Serena, o forse Carla,
mentre ti leggo provo a figurarmi la tua immaginazione, la
tua capacità di immaginare, il momento esatto in cui cominci a scrivere per
dare forma alle idee che ti crescono dentro, arrivate chissà da dove e covate a
lungo prima di sbocciare.
Ti seguo mentre parli, cerco di cogliere finanche le
sfumature più sottili dei tuoi pensieri, dei tuoi sottintesi, al punto da
identificarmi in tutto e per tutto con il destinatario delle tue confessioni.
È a me che ti stai rivolgendo, è con me che stai parlando.
Non so come sia avvenuto questo passaggio, come si sia insinuata in me questa
convinzione. Se siano state le tue parole a catturarmi, a trovarmi predisposto
ad accettarle, ad accoglierle.
Non so se abbiano questo potere, se sia stata tu a dotarle
di quella proprietà, come una magia celata che mi ha stregato e adesso non so
cosa fare. Non sono in grado di affrontarle, tantomeno respingerle.
È da te, con te che vorrei ripartire. Non ti sembra vero,
sono sicuro che non te l’aspettavi e adesso ti toccherà rivedere le fondamenta
del tuo romanzo, dovrai creare altre destinazioni per i tuoi pensieri. Oppure
rassegnarti a concederti a me, alle mie bizzarre ancorché improduttive
fantasie.
Mi verrebbe da rivolgermi a te iniziando la frase con
l’attributo che solitamente si usa in questi casi. Cara. Ma voglio evitare la
triste cacofonia accostandolo al tuo nome, e allora ne scelgo un altro, Cara
Serena, e mi sorge spontaneo il dubbio se abbia qualche diritto di entrare
nella tua vita, nella tua intimità.
Eppure, proseguendo nella lettura mi sembra che le tue
storie mi invitino a farlo senza alcuna reticenza.
Come valutare altrimenti le narrazioni dei tuoi rapporti con
Paolo, un mio alter ego? O un semplice pseudonimo? Anche se ti avrei tenuta
tutta per me e non ti avrei mai portata in un luogo di perdizione, se così
vogliamo considerare taluni posti dove si praticano scene di sesso multiplo o
promiscuo. O forse sì, chissà.
Non ho capito quanto di te ci sia nel tuo personaggio. Forse
solo frivole fantasie, quelle che ancora riesco a permettermi, a concedermi.
Continuo a immaginarti mentre solleciti l’immaginazione.
Forse non è un grande scotimento, forse è solo un recepire i sussurri
provenienti da una storia che qualcuno ha scritto per te.
E la mia parte in tutto ciò qual è, se pure ne è stata
prevista una degna di questo nome?
“Non bisogna
pretendere che il nostro prossimo sia disposto a guardare l’inferno che
portiamo dentro”
Non possiedo nemmeno una piccola porzione della tua capacità di
inventare i ricordi. Mi fa difetto quell’immaginazione che invece in te si
trasforma in fiume straripante appena poggi la penna sul quaderno. Così ti
vedo.
Non riesco a starci dietro e non riesco più a immaginarti,
come pure accadeva quando leggevo le prime pagine del tuo diario.
Sei già troppo avanti rispetto a me. Attenta a mille
particolari, che per te hanno ancora un senso.
Io, al contrario, non sono interessato ai dettagli. Vado
subito al sodo. Do tutto per scontato. Cioè che chi legge non abbia bisogno di
un quadro più chiaro di quello che vagamente di solito abbozzo.
Sono altre le cose che mi aspetto che un lettore richieda da
me.
E da te, cosa mi aspetto? Che tu sia serena, e non solo di
nome. Che apprezzi le mie sincerità, non ti nascondo niente, che insegui le mie
aperture nei tuoi confronti.
Le tue parole sono un castello costruito con tessere
perfettamente giustapposte. Mi ci inoltro con l’intento di decifrare formule
arcane. I tuoi slanci mi fanno venire il capogiro.
“Con te sono stata
serena”, ho letto, illudendomi che fossero parole rivolte esclusivamente a me.
Mi sono perso dentro le tue storie. Ed è stato un perdermi
lento in una dolce vertigine.
"Quel che è sicuro, è
che c’è un’immagine che non mi ha mai lasciato. Poco importa, ormai, sapere da
dove provenga, se dalla realtà o dalla fantasia”.
Serena Penni - La destinazione - Il ramo e la foglia edizioni
Nessun commento:
Posta un commento