Pensavo a tutte le cose che mi erano state rinfacciate negli
ultimi tempi, l’incomprensibile indolenza, non aver preso mai una volta l’iniziativa,
mai avanzato una proposta, e tutto il resto, e mi chiedevo se era davvero così.
Ma non subito. Sul momento recepivo passivamente quelle
frasi, come invettive a cui dovevo solo opporre una qualche difesa e la mia
arma più poderosa era il silenzio, abbozzare, senza pronunciare una parola,
tutto quello che mi veniva buttato addosso. Era dopo, più tardi, anche dopo
giorni, che quelle cose ritornavano, diventavano mie, dopo che le avevo
assorbite e pian piano cominciavano a far parte del mio corpo, sotto forma di
dolori, di mal di testa che mi tormentavano fin dal mattino, e allora intuivo che
quello era il segnale, capivo che era arrivato il momento di rivedere ciò che era
stata la mia vita, ma soprattutto quello che non era stata, e non solo negli
ultimi giorni.
A ripensarci, a rivedere quei momenti, mi sembra che tutto
sia stato solo un sopravvivere, un tirare a campare, senza coscienza di quello
che andavo facendo, senza immaginare minimamente cosa poteva essere il tempo
che avevo davanti, che però non sapevo quanto era grande, quanto esteso, o se
realmente vissuto.
I giorni che avevo davanti, libero per quasi un mese da
impegni, sarebbero stati almeno fruttuosi?
Camminare per le strade della città, fare due passi
all’aperto, un giro nel parco, arrivare fino al fiume, soffermarmi sul ponte,
che vorrei attraversare, per abbracciare una nuova avventura o anche solo una
semplice.
Mi sedetti su una panchina all’ombra di un albero, un
pioppo, o un platano, oppure un tiglio, dal tronco grosso, largo, irregolare,
in parte scorticato, dalla chioma larga, le foglie che cominciavano a disperdersi
distribuite qua e là senza ordine sul prato, di sfumature diverse di un verdone
che sfociava verso il grigio e poi appassiva nelle varie tonalità di ocra e poi
marrone, più chiaro o più intenso, ma forse appartenevano ad un altro albero,
una betulla, tirai fuori il libro che avevo cominciato a leggere, dallo
zainetto verde, che ormai si era scolorito come i tanti anni in cui l’avevo
portato addosso, scorsi le pagine fino a ritrovare il punto in cui ero arrivato
il giorno prima, ma non era all’inizio? Non ricordavo niente, e ogni volta
ricominciavo daccapo, perché non ero interessato alla storia, mi piaceva di più
ritrovare quello stile di scrittura che mi lasciava senza fiato, la descrizione
che non lasciava spazio ad altre fantasie che non quelle descritte, così mi
sembrava, salvo a ricredermi la volta successiva, quando riaprivo il libro
ricominciando dalle prime pagine, ritrovandovi un mondo diverso, a volte
completamente diverso, da quello che avevo conosciuto nelle letture precedenti.
E questo, nonostante ogni volta mi immergessi completamente
nella storia narrata, fino ad immaginare di essere io stesso a vivere quelle
esperienze, al punto di credere di essere il protagonista, il personaggio più
importante, fondamentale allo scorrere degli eventi, senza la mia presenza
nulla poteva esistere. Erano queste le occasioni in cui rinascevo. Ogni volta
ero una persona nuova, dimenticavo quello che ero stato, cancellato definitivamente,
per ricominciare un’altra esperienza, un nuovo essere agiva in me, ma non
sapevo se ancora ristagnavano i tanti passati a torturarmi la nuova esistenza,
qualche particola che si era fissata con l’intento di ricreare il corpo, o
meglio lo spirito, di ciò che speravo di essermi lasciato per sempre alle
spalle.
Quante volte mi sono chiesto chi ero, perché ero arrivato
alla conclusione che di me sapevo abbastanza poco, forse a causa delle continue
metamorfosi che si attuavano ogni volta che cominciavo a leggere un nuovo
romanzo, quante volte mi sono perso dietro ai tentativi di conoscermi meglio,
risultato che pensavo di poter ottenere dalla comprensione di un testo, per
quanto difficile potesse essere, quando non addirittura dalla semplice lettura
di un libro, lo chiudevo definitivamente, lo riponevo da parte, e quello
rappresentava un altro passo verso la conoscenza di me stesso. Illusioni,
nient’altro che stupide illusioni.
Io mi ero figurato altre cose, mi aspettavo altro dalla
vita, mi ero illuso di poter rinascere, forse persino risorgere, che era
sufficiente un semplice sforzo di volontà, uno schiocco delle dita ed il mondo
ruotava a mio piacimento.
C’era qualcosa che non andava, e che non avevo preso nella
dovuta considerazione. Che c’è una vita sola l’ho capito tardi, e non ho più
tempo per rimediare a questa disattenzione, a questa grave distrazione, a
questo abbaglio tremendo.
Di affrontare il tutto come se non esistessi solo io al
mondo, come se non fossi il centro dell’universo, come se oltre me non ci fosse
qualcuno o qualcosa che non ero mai arrivato a concepire, adesso, dopo anni di
chiusura, di solitudine, di pensieri vuoti, adesso diventava davvero difficile.
Era necessario uno sforzo che non pensavo di essere in grado di esercitare, un
impegno che non potevo affrontare, un’energia che non ero capace di tirare
fuori, troppo svuotato e rinsecchito dai torbidi pensieri in cui mi ero
trascinato per anni.
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