Voleva capire
cosa gli riservava il futuro ma nel momento stesso in cui lo pensava si domandava
cos’era il futuro. E se poteva dominarlo, esserne padrone, almeno del suo,
oppure se doveva scoprirlo come una cosa già scritta e riposta in qualche
angolo di mondo, un anfratto nascosto oppure tutto alla luce del sole, era là,
davanti ai suoi occhi e non era in grado di percepirlo, di vederlo, ne ignorava
addirittura l’esistenza, la possibilità stessa di incontrarlo, così come si
incontra per caso una signora, in attesa del tram, o al lavoro, in ospedale,
ognuno con una storia diversa, ognuno con un proprio futuro da scoprire o verso
cui andare incontro, come fosse un destino già scritto.
Adesso il suo
presente erano le persone che gli riversavano addosso i loro problemi. Tutti i
giorni a ricevere le lamentele di gente a cui dare una spiegazione o una
speranza, malati terminali che si rivolgevano ad un medico fidato per una
parola di conforto, o complessati che volevano scaricare su di lui le loro
turbe, i turbamenti, avevano bisogno di un assistente sociale, di uno
psicologo, di un consulente, un amico cui confidare paure o segreti, un prete
cui confessare i peccati, invidie, gelosie, tradimenti, uno stregone, un
esorcista, un curandero, qualsiasi
cosa tranne quello per cui lui era là.
Immaginò le
storie che stavano per raccontare quelle persone disperate. Immaginò che poteva
partire da lì per scrivere il libro che aveva in mente ormai da tanto tempo.
Storie di tutti i giorni, non di quelle ricche di particolari che descrivono le
loro esistenze, segno per segno. Piene di circostanze curiose, ambigue anche,
che presuppongono conclusioni a lieto fine, oppure no, disgrazie, lutti,
disperazioni, fallimenti, casi tragici, che si trovava ad annotare nei verbali,
nei registri che riempivano gli scaffali, nelle cartelle che componevano e
costituivano la biografia di un mondo in lenta decomposizione ed allo stesso
tempo in inevitabile costruzione, storie destinate ad una qualche conclusione,
che non sempre però coincideva con la parola fine.
A volte i
personaggi dopo tanto tribolare si perdevano per strada, incrociavano un
destino non degno di essere raccontato, andavano incontro ad una fine
prematura, una fine senza finale, un finale che non li riguardava, che
apparteneva ad altri. Loro si erano fermati prima, un fulmine in pieno giorno,
col sole, oppure una tromba d’aria a recidere il filo della vita, un incidente
stradale a stroncare l’esistenza, un evento radicale a sconvolgere l’ordine
delle cose e tutto finisce.
Il dialogo era
già pronto, tutto chiaro.
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