. 
(A proposito, leggetelo fino alla fine, scoprirete sorprese davvero inaspettate.)
Ho apprezzato, fra altre cose, la gestione della memoria, dei ricordi di un passato più o meno lontano, che si intrecciano di continuo col presente, e con la prospettiva di una svolta nella vita della protagonista che sembra sempre sul punto di arrivare, sotto forma di speranza di un miglioramento delle condizioni di vita, non solo dal punto di vista economico, di una serenità a lungo agognata, di una chiarezza nella propria vita, nelle relazioni con le persone conosciute ma anche con i nuovi incontri. 
È un raccontare, quello di Sofia, la protagonista, senza raccontare, che sembra scaturire spontaneamente al solo lasciarsi andare ai ricordi. 
È una confessione necessaria che si costruisce da sola.
"Perché le storie vanno pur raccontate a qualcuno", e io mi considero fortunato ad aver letto questa storia.
Se camminare fa troppo rumore è scritto molto bene e con una storia che stimola la lettura.
Grazie Giusi. 
Grazie a Il ramo e la foglia per la cura dell'edizione. 
(Ma quanto sono belli i libri di questa casa editrice?)

Giusi D'Urso 
Se camminare fa troppo rumore
Il ramo e la foglia edizioni