Non ricordo molto di quella sera. La memoria non è la mia
qualità migliore. Ma non me ne importa granché, tanto, me ne faccio poco della
memoria.
Era il mese di ottobre, una sera che arrivava dopo una
giornata di sole caldo. Fu in quel periodo che conobbi Mara, che poteva
chiamarsi anche Sara, o forse Lara. Non ricordo nemmeno il nome. Ma c’era la
luna piena. Da così lontano ce ne vuole ad arrivare da queste parti, a sbarcare
sulla Terra. Ma non era un’extraterrestre.
Le idee, quelle poche rimaste, quelle poche che riesco ad
elaborare, si allontanano da un centro che fa da coagulatore. Assisto impotente
alla loro dispersione, alla mia continua distrazione.
E cosa mi dà tutta questa storia? Nemmeno un motivo, più o
meno credibile, per andare avanti. Per vivere.
Potrei insistere per ore senza però ricavarci molto. Qualche
sprazzo di lucidità, di tanto in tanto, ma del tutto insufficiente a
ricollegare il cervello con il motivo per cui l’avevo richiamata, e così giro e
rigiro senza sosta, senza riuscire ad avvicinarmi di un ette al corpo di Mara,
che mi starà aspettando, lo so, con la sua pelle rossiccia, i capelli lisci
alle spalle, divisi a metà.
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