Lettori fissi

mercoledì 23 gennaio 2019

Disturbi di luminosità - 4

Sto usando un taccuino troppo piccolo, insufficiente a contenere le cose che vorrei scrivere. Ho deciso comunque che quello che ho da dire su questo romanzo dovrà starci tutto. Non devo dilungarmi, non sprecare fiato. Devo dosare le forze e tenere conto delle pagine che ancora mi rimangono da leggere e monitorare i fogli che via via vado riempiendo per farmi un’idea sia pur vaga di quelli che ancora rimangono su cui scrivere con accortezza e possibilmente evitando di ripetermi. La scrittura deve essere un esercizio oculato. Così mi sembra. Ma non sempre mi riesce. Forse dipende anche da quello che sto leggendo.
Non so quali pensieri eliminare. La testa è un mulino che sta triturando il respiro. Non ho la forza di oppormi a niente. Le parole che mi passano addosso si stanno lentamente svuotando di significato. Una vibrazione leggera, quasi inavvertibile, mi tiene ancora in vita, cioè, attaccato a queste pagine.
Non ho nulla. Non avrò nessuno al mio capezzale quando arriverà il momento.

Non ricordo se l’avevi già chiesto. Adesso o nella reincarnazione precedente, nell'altro giro, se ho una famiglia, un lavoro, se sono felice. Non ricordo la versione dei fatti di allora. Ma non dev'essere diversa da quella che emerge da queste parole. Non è cambiato molto nel frattempo.
Non ho evidenze che ci sia coerenza in questo tuo lavoro, ancorché mi intestardisca a voler trovare ad ogni costo una sia pur vaga traccia. Questo romanzo è un puzzle che si ricostruisce nel tempo, il quadro finale si compone unendo le tessere ripescate nel passato con altre che vagano confuse in attesa di essere pescate e con altre ancora che verranno.
Qual è la forza che potrà tenerle unite? L’immagine che ne viene fuori è ancor più confusa, per nulla chiara. È un sogno che vacilla, tremolante, poco stabile.
Se chiudo gli occhi la lettura mi risulta più facile. Se scivolo verso il sonno le storie diventano più morbide, perdono la durezza, la spigolosità che si portano dietro nello stato di veglia.
Se chiudo gli occhi la lettura sparisce. Rimane qualcosa che oggi non so valutare.
Se chiudo gli occhi rimane il passato. Niente.
Come si parla di un non romanzo? Cosa c’è da dire? Viene continuamente richiesto un mio intervento, almeno la mia attenzione, che non deve essere distratta da niente. Sei ossessiva, ossessionante.
Mi sento a pezzi, cioè, spezzettato. È la conseguenza della lettura di questo romanzo, che romanzo non è. Forse allora neanch'io sono io. E quindi non sono a pezzi. La tentazione di affermarlo è tanta. Ma non sono ancora sicuro. Sono dichiarazioni forti. Se ho ragione sono messo davvero male. Chi vince perde, è proprio così. Non so cosa augurarmi.
Leggo di notte, quando la testa è confusa, satura. Non entra più niente. Provo a spingere a forza le frasi, le parole. Niente. Leggo ma non mi si fissano dentro, perdo immediatamente il ricordo delle cose appena lette. Non so da cosa tutto questo dipenda. L’oscurità del testo? O il sonno, che ormai si è impossessato di me senza che permetta di rendermene conto?
Solo quando mi scuoto mi accorgo che ho ancora il libro tra le mani e se riprendo a leggere mi sembra di inoltrarmi in un mondo sconosciuto, a me del tutto ignoto.
È l’effetto dei disturbi che transitano direttamente dalla pagina a quello che resta di me, le storie ormai definitivamente estinte. Non ho ancora completato la rilettura del romanzo ma già penso di poter azzardare un qualche bilancio.
Te lo dico in tutta sincerità, quando un testo dà l’opportunità di elaborare pagine come quelle che sto scrivendo, e che stai leggendo, non può che essere un fatto positivo. Ma non è tutto. So che le sorprese non sono ancora finite. Ho come un ricordo di qualcosa di eclatante. Non esattamente memorabile, ma nemmeno qualcosa che passa in secondo piano, o che lascia indifferente.
E del resto, cosa richiedere di più ad un romanzo? Quando suscita emozioni, di qualsiasi tipo, ha già raggiunto il suo scopo. Ha già ottemperato al compito proprio della buona letteratura. E quando, poi, la lettura diventa bisogno fino a trasformarsi in necessità vitale, allora il gioco è fatto. Ti ho nei miei pensieri, ti porto con me a letto. Sarà tutto un altro sonno, completamente diverso.
- Diverso da cosa?
- Diverso dalla vita.

Leggo le frasi come fossero i versetti di un libro sacro, le storie come parabole. Io un fedele infedele. Nessun dio da adorare che non sia il fascino delle parole, il suono delle frasi pronunciate a voce alta, un rosario che continuo a sgranare nella speranza di poter ritrovare una speranza in questa orazione sorda. La scrittura, come la lettura, è un atto di fede, bisogna crederci, altrimenti tutto è vano, tutto svanisce.
La possibilità di cambiare le parole appare illimitata. Il problema è il labirinto che si crea e come riuscire ad evadervi, sempre che lo si voglia.
Forse la sto tirando troppo per le lunghe ma del resto la seconda lettura non è stata ancora completata e, a dire il vero, me la sto centellinando come un buon vino perché penso già al momento in cui finirà, quando arriverò all'ultima pagina. Non sono del tutto sicuro di ricominciare, avviarmi verso il terzo tentativo. Non puoi pensare che possa vivere una vita di disturbi, dei tuoi disturbi, solo dei tuoi.
Non mi giudicare male per queste considerazioni. Sono mesi che vivo di te e non so dire che vita è stata. In passato mi è capitato di vivere dei lunghi periodi in cui una sorta di masochismo o, se vogliamo dirlo con le parole del poeta, il farmi male a una ferita sempre aperta, mi ha tenuto compagnia come l’unica filosofia, il solo interesse ad agire. Questa circostanza si è riproposta con il tuo disturbo. Ma anche il male, se perpetrato a lungo, smette di essere un piacere. È la fine di un amore? Troppo presto per dirlo.
Ho ancora bisogno di te, delle tue parole. Al mattino mi sveglio con l’idea di recitare una preghiera, mi piace essere coinvolto continuamente, essere chiamato in causa dai tuoi inviti, a cui peraltro non so resistere, anche se non forniscono soluzioni ai miei problemi. Almeno penso.
E del resto, che speranza potrò avere? Ho come snobbato i consigli che hai dato al lettore fin dall'inizio, li ho presi sottogamba, ho voluto sorvolare, strafare forse e, adesso, mi ritrovo con un pugno di mosche oppure, sì, via, sono rimasto soggiogato dal fascino dell’ignoto, quella trama di misteri che hai saputo sapientemente ordire fin dalle prime pagine. Ti sei fatta gioco della mia vanità ed io, come un allocco, ci son cascato miseramente.
E adesso, aiutarti? Ho sbagliato tutto. Non ho capito niente. Io che pensavo di trovare conforto fra le tue pagine. Ma come ho fatto a non capirlo subito? Cosa mai avrei potuto ricavare da un romanzo con i disturbi nel titolo? Con quella copertina, poi?
L’unica consolazione, le pagine che sono riuscito a produrre, frutto di uno sforzo indotto, di un’incalcolabile fatica, ma quanto intensamente vissuta. Forse dovrei riconoscerti questo merito. Almeno questo.
Non mi hai fatto diventare donna, come avrei voluto, per entrare nei tuoi pensieri. Ma forse non era questo il tuo intento.
Tu hai abbandonato questo romanzo, l’hai regalato al mondo, questa divina commedia in versi sciolti, senza rime né accenti da rispettare, nessuna convenzione metrica che potesse reggere al flusso dei pensieri che per natura o definizione non può sottostare a nessuna regola.
Una divina commedia che di commedia ha ben poco e ancor meno di divino. Hai attraversato, ed io insieme a te, i sentieri più infuocati dei gironi infernali. Io ne ho fatto l’uso che ne ho voluto. Almeno penso. La mia esperienza l’ho acquisita dalla lettura. Potrà bastare?

Leggo e rileggo gli ultimi capitoli. Non voglio perderti. Ho paura, come di restare solo per sempre. Ma forse no, qualcosa di te la porterò con me anche dopo la fine della lettura. Almeno penso. Almeno spero. Ho bisogno di te che mi pensi.
Per quale ragione dovrei seguirti nelle tue astruse peregrinazioni? Perché mai? Continuo a chiedermelo irresistibilmente attratto dalla fascinazione di enumerazioni più o meno caotiche che non riesco a decifrare, di orditi ripescati da una memoria confusa, ma quanto presente, che non so decrittare. Non so ricostruire nulla del mio passato, né inventarmene uno almeno credibile.
La mia storia con te si sta avviando malinconicamente verso la conclusione. Ma non potrà finire così. Come se ci fossimo conosciuti per gioco o, peggio ancora, per sbaglio, e adesso ci salutiamo senza averci percorso l’un l’altra. È una storia rimasta a metà. E invece vorrei compierla tutta, fino alla fine. Che poi, non so bene cosa sia la fine, ma manca ancora qualcosa, questo sì, lo intuisco. Non ho vissuto al cento per cento il rapporto con te. Ci sarà occasione per recuperare? Quando finisco non tutto finisce.
(continua)

Ilaria Palomba
DISTURBI DI LUMINOSITÀ

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