Lettori fissi

sabato 23 novembre 2024

Leggere

Anch’io ho il mio luogo di elezione per la lettura. Si tratta di un divano, più esattamente di un angolo del divano, che favorisce la concentrazione e dove mi rannicchio quando voglio leggere. 
Ho bisogno di molto silenzio per leggere. Se c’è qualcuno che parla, se c’è un televisore acceso o se ci sono rumori in giro, in casa e fuori, non riesco proprio a leggere. Il divano meglio se comodo, ma anche se non lo è col tempo trovo la posizione ideale. Importante è anche che ci sia un bracciolo largo, per appoggiarvi un quaderno e prendere appunti. Durante la lettura scrivo lasciandomi ispirare da ciò che leggo. Le due attività per me sono strettamente connesse e pressoché inscindibili. 
È per questo, proprio perché ho bisogno di silenzio, che non leggo quando viaggio, che sia in aereo, in treno o in autobus. Non sopporto il parlottio di sottofondo degli altri viaggiatori e soprattutto il chiocciare delle voci degli speaker che danno informazioni sulle stazioni di arrivo e di partenza dei treni. Non parliamo poi delle istruzioni impartite sugli aerei.
A letto, prima di addormentarmi, non riesco a leggere, semplicemente perché mi corico quando non ce la faccio più a stare in piedi o con gli occhi aperti. Lo stesso in bagno. Non ho bisogno di ispirazioni per evacuare. Ci vado solo quando lo stimolo per farlo è abbastanza maturo e ci resto il tempo strettamente necessario per le operazioni del caso.
Devo alla varicella, e alla lunga successiva convalescenza, il mio approccio a Proust e alla Recherche, con precisione al primo e a parte del secondo volume. Solo l’idea di un lungo periodo di assenza dal lavoro e di reclusione forzata poteva farmi affrontare un’opera così imponente, e non solo dal punto di vista del numero di pagine. Una volta guarito dalla malattia ho messo da parte i volumi dell’autore francese e solo di rado ho ripreso qualche pagina.
Quanto alle onde del mare, per me sono state da sempre fonti di ispirazioni per prose più o meno spontanee. Resto ancora oggi incantato dal suono, dal fragore, dal rumore, dalle voci delle onde, che passano dal mare, o dall’oceano, direttamente a me. 
Ho ricordo di antiche letture, Big Sur, un romanzo di Kerouac, e dei versi alla fine del libro, in cui lo scrittore americano si lasciava incantare e ispirare dai suoni dell’oceano, che ha trasformato nel poema Mare - Suoni dell’Oceano Pacifico a Big Sur.
Considerando i libri ordinatamente esposti nei ripiani delle librerie di casa potrei leggere per decenni ancora. Non solo i libri comprati da poco, anche quelli comprati da più tempo, mai letti, o che ho letto e che non ricordo più nemmeno di possedere o di avere letto. 
A volte mi viene da pensare che bastano pochi libri per garantirmi anni di letture perché un libro non si finisce mai di leggere, perché quando si rilegge siamo cambiati rispetto al tempo della prima lettura e riusciamo a cogliere aspetti diversi del testo, e perché comunque se si tratta di un buon libro avrà sempre qualcosa di nuovo da dirci e da darci.
Dico che i libri sono ordinati ma si tratta di un ordine variabile. Mi diverto di tanto in tanto a cambiarne la disposizione nelle mensole, ad esempio a seconda del luogo di origine degli autori, o a volte anche in base al genere degli autori. Così, riordinando i libri, mi capita di sistemare quelli di autori italiani su uno o più ripiani, e quelli di autrici italiane su altri. Lo stesso vale per scrittori di altri paesi. Sui ripiani più alti o su quelli più spessi ripongo libri d’arte, oppure enciclopedie, o atlanti, ma anche dizionari o grossi tomi.
A volte dentro i libri ritrovo degli appunti solitamente vergati a matita. Non mi piace lasciare tracce di penna sulle pagine dei libri. E ultimamente non sottolineo nemmeno passaggi per me significativi. Piuttosto prendo nota nel quaderno di cui sopra, oppure scrivo a penna degli appunti su un foglio di carta che poi lascio tra le pagine. 
Un modo che mi consente di tener conto di una cronologia dei libri comprati è scrivere, sempre a matita, sul frontespizio, la data di acquisto del libro, e a volte anche il luogo.
Conservo anche una consistente raccolta di segnalibri, di tutti i tipi, materiali e luoghi di provenienza che però non sempre assolvono al compito per cui sono stati concepiti. Non sempre, cioè, li uso per tenere traccia della pagina in cui sono arrivato nella lettura. Anche perché una volta finito di leggere un libro, il segnalibro non serve più e allora, in questo caso, li conservo in delle scatole appositamente comprate. 
Uso i segnalibri perché non mi piace fare le orecchie ai libri. Sarebbe come infliggere una ferita alle pagine e per me un libro è una cosa viva, e in quanto tale non deve soffrire nemmeno una piccola scalfittura. 
A volte tra le pagine ritrovo delle foglie o dei fiori schiacciati.  
Quando prendo un libro tra le mani può succedere che ritrovi anche l’autografo dell’autore, anche di alcuni 
famosi. Mi ritrovo così a pensare alle occasioni in cui ho vissuto i momenti emozionanti degli incontri ravvicinati con quei personaggi così importanti del mondo letterario.
Non sempre finisco di leggerlo un libro. A volte mi bastano alcune pagine per giustificare i soldi spesi per comprare quel libro. Sono più che sufficienti le pagine che leggo e penso che proseguire nella lettura non mi darebbe nient’altro. Questo perché la lettura di un testo non mi serve come mezzo di evasione dalla realtà, non sempre sono interessato a seguire una storia, o a capire come va a finire. Preferisco concentrarmi sull’analisi della forma, sullo studio dello stile, sull’esame delle tecniche di scrittura, utilizzando, cioè, il testo come pretesto da cui partire per scrivere, anche se non necessariamente di quel testo appena letto.
Dal testo che leggo cerco di estrapolare quanto più possibile le cose che mi servono, per scrivere molto spesso di me, per esternare sentimenti, per esprimere incertezze, per evocare fantasmi di un passato con cui non sono riuscito a fare i conti, per esorcizzare paure, quelle del futuro, del tempo che passa, dell’età che avanza, e dei problemi connessi con tutto ciò. 
Non intendo comunicare alcunché con questi scritti dal valore terapeutico, che servono solo a me. Poi, se qualcuno leggendoli vi trova qualcosa di interessante e utile, tanto meglio.
Le cose si accumulano in me fino a raggiungere un punto in cui non possono essere più controllate o contenute. Devono in qualche modo uscire all’esterno, palesarsi, che siano coscienti o meno.

domenica 4 agosto 2024

Le rimembranze di Silvia




Non ho ancora trovato il modo di entrare in quella stanza che, lo sento, presto sarà mia. Cosa me lo fa credere non sono in grado di dirlo adesso, ma ne va della mia vita.
Forse ho esagerato un po’, ma a volte ho bisogno di essere ultimativo, per giustificare un’azione, per non considerarla una perdita di tempo, e perché voglio dare un senso alla lettura. Un senso che mi faccia capire perché insisto ad andare avanti, laddove tutto sembra scontato fin dall’inizio, e invece no, io voglio trovarci qualcosa che sta dietro alle parole e che non appare immediatamente. E potrò farlo solo continuando.
Eccomi, dunque, a curiosare tra le pagine. Alla ricerca di cosa? C’è un pacchetto, o anche più di uno, che racchiude il tempo andato. Mi piacerebbe essere lì, insieme a Vittoria, nel momento esatto dell’apertura, allorché il passato lentamente comincia a emergere, a sondarne i misteri, ad annusare come un cane (sì, ci sono anche cani in questa storia) i ricordi, a svelare le inevitabili incognite per quello che avrebbe potuto essere se solo …
Dentro quei pacchetti ci sono tante vite e tanti ricordi personali.
C’è, ad esempio, la storia di come Vittoria ha affrontato il Covid (quel virus monarchico). Un bel nome, Vittoria. Una con questo nome non può che essere una donna forte, che riesce in ogni cosa, che ha tante idee e soprattutto una che conosce il modo per realizzarle.
Siamo stati in tanti ad affrontare quel male e ognuno ha serbato i ricordi di come ha vissuto quel periodo. Vittoria, con ricchezza di argomentazioni e con divertita ironia, ci racconta, come è uscita indenne, a fatica e con attenzione, applicando la guardinghità, ma anche con una certa dose di fatalismo.
In quei pacchetti c’è anche la relazione d’amore con i suoi quattro cani, che in vari periodi della vita ha amato tanto, così come si ama una persona cara. Vittoria ci racconta fin nei dettagli tutto l’affetto che ha provato per queste creature, che hanno rappresentato una parte importante della sua vita.
C’è poi l’incontro con il buddismo, che le ha fatto cambiare vita e soprattutto capire come affrontarla nel modo migliore e comprendere la giusta importanza da dare alle cose.
Leggendo l’ultima parte del libro è possibile disegnare una mappa delle abitazioni in cui ha vissuto la narratrice e dei continui traslochi effettuati negli anni, che l’hanno fatta approdare a quella che vorrebbe fosse la sua ultima casa, in quel di Trieste, dove può godersi la vista impareggiabile del mare.
Ci sono ancora tanti altri ricordi che emergono da quel pacchetto, che per quanto sforzi facciamo di rimuovere, presto o tardi ritornano a ricordarci che comunque la vita va vissuta intensamente con amore e senza calcoli.
Ho fatto bene a continuare a leggere, a desiderare di scoprire i segreti contenuti nei pacchetti, e ad arrivare alle pagine finali, cioè alla Prefazione a posteriori, come la definisce l’autrice.
Una parte che ho amato molto, dove viene sintetizzata in poche pagine la biografia di una donna in cui non è difficile intravedere o infrasentire, come fosse parte del romanzo, la stessa Silvia Palombi, una scrittrice che ho conosciuto grazie a questo romanzo dal titolo Pacchetti, cani e altre questioni, una delle primissime pubblicazioni della casa editrice Qed fondata agli inizi del 2024.
Buona lettura.

Silvia Palombi
Pacchetti, cani e altre questioni.
Edizioni Qed

sabato 27 luglio 2024

La resa


Iniziare a leggere un libro. Che avventura! Che esperienza! Entrare in un mondo nuovo. 
Si corrono rischi? Non sempre siamo pronti ad affrontare un viaggio. Preparati, cioè. Perché cos’altro è la lettura di un libro se non un viaggio? E come tutti i viaggi riserva delle sorprese, nasconde delle insidie, richiede sforzi ma può regalare anche soddisfazioni.
È anche un quadro, il libro. Un’idea di quadro già esistente nella mente del pittore che riempie la tela di linee, di colori, di pennellate. Il risultato è anche in quel caso una storia, un pezzo di vita trasferito in un’altra dimensione, man mano che torna in superficie grazie a un estenuante esercizio di memoria.
Lentamente emergono particolari, distillati di ricordi sgranati. Ci sono due fratelli, il maschio ha quattordici anni più della sorella. Il padre ha una storia con una donna molto più giovane di lui. La madre è in ospedale. 
Ma non è solo di semplici fatti che bisogna parlare, c’è anche dell’altro. Il modo, per esempio, in cui si intrecciano i ricordi, la necessaria selezione, lo scarto di episodi che appaiono come irrilevanti. 
I due fratelli sorprendono il padre in compagnia dell'amante.
Se dovessi scriverla io, la vita, basterebbero poche frasi, e sarebbero anche ripetitive. Non saprei cosa farmene dei dettagli. Riuscirei con una certa disinvoltura a dire niente.
I due fratelli decidono di raccontare alla mamma ciò a cui hanno assistito, ma quando rientrano in casa la mamma sta male e rinunciano. Poco tempo dopo muore.
Quando è stata l’ultima volta che ho pensato al futuro, al mio? Non ho ricordi di questo tipo. Nessuno che mi abbia mai preso per mano e condotto per una strada sicura.
La convivenza fra i tre presto diventa impossibile. In una violenta colluttazione il ragazzo uccide il padre. Ma la cosa resta segreta. È l’oggetto del patto fra i due fratelli? 
Lei, la sorella, adesso è una donna, ha 25 anni, vive in città e ha una relazione con Komar. Nel frattempo intrattiene rapporti con altri uomini, un professore universitario inglese e di tanto in tanto incontra un uomo con un impermeabile grigio.
Si viene a sapere che dopo la morte del padre i due fratelli si erano separati. Lei era andata a vivere a casa di una zia dove rimane per otto anni. 
Adesso si sono ritrovati.
Sto perdendo qualcosa a non scrivere? Ad esempio degli incontri della donna con l’uomo dall’impermeabile grigio. E se quell’uomo fossi io e non invece il ricordo di suo padre? Sono pronto a passare dall’altra parte? A scavalcare delle barriere invisibili per sostituirmi a lui? Con tutte le conseguenze che adesso non riesco nemmeno a immaginare? 
Potrei provare, forse quella donna presterebbe attenzione alle mie parole, che però non ho ancora elaborato ma che presto si manifesteranno sotto forma di richieste che non potrà rifiutare. Vorrei aiutarla, quella donna, anche se non so bene quali problemi la tormentano, ma qualcosa farò.
Anche il ricordo del fratello si palesa di tanto in tanto come cosa vera.
Lei riceve una telefonata, qualcuno la avverte che il fratello è in ospedale. Qualche giorno dopo, ci viene detto, morirà.
Dov’è finita la vita? Una domanda che spesso mi rivolgo. Di risposte nemmeno a parlarne. Da cosa deriva questa incapacità non saprei dirlo. Se non che è sempre stato così.
"Esiste un attimo nella vita - e raramente accade che ne siamo consapevoli e che lo accogliamo - in cui cominciamo a relazionarci con gli anni della nostra esistenza come un tempo ci relazionavamo ai giorni. Sappiamo, infatti, che passeranno presto. Che la notte forse sarà dura, forse spezzata da tormentati labirinti di sogni, ma sappiamo anche che albeggerà di nuovo."
Adesso lei è in là con gli anni. Ricorda il suo uomo, la figlia Irena, la vita com’era, l’amore. Struggente nostalgia per quel che è stato, si dice così?
Snocciola i ricordi rivolgendosi al marito, coinvolgendolo nelle ricordanze. La scoperta tardiva, solo molti mesi dopo aver già avvisato il padre, che Irena aveva deciso la data del matrimonio.
Io, però, ho ancora tanta vita davanti a me, nonostante i dolori comincino ad avvertirsi già dal mattino, nonostante la barba sia diventata bianca da un po’ e tutto il resto. Nonostante il corpo, che ha intrapreso altre strade, diverse da quelle che ho dentro.
Il giorno del matrimonio di Irena la donna si avvia a piedi verso la chiesa, ma all’ultimo momento si inoltra nel bosco, dove incontra l’uomo con l’impermeabile grigio e insieme si dirigono verso l’appartamento di lui.
Quell’uomo non sono io. Potevo mai esserlo? Adesso che ci penso mi sforzerò di assomigliargli almeno un po’, di assumere le sue fattezze, ma non è che abbia un’idea chiara di come è fatto, e non certo per mia incapacità. 
C’è un’aria di mistero, questo sì, ma non molto di più. Avrei dovuto osservarlo con più attenzione. Se l’avessi fatto per tempo oggi sarei lui e starei insieme a lei.
Invece mi tocca indugiare, rinunciare, arrendermi. O fare ipotesi non più riscontrabili. 

Jelena Lengold - La resa - Voland



venerdì 14 giugno 2024

Di un amore lontano

Dovessi dire cosa rappresenta per me, ebbene, non ho le idee chiare. Forse è ancora presto e non ho abbastanza confidenza. Di sicuro c’è qualcuno che ne sa più di me e che non ha intenzione di svelare dettagli importanti ai fini della comprensione. 
Se tutto fosse svelato fin dall’inizio, però, non avrei alcun interesse a proseguire nella lettura. 
Faccio fatica ad andare al di là delle parole esibite. Per questo cerco di stare attento quando leggo. Faccio di tutto per non distrarmi. Spesso rileggo anche, illudendomi che così facendo possa riuscire a penetrare nella mente di chi scrive. 
Solo che presto cominciano ad affiorare dubbi e allora mi pongo tante domande. Per esempio, quale potrebbe essere l’età di un uomo giovane? Ed è importante saperlo? 
E le risposte? Spero arrivino prima della fine. Ma va bene anche alla fine.
È sceso da un pullman, su questo non ci piove. Se si tratta di dar credito a queste prime frasi il gioco si presenta facile. Ma devo stare all’erta. Le insidie si possono nascondere dietro ogni angolo. Non sono ammesse distrazioni. 
Questo tipo si aggira come per scoprire una meta. Non è chiaro se conosca già la destinazione o si lascerà andare ai pensieri, se si farà trascinare dall’estro del momento o incontrerà qualcuno che gli darà un suggerimento su come arrivare nel luogo che intende raggiungere. Sembra indeciso, ha le idee confuse e forse non conosce nemmeno la meta finale.
Mi viene in mente che forse dovrei andare in suo soccorso, ma non è che sappia come muovermi. Ho bisogno di qualche altro dettaglio per elaborare un primo aiuto. Sento che presto scenderò in campo anch’io. 
È stanco, ancora debole, e non solo per il viaggio. È appena uscito da una lunga convalescenza, avrà senz’altro bisogno di assistenza. 
E se mi sostituissi completamente a lui, a questo viaggiatore, se così posso definirlo, e mi lasciassi trascinare dai propositi di chi sta scrivendo questo racconto? 
Eccomi, pronto a mettermi a sua disposizione, sebbene mi sembra che anche quello che scrive, nemmeno lui abbia le idee tanto chiare su come far andare avanti la storia. 
Cioè, anche lui sembra si faccia guidare dal caso, dalla contingenza o dalla ‘precarietà delle situazioni stabili’. Così definisce le circostanze che sta vivendo, ma non mi convince molto. 
Ho difficoltà a capire quale parte interpretare, se quella del primo viaggiatore, che di tanto in tanto scompare alla vista, oppure quella di un segugio, uno che vorrebbe seguirlo senza farsi notare, al solo scopo di soddisfare una curiosità che col volgere delle pagine sta aumentando a dismisura. 
In ogni caso, mi ritrovo su un tram, ovviamente lo stesso tram su cui sta viaggiando anche lui. Ormai non posso lasciarlo. Stavo per dire, ormai non posso lasciarmi. Ho l’immagine di una sovrapposizione, corpi che si compenetrano fino a diventare uno, o che arrivano a scambiarsi finanche l’anima. 
Mi siedo davanti a lui. È come se ci conoscessimo da sempre, due amici che si sono ritrovati dopo tanto tempo e che cominciano a rievocare vecchi ricordi, nel tentativo di far rivivere storie dimenticate, quasi perdute.
Sapete cosa penso? Che vi state facendo un’idea sbagliata di me, e forse non avete tutti i torti e per un motivo molto semplice, e cioè che anch’io ho le idee un po’ confuse non solo su di me, ma soprattutto su come continuare questa storia. 
Mi viene da pensare che sarebbe bello, per esempio, a questo punto, introdurre una donna, così da cercarla, mettermi alla sua ricerca, seguire i suoi passi. Una di cui ho poche notizie. Sento, però, che potrei venire a conoscenza di particolari che mi consentiranno di definirla chiaramente. 
E il viaggiatore, quello che ho incontrato nelle prime pagine? Forse scomparirà nel nulla così come dal nulla si era palesato. Oppure lo incontrerò più avanti. Una decisione che prenderò più in là. 
Per adesso la mia attenzione è rivolta a quella donna. Non devo distrarmi, devo fare attenzione a non farla andare via, come se ci conoscessimo da tanto tempo. Non deve essere un problema attaccare discorso, anche se sembra una ragazza nel fiore degli anni, abbastanza giovane, comunque più di me. Niente di più difficile, dal momento che io, ormai, giovane non lo sono da molto. 
Forse la incontrerò davvero un giorno. Vorrei vivere per lei, essere determinato a raggiungerla e seguirla in capo al mondo. Uno stimolo di questo tipo potrebbe tornarmi utile, fornirmi una ragione di vita. 
Quel viaggiatore, intanto, l’ho mai perso di vista? L’ho forse scartato come idea necessaria allo scopo, quello di condurmi in qualche modo a lei? Meglio non affrettare le conclusioni. È preferibile che sia lui a impegnarsi nella ricerca. 
Per questo è entrato in un hotel a chiedere di lei. Scopre subito però che non è là e forse non vi è mai nemmeno entrata. A questo punto questo viaggiatore, sì, sto parlando sempre di lui, si dirige verso un albergo più modesto, che potrebbe chiamarsi anche Ritz, uno frequentato da minatori, dove prende una camera doppia.
Provo una certa ritrosia a introdurre quella giovane donna. Non sarebbe difficile ritrovarla al mio fianco mentre attraverso le strade e le piazze di questa città. Un semplice atto di volontà ed eccoci insieme. 
Non so quanto potrà durare l’illusione ma vorrei incontrarla anche nella realtà, non solo in quella che mi sforzo di creare. 
Ho come l’immagine di un ponte lontano che un giorno unirà i nostri destini, il ricordo di qualcosa di già visto, o di già letto.  
Vorrei dirti che ti conosco, mio inarrivabile fiore. Sì, che ci siamo già visti, anche se non ricordo il tuo nome, e che un giorno attraverseremo un ponte, tu da una parte, io dall’altra, e ci incontreremo esattamente nel centro di quel ponte, il luogo ideale per la realizzazione di un desiderio a lungo sognato, recuperare una storia perduta, incontrarti tra le pagine di un diario lontano.

giovedì 18 aprile 2024

Destinazioni

 


Serena, o forse Carla, 

mentre ti leggo provo a figurarmi la tua immaginazione, la tua capacità di immaginare, il momento esatto in cui cominci a scrivere per dare forma alle idee che ti crescono dentro, arrivate chissà da dove e covate a lungo prima di sbocciare.
Ti seguo mentre parli, cerco di cogliere finanche le sfumature più sottili dei tuoi pensieri, dei tuoi sottintesi, al punto da identificarmi in tutto e per tutto con il destinatario delle tue confessioni.
È a me che ti stai rivolgendo, è con me che stai parlando. Non so come sia avvenuto questo passaggio, come si sia insinuata in me questa convinzione. Se siano state le tue parole a catturarmi, a trovarmi predisposto ad accettarle, ad accoglierle.
Non so se abbiano questo potere, se sia stata tu a dotarle di quella proprietà, come una magia celata che mi ha stregato e adesso non so cosa fare. Non sono in grado di affrontarle, tantomeno respingerle.
È da te, con te che vorrei ripartire. Non ti sembra vero, sono sicuro che non te l’aspettavi e adesso ti toccherà rivedere le fondamenta del tuo romanzo, dovrai creare altre destinazioni per i tuoi pensieri. Oppure rassegnarti a concederti a me, alle mie bizzarre ancorché improduttive fantasie.
Mi verrebbe da rivolgermi a te iniziando la frase con l’attributo che solitamente si usa in questi casi. Cara. Ma voglio evitare la triste cacofonia accostandolo al tuo nome, e allora ne scelgo un altro, Cara Serena, e mi sorge spontaneo il dubbio se abbia qualche diritto di entrare nella tua vita, nella tua intimità.
Eppure, proseguendo nella lettura mi sembra che le tue storie mi invitino a farlo senza alcuna reticenza.
Come valutare altrimenti le narrazioni dei tuoi rapporti con Paolo, un mio alter ego? O un semplice pseudonimo? Anche se ti avrei tenuta tutta per me e non ti avrei mai portata in un luogo di perdizione, se così vogliamo considerare taluni posti dove si praticano scene di sesso multiplo o promiscuo. O forse sì, chissà.
Non ho capito quanto di te ci sia nel tuo personaggio. Forse solo frivole fantasie, quelle che ancora riesco a permettermi, a concedermi.
Continuo a immaginarti mentre solleciti l’immaginazione. Forse non è un grande scotimento, forse è solo un recepire i sussurri provenienti da una storia che qualcuno ha scritto per te.
E la mia parte in tutto ciò qual è, se pure ne è stata prevista una degna di questo nome?
 
“Non bisogna pretendere che il nostro prossimo sia disposto a guardare l’inferno che portiamo dentro”
 
Non possiedo nemmeno una piccola porzione della tua capacità di inventare i ricordi. Mi fa difetto quell’immaginazione che invece in te si trasforma in fiume straripante appena poggi la penna sul quaderno. Così ti vedo.
Non riesco a starci dietro e non riesco più a immaginarti, come pure accadeva quando leggevo le prime pagine del tuo diario.
Sei già troppo avanti rispetto a me. Attenta a mille particolari, che per te hanno ancora un senso.
Io, al contrario, non sono interessato ai dettagli. Vado subito al sodo. Do tutto per scontato. Cioè che chi legge non abbia bisogno di un quadro più chiaro di quello che vagamente di solito abbozzo.
Sono altre le cose che mi aspetto che un lettore richieda da me.
E da te, cosa mi aspetto? Che tu sia serena, e non solo di nome. Che apprezzi le mie sincerità, non ti nascondo niente, che insegui le mie aperture nei tuoi confronti.
Le tue parole sono un castello costruito con tessere perfettamente giustapposte. Mi ci inoltro con l’intento di decifrare formule arcane. I tuoi slanci mi fanno venire il capogiro.
“Con te sono stata serena”, ho letto, illudendomi che fossero parole rivolte esclusivamente a me.
Mi sono perso dentro le tue storie. Ed è stato un perdermi lento in una dolce vertigine.
"Quel che è sicuro, è che c’è un’immagine che non mi ha mai lasciato. Poco importa, ormai, sapere da dove provenga, se dalla realtà o dalla fantasia”.


Serena Penni - La destinazione - Il ramo e la foglia edizioni

 

 

mercoledì 20 marzo 2024

Orfane bianche

 

Cara Fiammetta, se così posso rivolgermi a chi ho conosciuto di sfuggita a un recente incontro sui libri.
Ma forse sì, se pure cara non lo eri all’inizio, poi sei diventata anche un po’ mia amica, perché siamo stati insieme per alcuni giorni, il tempo della lettura del romanzo.
Non so se hai avvertito qualcosa, se ti sono fischiate le orecchie, come si usa dire in questi casi, ma io quanto meno ti ho pensato ed è così che sono diventato tuo amico.
Cara Fiammetta, dicevo, c’è un motivo per cui ho deciso di scriverti, l’ho pensato oggi.
Cioè ho capito che anche tu potevi far degnamente parte dei destinatari delle mie lettere, se così posso definire certe mie reazioni che scaturiscono spontanee alla lettura di un libro, e soprattutto che non avresti sfigurato nella schiera di quanti sono venuti prima di te.
Scrivo lettere mai spedite, agli autori dei libri che leggo, preferibilmente alle autrici.
Mi capita spesso di servirmi di un libro per instaurare un rapporto con gli altri, partendo dalla storia descritta e continuando senza sapere dove andrà a parare il fiume che in me scaturisce leggendo quel libro.
Ho cominciato a leggere le prime pagine del tuo romanzo e mi sono fatto l’idea, ma forse sbaglio, che è tutto già detto fin dall’inizio e che non ci si dovrebbe aspettare niente di nuovo nel corso della lettura. Che non dovrebbero esserci sorprese, appena qualche piccola variazione sul tema.
Chissà di cosa le riempirai le pagine che residuano e che fra l’altro non sono nemmeno poche.
Sarà sufficiente la comparsa di una donna nelle vesti di suora a ravvivare l’atmosfera per niente festosa di questa casa?
O il delirio delle donne alle prese con un’anatra puzzolente?
O l’indolenza di un cane che si aggira qua e là stancamente per le stanze della casa?
O l’autentica madre bianca che arriva nelle vesti di una pedicure bulgara?
 
Fin dall’inizio della lettura ho preso appunti, ho scritto, cioè, su un foglietto, che ho usato a mo’ di segnalibro, i nomi delle figlie e delle rispettive madri perché non riuscivo a fissare correttamente le reciproche relazioni, e ogni volta che trovavo il nome di un personaggio non mi ricordavo più chi era, se la madre, la figlia, e di chi. Così, era sufficiente dare uno sguardo al foglietto e il problema era risolto.
Quando, dopo decine di pagine, mi sembrava finalmente di aver capito come stavano le cose, hai deciso di scombinare le carte, ed ecco che come per un colpo di bacchetta magica le figlie si sono scambiate le madri da accudire.
Colpo mortale alle mie capacità di distinguere una volta per tutte i personaggi (o le personagge).
No, questo proprio non dovevi farmelo. L’ho vissuto come un attentato alla mia labile serenità, una minaccia al mio già precario equilibrio mentale.
Quando mi sono riavuto, in qualche modo che non ho ancora capito, e sono riuscito a riprendere la lettura, dopo aver superato abbondantemente le 200 pagine non ho fatto più caso alla caratterizzazione dei personaggi.
Poteva essere uno qualunque a parlare o ad agire, al punto che mi ero convinto che la storia non poteva cambiare di molto se pure i ruoli si confondevano in me. Ma forse mi sbaglio.
Fortuna che poi è arrivata la suora, che almeno quella mi sembra di riuscire a distinguerla dalle altre.
 
Se devo tracciare un bilancio vorrei dirti che c’è dello stile in questo romanzo, ed è ciò che più ho apprezzato.
Il tuo “preteso poetare” è fin troppo avvertibile. Come una dolce armonia mi ha accompagnato per buona parte del libro.
Era ciò che più in me risuonava nel mentre che leggevo, allorché il metro arrivava finanche a sovrastare il senso delle parole, come spesso succede nella buona poesia e al lettore arrendevole, a me, non restava altro che seguire il consiglio, assecondare il tuo invito.
L’ho fatto con molto piacere, ottenendone un buon tornaconto.
Certe ellissi, poi, mi ricordano alcune cose del primo Pizzuto. In altri punti del testo, invece, prevale la metrica lirica à la Bufalino.
Fiammetta cara, mi viene da concludere, con una citazione teatrale che forse ti farà piacere, e cioè che le tante donne che abitano questo romanzo, in particolare queste sei personagge, hanno trovato in te un’autrice assolutamente valida. Aspetto la conferma alla prossima prova.
Fiammetta Palpati
La casa delle orfane bianche
Laurana Editore

lunedì 4 marzo 2024

Quella è calda.

 

Quella è calda, basta vederla e ti accorgi subito che le schiumano le fregole da tutti i pori. E io che mi facevo problemi, sempre mi sono fatto di questi problemi perché chissà che cosa pensavo, è questo che vuole?, ma per chi m’ha preso, a soreta, a mammeta e via discorrendo, questa invece, non ci sono dubbi, non potevo sottrarmi, c’ha un culo che mi canta le serenate a scena aperta, e io resto imbambolato ad ascoltarla, con quei pantaloni neri e stretti, poi, hai voglia quante cose farei, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Qualsiasi cosa, non si faccia problemi a chiamare, ma mi è venuto subito in mente che di problemi non me ne sarei fatti proprio, anzi, sto qua a completa disposizione, come mai mi era successo. Questa tipa è il miracolo fatto donna, e proprio a me stava capitando. Che fortuna!

Entri, non stia sulle scale, faccia come se fosse casa sua, la invitai a entrare con la scusa del pagamento dell’affitto, come se quel monolocale che avevo preso per qualche giorno non fosse effettivamente casa sua. Per questo si era messa a ridere. Ma secondo me già pregustava l’avventura con lo straniero. Certe donne si legge in faccia le voglie che hanno, non sono capaci di nasconderle quando proprio non ce la fanno più, e che so, scemo?, non me la faccio scappare affatto.

Possibile che non faccio in tempo ad aprire la porta che questa qua già sta pensando a spogliarsi? Mi ha preso di sorpresa, non ero per niente pronto, e chi se l’aspettava una storia del genere? Mica capita tutti i giorni, perché quando vedo una femmina il primo pensiero che mi viene è quello, se poi ci si mette anche lei, allora la cosa è bell’e combinata. Non per discolparmi, ma questa stavolta ci ha messo proprio del suo. Non che sia una colpa avere voglia di scopare, intendiamoci, ma è giusto dire come stanno le cose, cioè, come sono andate, io me ne stavo per i fatti miei, è stata lei che mi ha chiamato.

Io non è che so contarle bene le cose, tutti i pensieri ce li ho dentro, ma all’occorrenza provo a farli uscire solo che non sempre vengono come vorrei e perciò c’ho bisogno di spiegare meglio le cose. Che poi, mi dico, non è che li devo spiegare a qualcuno i miei pensieri, basta che li so io, però certe volte mi gira l’uzzolo di cedere e se qualcuno mi chiede come è andata con quella, allora invece di inventarmi su due piedi una storia, me la vado preparando, che così sembra che è stata una cosa realmente accaduta, e non mi chiedo nemmeno se quello ci crede o no, l’importante è che sembri una storia verosimile.

Se c’è qualcuno che mette in dubbio i miei pensieri, perché mi fa una domanda a trabocchetto, cerco di prendere tempo, di arrampicarmi sugli specchi, senza però darlo a vedere. Sembra che mi debba giustificare di qualcosa, sto sbagliando tutto. Facciamo allora che non ho detto niente di queste ultime riflessioni e torniamo a quella là.

Dov’eravamo rimasti? Che il mio birillo si era già intostato prima ancora che si spogliasse del tutto, altro che non ero preparato! Io no, ma lui appena sente odore di fessa non sta a perdersi certo in chiacchiere. Così lei si butta sul letto, spalanca le gambe e si mette a aspettare. Che faccio?, mi mollo ovviamente, anche perché nel frattempo lei non è rimasta molto a guardare, sembrava non aspettasse altro, ha preso il mio coso e se l’è infilato dritto dritto là dentro, in mezzo alle cosce, sembrava un’ossessa e com’era vorace, al punto che mi sono chiesto se dovevo temere per la mia virilità. Non si sa mai in questi casi, è bene guardarsi alle spalle, ma anche… le palle. Ma andò tutto bene, anzi benissimo, andò come non era mai andata.

Non saprei come raccontarla questa storia imprevista. Forse sono quelle che riescono meglio. Non è stato soltanto uno spingersi e un tirarsi addosso l’un l’altra. Le ho schiacciato le tette ma senza farle del male, tutt’altro, pareva godesse ogni volta che affondavo i denti in quei bottoncini, che sembravano di ebano e di altri colori, per quanto erano duri e chiazzati a causa dei morsi. Era un piacere anche per lei, che gridava, erano proprio voci di piacere, non c’erano dubbi, perché più li stringevo e più ne voleva.

Era affamata, insaziabile e anch’io, che non sono mai stato un campione di resistenza, in quell’occasione tutto è andato in maniera perfetta. Più affondavo e più mi sembrava di averne, la forza la prendevo anche da lei, che assecondava le spinte come per una danza in cui il ritmo cresceva in maniera direi parossistica.

Dove l’ho trovata la forza ancora non riesco a spiegarlo. Temevo persino che il cuore, ma anche altro, potesse scoppiare, il fiato non c’era più ormai, tutto si svolgeva in un’apnea delirante. Non sapevo di essere in grado di tanto. Anch’io provavo dolore, o forse mi confondo, non solo nel ricordo, perché quando l’ha preso in bocca, durante una pausa, ho rischiato davvero di vederlo mozzato per sempre. Succhiava e strappava anche coi denti, come se dovesse scuoiare un coniglio con fauci possenti. Era comunque un dolore piacevole, frammisto con fasi di voluttà mai provata prima.

Era calda, altro che, caldissima, e il letto si stava smollando da quanto veniva sollecitato. Se ad ogni cliente riservava un simile trattamento avrebbe dovuto cambiare l’arredo ogni volta. Di certo dovrebbe aggiungere una tassa sul materasso insieme al prezzo della stanza, ma questo nella pagina delle prenotazioni online non poteva scriverlo, o solo come una voce extra che, semmai, avrebbe illustrato lì per lì al momento della consegna delle chiavi.

Ma perché mi sto perdendo dietro inutili particolari? Stavo così bene con quella e si mettono in mezzo questioni venali. Ho ispezionato tutto il suo corpo, i suoi orifizi, e anche lei ha fatto lo stesso con me, con la lingua e non solo. Anzi, il corpo ormai era solo un accessorio pressoché inutile. Non lo sentivo più, c’era altro che mi dava piacere, altro che non saprei descrivere, il corpo era un tramite, tutto passava attraverso di esso.

sabato 2 marzo 2024

La signorina Maria e il suo bestiario.

La signorina Maria non è un vero e proprio bestiario anche se è popolato di una variegata fauna, reale e anche metaforica.
Tra le pagine del libro si palesano mammiferi di piccole, medie e grandi dimensioni, rettili, uccelli, insetti, specie marine di vario tipo e, sia pur di rado, anche degli esseri mitologici.
Questi animali non vivono in una vecchia fattoria e non sono nemmeno rinchiusi dentro un giardino zoologico. 
Sembrano semmai convivere alla rinfusa all’interno di un’enorme arca di Noè primordiale, anche se di diluvio nemmeno a parlarne. O forse sì, ma in questo caso si tratta piuttosto di un profluvio, di parole ovviamente, quelle che servono per descrivere le storie in cui si muovono e agiscono gli animali, e non solo.
C’è un elefante triste. Gli elefanti, si sa, sono animali associati a lentezza, e nell’immaginario comune ormai sono anche esempi di stanchezza, forse anche di noia e anzi, a lungo andare, sono destinati a diventare sempre più stanchi, gli occhi si avvicineranno alla punta della fronte, le proboscidi volteggeranno con disarmoniche alterazioni nell’aria circostante. Da qui la tendenza alla tristezza di questi poveri pachidermi.
C’è anche una nobile giraffa brasiliana, un concetto spontaneo, spuntato fuori all’improvviso. Bisogna prendere le cose per come vengono.
Non solo animali della savana, però. Ci sono anche topi scorrazzanti per corridoi o scaffali pieni di articoli strampalati.
C’è un porcellino miope, ingessato nel pur ingombrante gessato. 
Ci sono asini che cascano, tanto per non smentire la fama proverbiale che li circonda, altrimenti che asini sarebbero? 
Discorso diverso per le capre che, benché vecchie e spennate, tuttavia non perdono occasione di esibire la loro agilità arrampicandosi dappertutto.
Nel mondo ricostruito, all’interno della sgangherata imbarcazione, trovano posto cani indisturbati intenti a riflettere, immersi non è facile intuire su quali pensieri. 
C’è la Regina dei camaleonti che verranno. Basta avere fiducia e un po’ di pazienza e qualcosa arriverà.
Le storie hanno molte vite, come i gatti, rinascono, si sviluppano attorno a un centro, crescono inaspettatamente senza sosta, come gramigna che infesta la testa. 
In questo contesto al lettore potrà capitare di vedere di tutto, sanguisughe, pesci essiccati, zanzare spaventate, coralli in fondo agli orecchini e attorno al collo, e chissà dove altro ancora, della protagonista, la signorina Maria, che nelle grandi occasioni esibisce anche un fermacapelli a becco di tucano, tempestato da piccoli diamantini sfavillanti sotto la luce della volta celeste artificiale. 
C’è poi la classica rondine che si ripresenta al suo nido a ogni nuova stagione, e una tartaruga marina che nuota per migliaia di chilometri per ritrovare luoghi noti dove deporre le uova. 
Ci sono ancora tanti altri animali in questo romanzo, ma se vi state chiedendo se ci sono anche dei coniglietti, ebbene, la risposta è no, però è come se ce ne fossero dappertutto.

giovedì 15 febbraio 2024

Anche se fosse vero



Nessuno qui esiste, nemmeno l’autore, è tutto un romanzo

Ho appena finito di leggere Anche se fosse vero, romanzo di Davide Antonio Pio, pubblicato dalla casa editrice Il ramo e la foglia.

Ciò che ho appena finito di dire, tuttavia, anche se fosse vero, dovrebbe essere considerato alla stregua di una menzogna bella e buona, perché una volta arrivati alla fine del libro non si può che ricominciare a leggerlo dall’inizio, dal momento che non è esatto dire che questo romanzo abbia una fine, anche perché è come se fosse composto da tanti libri e ognuno si può leggere in maniera diversa dall’altro.

Leggendolo si ha come l’impressione che ci sia bisogno quanto meno di individuare il filo rosso che unisce le storie perché qualcosa cominci a diventare chiaro. Non sarà un caso che l’editore abbia inserito una piccola guida nelle ultime pagine, allo scopo di farci orientare tra i tanti personaggi che si muovono qua e là.

Che sensazione mi lascia la lettura di questo libro? Non conosco l’autore e mi sembra irriguardoso nei suoi confronti dire che la sensazione avuta sia quella di essere stato preso, ma forse sarebbe più corretto dire portato, in giro per tutta la durata della lettura. Il problema è mio, semmai, non di chi ha scritto il romanzo.

Durante la lettura è emerso un mio limite, e cioè non sono riuscito a seguire l’andirivieni delle storie raccontate, forse perché ho letto il romanzo senza prestare attenzione alle date poste in cima a ogni capitolo (sempre che di capitoli si possa parlare). C’è da dire, a tal proposito, che i capitoli non sono esposti nell’ordine cronologico in cui i fatti sono raccontati.

A questo punto mi tocca ritornare all’inizio e rileggere con più attenzione, può darsi che così riesca a capirci qualcosa in più. O forse mi sembrerà di leggere un altro libro, il che non sarebbe del tutto male. Due libri, e anche più, al prezzo di uno!

A una lettura poco attenta può sembrare che Davide Antonio Pio non sia stato particolarmente generoso nei confronti di chi legge. Descrive i fatti senza descriverli. Così anche per i ritratti. Solo qualche accenno, pochi indizi, da cui il povero lettore deve partire per ricostruire la faccenda e se qualche dettaglio viene perso allora la narrazione può apparire oscura.

L’impressione che ho avuto io è che l’autore abbia voluto lanciare dei semi da cogliere per poter ricomporre la storia.

Non è un romanzo quindi per lettori pigri. Al contrario, chi legge è chiamato a partecipare attivamente. Non è forse questo che uno scrittore desidera? Che ci sia, cioè, un lettore complice nella costruzione della storia, che disveli le mille facce di un racconto, anche quelle che lo stesso scrittore non ha mai immaginato, o che ignora del tutto? Non è questo un modo di tenere in vita l’opera nel corso del tempo? E non è anche questo il modo di scrivere che interessa ai lettori attenti ed esigenti?

Questo romanzo è strutturato come una sorta di puzzle. Davide Antonio Pio (o, se volete, Paride Ammonio Vio) ha distribuito le tessere lungo le pagine del libro e al lettore non resta che l’arduo compito di ricostruire la vicenda.

Il fatto è che le tessere appaiono difficili da incastrarsi tra di loro, perché l’autore non è che abbia fatto molto per facilitare il compito. Non sembra nemmeno immediato capire che rapporto abbiano fra di loro i vari personaggi, le relazioni reciproche sono difficili da cogliere e l’impresa è resa ancor più ardua dal fatto che a un nome a volte corrisponde anche più di un personaggio.

Anche se fosse vero è un modo senz’altro originale di raccontare una storia. Avremmo bisogno di abituarci a strutture del genere, per disavvezzarci dalle solite scritture lineari che sembrano ormai aver fatto il loro tempo.

Un’opera da leggere? Senza alcun dubbio e soprattutto da rileggere perché, in fondo, quanto a forma, ma anche a sostanza, in questo romanzo ce ne sono abbastanza e la sua lettura non lascia indifferenti.

Un plauso agli editori che hanno avuto il coraggio di pubblicare un lavoro che forse non diventerà un best seller ma che ha il pregio di far riflettere sulle forme della scrittura. E di questi tempi non è poco.

Davide Antonio Pio - Anche se fosse vero - Il ramo e la foglia edizioni


sabato 20 gennaio 2024

Segreti matematici.

Bermúdez, o delle scienze matematiche applicate alla letteratura.
Mi viene in mente che per certe costruzioni letterarie Bermudez abbia attinto a piene mani dalla matematica. 
Si tratta di un'affermazione che si basa più che altro sull'analisi di strutture ed espressioni usate in alcuni racconti, oltre che nel romanzo tradotto e pubblicato per la prima volta in assoluto in Italia. (Ho detto assoluto?)
Che dire del titolo della raccolta di racconti  'La metà del doppio'? 
Gia questo sembra un quesito matematico di ardua soluzione. 
Se poi ci inoltriamo all'interno della raccolta capiterà di imbatterci in un racconto dal titolo più che enigmatico "Esatta come due più due fa tre". 
Non saprei dire quanto ci sia della scienza esatta in questo titolo, che sa tanto di verità assiomatica, in ogni caso una logica (matematica?) dovrà pur esserci. 
C'è poi il protagonista di un altro racconto che non riesce a porre un argine al lavorio della mente a causa della moltiplicazione delle storie che scaturiscono incontrollate.
La geometria è una parte importante della matematica. A soccorso di quanto affermato all'inizio di questo intervento giova evidenziare la particolare struttura narrativa ricorrente nella maggior parte dei racconti, ma anche in 'Segreto a più voci'.
('Le abitudini proprie, comunque, hanno la caratteristica dell’indiscutibile, sono assiomi della maniera di procedere in questo mondo').
Dalla lettura di questi testi emergono elementi che si possono far risalire a esempi tipici delle geometrie non euclidee.
Si parte da due, o più, storie che in un momento iniziale sembrano destinate a scorrere parallele e non doversi mai incontrare ma che, invece, alla fine, in un modo poco chiaro, convergono in un punto comune. 
È qui presente il meccanismo caratteristico di taluni racconti fantastici, laddove però di matematico c'è ben poco se non la conferma della struttura narrativa che ogni volta si reitera ('Che incubo sarebbe stata la vita senza la reiterazione dei comportamenti').
Anche la lettura di questi racconti ha bisogno di una reiterazione.
Occorrono, cioè, più letture per entrare nei meccanismi narrativi che Bermúdez mette in atto nell'elaborazione dei testi che compongono questa raccolta e nel romanzo 'a più voci'.

Fernando Bermúdez
Edizioni Spartaco
Trad. Giovanni Barone

sabato 13 gennaio 2024

Altri segreti

Ritorno ancora una volta su Segreto a più voci, perché quando un'opera ti entra dentro non te ne liberi facilmente. Ti invita a ripensarla, a rivederla, ti chiede di rileggerne alcuni passaggi e a riparlarne.
Allora, la risposta necessaria è quella di accogliere l’invito, ottemperare a questi che si presentano come degli ordini e accettare la sfida, dando forma scritta agli stimoli che ogni volta nascono dalla nuova lettura.

Mi ritrovo molto nello stile usato da Fernando Bermúdez. Nel senso che capita anche a me quando scrivo di fare esercizi di metatestualità. E nelle sue opere, almeno in quelle pubblicate in Italia, di esercizi simili se ne ritrovano tanti.
Lo scrittore si sofferma sulle parole da usare. Le cerne anche dal ‘dizionario dei sinonimi’ (per citare un’espressione usata da un personaggio di un racconto di La metà del doppio) che ha dentro la testa. Si pone domande su quali siano quelle più adeguate alla fattispecie che si presenta mentre scrive, quando viene invaso da un’ispirazione a cui non riesce a star dietro. Tanto rapidamente scorre. Ogni parola una diramazione. Pensieri a voce alta, esposti alla mercé dei lettori. 

Tra le parti che più ho apprezzato in Segreto a più voci vi sono quelle tra parentesi, ma non nel senso che sono messe lì tanto per riempire le pagine. Niente affatto. Quelle tra parentesi quadre, riferite da Marica, sono parole che costituiscono una parte importante del romanzo, un punto di vista che completa la restanti parti e senza le quali non si comprenderebbe la trama. 
Mi perdo a seguire il discorso diretto di Marica, a ruota libera. Comincia col fare una dichiarazione, come per lanciare una proposta, una chiave del dibattito. Da lì, poi, partono le argomentazioni che servono a chiarire quella dichiarazione iniziale e, alla fine del giro, si ritorna al punto che si era lasciato per divagare e si riparte, cioè, si continua per un altro pezzo a raccontare la storia. Salvo poi a chiarire un altro particolare, a perdersi dietro dettagli che apparentemente non sembrano far parte della storia principale ma che invece costituiscono un altro tassello, che insieme a tutti gli altri e alle tante divagazioni contribuiscono a delineare un quadro più completo. 
La storia raccontata da Marica è un puzzle, le tessere non si individuano immediatamente, ma c’è come una guida interna che permette di risolvere il problema. È sufficiente non porsi troppe domande, basta seguire la voce della donna e alla fine tutto torna.
La testimonianza di Marica mi ha ricordato qualcuno che riesco a identificare bene. Sto pensando alla signora Milagros e alla sua deposizione in Rosaura a las diez di Marco Denevi, altro scrittore argentino. Sembra che abbiano qualcosa in comune questi due personaggi, se non altro la voce, il modo di raccontare, la riproduzione di un discorso orale attraverso la parola scritta. 
Questi argentini sono maestri nel coltivare l’amore per l’intreccio, la predilezione per un certo tipo di fantastico, per una struttura narrativa originale, i punti di vista diversificati. 
In Segreto a più voci c’è la compresenza di differenti generi letterari all’interno della stessa opera, storie che si costruiscono mentre si leggono ('La scrittura che scrive se stessa mentre si guarda scrivere', direbbe Giovanni Barone, traduttore in italiano dell’opera di Bermúdez).
Non è una mia consuetudine sottolineare i libri ma, in questo caso, fin dalle prime pagine, ho sentito la necessità di appuntare le date citate a lato delle relative pagine, come per tenere una traccia temporale degli eventi che si avvicendavano. 
Ho intuito, e non solo perché ci viene ricordato che un personaggio del romanzo 'Ha una fissazione per le date', che l’insistenza e la puntigliosità con cui venivano precisate quelle date dovevano avere qualche importanza nell’economia della storia. È una narrazione che include anche delle parti che simulano articoli di giornali dell’epoca dei fatti, come per dare l’impressione di una sorta di saggio, la descrizione di una pagina di storia nazionale. 
C’è un passaggio del romanzo in cui un personaggio si intromette nella narrazione e fa un resoconto di quanto è stato raccontato. Potrebbe essere un lettore qualunque di Segreto a più voci che, a metà circa della lettura del romanzo, si ferma e prova a fare il punto della situazione. Una sorta di riassunto, come per fare ordine su quanto già letto e detto. 
Niente di strano, si direbbe, se non che questo lettore insinua il dubbio che il personaggio in questione potrebbe essere lo stesso autore del romanzo, e cioè Fernando Bermúdez, il quale si presenta facendo anche riferimento ad alcuni momenti della sua carriera letteraria, fino ad arrivare al libro che quel presunto lettore tiene tra le mani e che sta leggendo. 
Il lettore vero si trova spiazzato, preso da una vertigine narrativa che non sa come interpretare, perso come dentro un vortice da cui non capisce come uscire. 
Il lavoro di Bermúdez è tanto altro ancora ma non vorrei andare avanti a svelare ulteriori elementi di questo romanzo perché, come dice il presunto personaggio Bermúdez, 'esiste un’etica del lettore che non ce lo permette'. 

Julio, 'perché ora stavo riportando quel nome?'
Julio, un nome che non deve essere stato scelto a caso. Non si può essere scrittori argentini senza tener conto di un certo Cortázar.
E Cortázar aleggia nel romanzo in varie occasioni, anche se in maniera minore che nei racconti di “La metà del doppio”, dove mi è capitato di sentire la sua voce echeggiare qua e là tra le pagine della raccolta.
Sarà perché entrambi condividono l’esperienza dell’esilio, sia pur per ragioni diverse, che tra le parole ritornano ricordi, memorie, abitudini? 'La tenacia di un’abitudine'.
Bermúdez fa dire a un suo personaggio: 'Le abitudini proprie, comunque, hanno la caratteristica dell’indiscutibile, sono assiomi della maniera di procedere in questo mondo', parole che ricordano tanto quelle di un racconto del Bestiario di Cortázar: 'Le abitudini […] sono forme concrete del ritmo, sono la quota di ritmo che ci aiuta a vivere'.

Leggendo Segreto a più voci ci interroghiamo sullo statuto della narrazione, della finzione e quindi della realtà tout court. E cosa possiamo chiedere di più a un romanzo? 
'Saranno reali i fatti che si narrano?' 
La letteratura non dà risposte.
Basterà dire che per Bermúdez la letteratura agisce sulla realtà, modificandola.

Questa, sarà chiaro a tutti, non è un’interpretazione del romanzo. 
È che quando leggo mi piace entrare talmente tanto dentro le pieghe della scrittura che non riesco a rimanerne fuori e qualcosa devo scrivere anch’io. 
Stavolta è andata così.

Fernando Bermúdez
Segreto a più voci 
Edizioni Spartaco
Trad. Gianni Barone