Lettori fissi

mercoledì 16 gennaio 2019

Disturbi di luminosità - 3

Ma una recensione come si deve non riesci proprio a farla, mi domando ripetutamente, quasi per convincermi che anch'io potrei essere normale, se solo mi impegnassi un po’, e invece no, non so cosa sia la normalità, né sono un critico letterario. Uso ogni testo come fosse un pretesto. Per scrivere, essenzialmente di me. Non so fare altro.
Questo romanzo mi ispira più di altri. Potrei continuare a scrivere chissà per quanto, potrei leggere e rileggere queste pagine ed ogni volta è una storia nuova, ogni volta una riflessione diversa. 
Posso considerarmi un lettore forte anche se leggo e rileggo lo stesso libro senza soluzione di continuità? Quanti libri leggo in un mese? Se leggo libri molteplici come questo me ne basta uno. Me lo faccio durare per settimane e settimane. Potrebbe bastarmi anche per un anno.
Questo che sto leggendo non è un romanzo. Questo che sto scrivendo nemmeno. Però potrei pensarci. Cos'è un romanzo? Il contenitore di una storia (o di più storie)? 
Cos'è una storia? Il contenitore di una vita (o di più vite)?
Cos'è una vita? È necessario viverla per intero per poter formulare la risposta a questa domanda?
Cos'è una domanda? Un circolo vizioso a cui mi aggrappo per non precipitare nell'abisso, nel vuoto di un’esistenza vuota.
Tentativo difficile.
Le parole mi attraversano il corpo. Lo trafiggono. Non sono del tutto sicuro di uscire illeso dalla lettura del libro. Mi riempio delle frasi di cui ti sei svuotata scrivendolo. È un passaggio. Vorrei gridarti che è abbastanza, che ne ho abbastanza. Ma il bisogno di farmi male mi costringe a proseguire.
Anch'io ho sostituito i romanzi alla realtà. Da molto tempo ormai. E non ho bisogno di nessun oracolo che me lo ricordi. Vado dicendo da anni che un giorno resterò impigliato in qualcuno di questi romanzi e non riuscirò più a venirne fuori. Forse quel momento è già arrivato.
Assorbo il tuo ritmo. Sarà che sto entrando in una certa sintonia con i tuoi pensieri? Mi turba l’idea di violare un’intimità a cui non ho alcun diritto di accedere. Non senza il tuo permesso. 
Cerco tra le parole che leggo. Cerco tra le parole che non so trovare. Qualcosa. Almeno qualcosa. Vado a ritroso nella continua rilettura, sempre alla pagina precedente, e ancora indietro, per ritrovare un appiglio, o forse un punto fermo che mi faccia capire che, sì, questo me lo ricordo, per ricreare un ordine nella memoria, per ricostruire uno straccio di storia che forse non esiste ma che testardamente mi ostino a credere che ci sia, sperando di trovare, dovrà pur esserci, un filo da seguire anche nel caos più buio.
È già autunno ma c’è ancora un riverbero di estate, uno strascico che mi illude. Anche le stagioni si confondono, si intersecano sulla superficie del tempo, con sfumature che non lasciano intravedere il passaggio. Così, in questo lento scorrere, la vita viene presa in giro e mi ritrovo a non aver ricordo di niente, forse perché semplicemente non c’è stato niente. L’unica consolazione, far parte di una storia che, ad intervalli più o meno regolari, rileggo, provando a ritrovarmi senza peraltro riuscirci sempre. Almeno così non si è persa del tutto. La vita, intendo. Sempre che possa servire a qualcosa. Squarci di ricordi che irrompono nel presente. Ma, mi sto perdendo, lo so.
Non ci sono cieli nelle mie storie, ne altri, attorno. Dentro quella gabbia, chi è scappato ha lasciato un posto che presto io stesso riempirò, se dentro non ci sono già. Ma ancora non mi vedo, segno che ho ancora qualche speranza di salvarmi. Dovrò aspettare di ripercorrere la strada fino alla fine, fino all'ultima pagina, poi, tirerò le somme, trarrò le mie conclusioni.
Sento di essere il corollario di quel testo. Un allegato che non vive di vita propria. Un satellite che vaga perso nel vuoto, attaccato disperatamente ad un’orbita che non so dove mi condurrà. Forse finanche un parassita.
Di notte raduno i ricordi della giornata appena trascorsa. Ma non solo, mi spingo anche oltre, confusamente oltre. Stancamente, anche. Cerco un motivo per continuare la ricerca. A volte è solo voler vedere fin dove riesco a spingermi. Come quando corro. 
Non ho un traguardo da raggiungere che non sia, ogni volta, quello di superare un limite immaginario che però non so quantificare. Non saprò mai se sono riuscito nell'impresa. È così anche quando frugo nella memoria. Ho la sensazione di perdermi facilmente, mi sento come smarrito, senza riferimenti. 
Questo romanzo non me ne dà, oppure non so trovarli. Non nelle forme a cui sono avvezzo. È un panico continuo. Ma forse si tratta solo di una questione di interpretazione. Mi piacerebbe dire che io e te la pensiamo allo stesso modo, che siamo la stessa persona. Mi piacerebbe credere che sia stata la mia parte femminile ad aver scritto questo romanzo.
A chi mi rivolgo quando parlo? Chi è il destinatario di questi deliri? Immaginami mentre scrivo. 
È incredibile come abbia assorbito il tuo lessico. Così spontaneamente. Mi sorprendo a ripetere le tue parole come fossero una mia creazione. Segno che ho interiorizzato una parte di te, che questo romanzo esiste ed è un romanzo reale. 
Ti scriverò tutta col tempo, penso di riuscirci, fosse anche verso la fine della corsa. Arriverò privo di forze, almeno, però, sarò pronto per affrontare il passaggio.
Sto imparando a conoscerti giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, parola dopo parola. La cronaca in diretta dei tuoi giorni, la cronaca dei miei. Il mondo là fuori va avanti. Io resto chiuso dentro le pagine del libro, al massimo tra le ragnatele di un taccuino a cui affido amare considerazione senza fine. I ricordi non si uniscono come le maglie di una catena, restano sciolti, liberi di vagare nella memoria.
Capire il senso complessivo di quell'opera che è la vita, non solo del romanzo. È da un’eternità che ci sto provando.
La memoria dovrà pur appigliarsi a qualcosa. Dovrà procedere seguendo un ordine, o una strada, un indizio. Dovrà pur avere un obiettivo. La galassia dei ricordi, in sé, è un caos, un universo informe e senza ordine alcuno. Non è un’operazione semplice richiamare i momenti belli del passato, e non solo perché sono rari, o si sono dileguati chissà dove. Si sono perse le tracce o almeno il legame che li teneva uniti, che li collegava al presente. Un mondo che sembra essersi perso per sempre. Io non ho nessun oracolo che mi aiuti a farli riaffiorare, sempre che possa servire a qualcosa.
Le cose avvengono senza che riesca ad intervenire. La vita mi passa addosso in maniera scomposta. I vuoti che si creano non so riempirli con niente.
Capire il senso complessivo di questo romanzo. Ma basterebbe anche un senso frazionato, parziale. Non importa che sia breve, io me lo faccio durare il tempo necessario che, man mano che vado avanti nella lettura e nella rilettura e negli eventuali approcci successivi, si può prolungare smisuratamente.
Lo leggo finché trovo qualcosa da spremere, ne distillo la linfa vitale per il tempo necessario a farmi andare avanti. 
(continua)

Ilaria Palomba
DISTURBI DI LUMINOSITÀ

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