Lettori fissi

sabato 15 novembre 2025

P O L P A

 


POLPA, romanzo di Flor Canosa, non si esaurisce nella prima lettura delle circa cento pagine che l’editore NEO ci propone nell’ottima traduzione di Giovanni Barone. A voler analizzare anche solo alcuni punti affrontati nel testo ci si potrebbe soffermare a lungo.

Questa non è una recensione. Quando leggo mi si intrecciano in testa ricordi di cose già lette in altri momenti, in altri romanzi. È il bello della letteratura. È successo così anche in questo caso. Tante cose del romanzo inevitabilmente restano indietro. Per me spesso il testo è soprattutto un pretesto, una scusa per ritornare su argomenti a me cari, già evidenziati nella lettura di altri libri.

Una cosa su cui mi piace soffermarmi fin da subito è il nome di un personaggio, Lunes, che è anche la voce narrante della seconda parte di POLPA. Per un autore argentino penso sia quasi inevitabile ritrovarsi, prima o poi, a fare i conti con Jorge Luis Borges, anche se, Irma, un altro personaggio di POLPA, tra parentesi, afferma che ‘nessuno sa se sia davvero esistito o sia una leggenda’.

Lunes, per il fatto che ‘soffre di una sindrome di incontinenza orale e ipermnesia’ non può non far pensare a Funes, personaggio di un racconto di Borges, condannato, in conseguenza di una caduta da cavallo, a ricordare tutti i dettagli di ciò che osserva, cosa che gli rende impossibile una vita normale.

Umberto Eco, profondo conoscitore dell’opera di Borges, affermava che la figura di Ireneo Funes è come la metafora del WEB.

Nel romanzo di Flor Canosa il RACK è una sorta di evoluzione semplificata del WEB. Nel RACK non c’è bisogno di lunghe ricerche, i concetti sono ordinati secondo idee semplici.

(RACK non dev’essere un nome scelto a caso. Tra l'altro è anche un acronimo, derivante dai termini inglesi Risk-Aware Consensual Kink, col quale si indica un insieme di pratiche sessuali, con relativi rischi, accettati consensualmente dai partecipanti. E pratiche sessuali, non propriamente ortodosse, in questo romanzo di certo non mancano).

Il RACK è uno dei meccanismi di controllo che il sistema mette in atto per soggiogare le masse. In questo senso POLPA può essere considerato anche come una riflessione sul potere e sul controllo da esso esercitato.

Nella letteratura ispanoamericana tante opere affrontano questo tema, attraverso la critica ai molti dittatori che si sono succeduti al potere in vari stati. Tra gli esempi più noti segnalo Il Signor Presidente, di Asturias, e L’autunno del Patriarca, di Márquez, ma numerosi esempi si possono rinvenire in tanti altri romanzi e racconti ambientati in America Centrale e Meridionale.

Anche POLPA, diviso in tre parti, un po’ letteratura, un po’ filosofia, oltre che rientrare in un genere prossimo alla distopia, può inserirsi nel filone della letteratura che tratta il tema del controllo da parte di un potere e del tentativo da parte dei sudditi di affrancarsi da esso attraverso vari metodi.

Nel mondo costruito del futuro c’è incapacità di provare emozioni, c’è mancanza di empatia, il dolore è proibito per imposizione. Ecco quindi che, come reazione individuale a queste restrizioni, i due personaggi principali, Lunes e Irma, fanno di tutto per procurarsi piacere e dolore allo stesso tempo, con pratiche sessuali di sadomasochismo spinto all’estremo.

L’uso di immagini pornografiche, il linguaggio a volte anch’esso violento, sembrano espedienti narrativi funzionali a definire il livello di violenza perpetrata dal potere. Precedenti del genere si possono rinvenire nei lavori degli argentini Osvaldo Lamborghini e, più recentemente, di Ariel Luppino e, per altri versi e in altre forme, anche in Alberto Laiseca. Ciò che rende anche più interessante il romanzo della Canosa è il fatto che in questo caso il racconto proviene da una voce femminile.

Nell’ultima parte di POLPA, come una sorte di epigrafe, è riportata una frase di Michel Foucault. E non poteva essere diversamente, dal momento che il filosofo francese ha analizzato e studiato a fondo il concetto di controllo, come sistema di potere e soggiogamento che determina i comportamenti individuali per mezzo di dispositivi di sorveglianza, una sorta di panopticon, che nel caso del romanzo della Canosa può essere individuato nel RACK.

Un’ultima considerazione è riservata al traduttore, Giovanni Barone, che ha saputo rendere ottimamente un testo che di certo presentava non poche difficolta nella scelta dei termini da rendere in italiano, soprattutto nelle tante scene dove vengono descritti i rapporti sodomasochistici tra i due personaggi.

Ma, ormai, il suo nome, quanto alle traduzioni di autori ispanoamericani in generale e argentini in particolare, è garanzia di qualità.

Buona lettura con Flor Canosa - POLPA - NEO Edizioni. Trad. Giovanni Barone.

giovedì 9 ottobre 2025

Tango a Porto



Tango a Porto è una storia di ricordi, ma anche un sogno. Le due cose non sono incompatibili, né devono apparire contraddittorie.

Tutto si svolge in un'atmosfera onirica. C'è poca chiarezza quanto alla cronologia degli eventi narrati e allo svolgimento dei fatti.

Un professore universitario, appassionato di lettura e amante della scrittura, ormai in là con gli anni, ripensa alla vita trascorsa, rievoca episodi che l'hanno caratterizzata e in qualche modo determinata.

Il passato si insinua di continuo nel presente senza preavviso. I ricordi si ripresentano senza un ordine preciso, sovrapponendosi e accavallandosi cosicché non sempre è facile cogliere con esattezza i riferimenti temporali.

Ci sono tre donne che occupano la mente del protagonista, che è anche l'io narrante. La moglie, negli ultimi anni alle prese con seri problemi di salute. La figlia, che non è mai venuta alla luce ma che è sempre presente. Sofia, una donna che ha conosciuto a Porto, una volta in cui era stato invitato a un convegno in quanto esperto di letteratura portoghese.

In quell'occasione aveva scelto di presentare una tesi su António Lobo Antunes e in particolare sul romanzo A morte de Carlos Gardel (1994).

Nasce cosi, per l'anima 'scrivente' del protagonista, la necessità di trasformare questi soggetti nei personaggi che animeranno le pagine del romanzo che intende scrivere. A volte i personaggi si muovono e agiscono per le strade di Porto, una città che appare in filigrana, senza mai venire nettamente in superficie. Più spesso le azioni si svolgono nella mente del narratore, come è naturale che avvenga quando a prevalere sono i ricordi o i sogni.

La narrazione comincia col tempo presente, in un'atmosfera sospesa, come di attesa, di immobilità, quasi a voler evocare la mancanza di stimoli e quindi di capacità di immaginare. Una mancanza di motivazione ad agire, anche.

Il protagonista ama scrivere e, dopo alcune prove fallimentari di produrre un romanzo, intende rivolgere tutti gli sforzi nel tentativo di raccontarsi apertamente. A tale scopo cerca aiuto nella lettura del romanzo di Lobo Antunes, per trovare l'ispirazione necessaria, anche imitando lo stile dell'autore portoghese. Tutto però rimane confuso, alquanto vago, per niente chiaro.

Questo romanzo è un omaggio alla scrittura e alla sua funzione di fissare dei momenti che altrimenti rischierebbero di scomparire per sempre.

Allo stesso tempo è anche un atto d'amore nei confronti dello stile e del modo di scrivere di António Lobo Antunes.

Antonio Danise - Tango a Porto - Edizioni Qed

mercoledì 27 agosto 2025

Una sola luce blu

 

Una sola luce blu di Sara Cerri è un romanzo scritto sotto forma di lunga lettera che una madre, Gloria, scrive alla figlia, Eva, con l’intento di raccontarle otto anni della sua vita, che non sono, però, solo otto e non sono solo della sua vita perché, il racconto abbraccia inevitabilmente anche gli anni precedenti al 2008, anno in cui comincia questa sorta di diario, e coinvolge anche altre persone, oltre alla mamma e alla figlia.

Leggendo Una sola luce blu ho scoperto con una certa sorpresa che tra quelle pagine ci sono anch’io.

Non sto esagerando. Credetemi, perché sono tante le storie che Cerri ci presenta in questo romanzo. E quando lo leggerete vi troverete senz’altro qualcosa che ha a che fare con la vostra vita, così come è successo anche a me. 

La buona letteratura è questo che fa. Propone qualcosa in cui ciascuno, in modo diverso, può ritrovarsi, partendo dal proprio vissuto. Con la speranza di riuscire ad affrontare, con un strumento in più, quel senso di inquietudine esistenziale che può accadere di dover affrontare. 

In questi casi avere a disposizione un libro come Una sola luce blu aiuta a elaborare un dolore, un dispiacere, una sofferenza e, auspicabilmente, a superarli.

Sara Cerri - Una sola luce blu - CTL Editore

lunedì 25 agosto 2025

NESSUNO di Pako Malara

 


Nessuno, di Pako Malara, è un romanzo costruito partendo da alcune parole chiavi: silenzio, vuoto, buio, assenza, rimorso per qualcosa di non fatto, non dato, non detto, rimpianto, specchio, resistenza, rinascita.

Punti fissi che ricorrono e ritornano, come a disegnare una mappa, per non smarrirsi, per non perdere la strada, per risalire da certi abissi in cui spesso si rischia di precipitare.

Ecco un esempio di dialogo fra due personaggi, un passaggio significativo del testo:

 

«La vita non è un film. Non è un libro. La vita …»

«… fa male», lo interruppe.

«Fa schifo. Ti svuota. Ti massacra. Lo so. Ma forse è proprio per questo che vale la pena di provarci. Per dimostrare che non ci ha distrutto del tutto.»

 

La vita è uno sprofondare, a volte necessario, in un abisso, per poter poi risalire lentamente. È speranza di rinascita.

Ho letto con molta curiosità il romanzo di Pako Malara, dal titolo significativo nonché evocativo: Nessuno.

La storia, nonostante le oltre 300 pagine del libro, è presto detta.

Ma no, non la dico, non è quello che conta, o non solo.

Bisogna leggerlo questo romanzo, pagina dopo pagina. Essere risucchiato dagli eventi. Vivere il dolore che vibra tra le righe, e venirne fuori.

In queste pagine c’è un’attenzione analitica, a tratti persino morbosa, a ogni particolare descritto. Niente viene lasciato al caso. Eppure si tratta di una storia che si potrebbe definire smilza, ancorché densa e importante.

Una delle cose che colpiscono in questo lavoro è l’attenzione quasi maniacale per ogni dettaglio, la perfezione delle descrizioni, che dipingono un quadro che dà precisamente l’idea di quel che accade.

E nonostante questo si ha, allo stesso tempo, l’impressione, la sensazione che non sia stato detto tutto, che ci sia molto altro ancora tra le righe, dei vuoti che ogni lettore potrà colmare a piacimento, perché dalle parole del testo possono nascere e scaturire mille altre storie, se solo si presta attenzione al non detto, al non espresso.

Una scrittura intensa, profonda, densa. Un lavoro di ricerca della parola, non una banale o scontata. Quella giusta, l’unica adatta a definire il concetto espresso, i sentimenti evocati e suscitati.

Una prova di maturità letteraria all’esordio di questo giovane scrittore.

Conosco personalmente Pako Malara ma leggendo Nessuno ho fatto conoscenza con un'altra persona.

È il bello della buona scrittura.

Nessuno è un romanzo necessario, che andava scritto, perché: Nessuno può salvarti da un dolore che non racconti.

Pako Malara - NESSUNO


mercoledì 25 giugno 2025

Tango a Porto: Danise e la critica alla finzione.


Riporto la recensione di Martino Ciano, che ringrazio immensamente, di Tango a Porto, Qed Edizioni, già pubblicata su borderliber.it

Sta tra queste pagine la critica alla finzione, la presa di coscienza che la realtà non può essere davvero raccontata per ciò che è, perché essa è sempre travisata, deformata dal soggetto che ne fa ciò che vuole.

È la tragedia dell’intenzionalità a parlare in “Tango a Porto”, un’opera viscerale con cui Antonio Danise ironizza la natura di questo artefatto di parole, di frasi, di concetti che non si attengono per niente alla mondanità. Persino la sospensione di ogni giudizio viene ridicolizzata, perché è una forzatura, anzi un esercizio di stile. Come fai a togliere del tutto le vibrazioni, i sentimenti, le sensazioni?

Danise imbastisce un dialogo tra sensi. Immagina un professore che si reca in Portogallo, a Porto, per tenere una conferenza sulla letteratura contemporanea del paese iberico. L’argomento del suo intervento sarà lo scrittore António Lobo Antunes, colui che ha usato il passato per raccontare il presente e per delineare in maniera impietosa la decadente natura umana. E proprio lui, che prima di essere scrittore è stato psichiatra, secondo me avrà avuto a che fare con Brentano e con l’intenzionalità: quel “qualcosa” che sta alla base dei nostri atti psichici, che veste l’oggetto del nostro “io”.

Durante questo viaggio, il protagonista incontra Sofia, una donna con cui intreccia una breve relazione e che, anche una volta finita, lui continuerà a frequentare per trarre ispirazione per il suo romanzo. In questo gioco di specchi, l’intera struttura si incrina. Lo scrittore non sa chi sia davvero Sofia. Di sicuro non diventa Musa, ma un’entità che guida i giudizi, le scelte stilistiche, le parole. È uno spirito che si intromette, che detta le regole del gioco. Per liberarsene, l’aspirante scrittore ha un solo modo: abbandonare la stesura del romanzo. Lo farà?

Al di là della trama, l’impalcatura metafisica che sorregge il tutto è estremamente visibile. “Tango a Porto” è certamente un’opera che non naviga per i generi consueti. Mettere in crisi il romanzo, dubitare che possa esserci un rapporto benevolo tra realtà e finzione, sono temi che da sempre affascinano perché aprono a un discorso ancora più ampio: lo spaesamento che soggioga l’uomo e che oggi è la misura attraverso cui si leggono tutte le cose.

Distrutta la rielaborazione di un pensiero edulcorato, che oltre a dare logica alla realtà smorza i conflitti interiori dell’individuo, si mette a repentaglio l’ultima boa di salvezza che l’uomo ha a disposizione. Con questa prova, Danise si pone tra coloro che giocano con la letteratura come certi domatori fanno con i leoni affamati.

Il rischio è che la finzione diventi per il protagonista del libro l’unica realtà accettata e conoscibile. In tale prospettiva “Tango a Porto” è un’opera alienata, che scuote le basi del nostro quieto vivere in un mondo che si mostra per ciò che è: uno spazio addomesticato dalla nostra percezione. Torniamo quindi a una domanda fondamentale che ancora oggi stuzzica la parte inquieta del nostro animo: esiste l’oggetto senza il soggetto?


martedì 10 giugno 2025

Tango a Porto




Grazie a Stefano Ventisette che ha letto Tango a Porto. Ecco cosa ne pensa. 

Ho avuto il piacere, su segnalazione dell’amico Pasquale De Luca, di leggere e partecipare alla presentazione fiorentina, a fine maggio, del libro Tango a Porto (QED 2025) di Antonio Danise. 
Riporto qui le mie sensazioni e impressioni ricevute dall’interessante lettura del testo in questione. 

Si tratta di un romanzo né tradizionale, né scontato, ma dalla struttura evocativa continua e fluttuante, sorretta da una prosa originale con una costante cadenza ritmica che si evolve e si ritrae, si eleva per poi ridiscendere, senza mai tradire l’intento originario dell’autore. 
È difficile imbattersi in un romanzo così concepito e così ben amalgamato; romanzo breve e per questo fruibile in poche ore di lettura, ma che cattura il lettore e lo conduce nei labirinti mentali dell’autore. 
Che poi, rappresentano le congetture quotidiane ed eterne di gran parte degli esseri umani: non c’è forse un flusso di coscienza (almeno per noi occidentali) che ci accompagna quotidianamente? Pensieri talvolta confusi, talaltra troppo sofisticati, ora banali, e dopo filosofici. 
Ma è la colonna sonora interiore che accompagna il nostro peregrinare alla ricerca di quiete e speranza che tardano ad arrivare, lasciandoci troppo spesso in una dimensione di attesa (di che cosa, poi?) che ci catapulta nuovamente nella tragica condizione di errabondi. 
Antonio Danise ha il coraggio, la bravura, con la libertà che si auto concede, di mettere a nudo la sua esperienza di vita letteraria che può anche coincidere con quella reale, ma al lettore poco importa se così è, perché si riconosce nel tormento che emerge pagina dopo pagina, nel rovello interiore che coinvolge e assurge a sfondo della storia narrata e, in parallelo, fatta propria dal lettore. 
Non un’esaltazione dell’ego o del narcisismo, ma rispetto per il lettore, coinvolto direttamente nel resoconto-narrazione. Così, la difficoltà a ricomporre la vita in periodi temporali, stagioni, passaggi, cicli (pag. 19), diventa pensiero comune, da condividere; e una cesura improvvisa nel racconto, insieme a un soprassalto imprevisto (Pag. 20): “Adesso che è tutto finito e si entra in un’altra dimensione”, ci riportano alla necessità di ricominciare, ripartire per un altro pensiero… 
Un autobiografismo portato alle estreme conseguenze, senza mai (o quasi mai) pronunciare la parola “io”. Una trama che è un pretesto, come in Annie Ernaux ne Gli anni. 
Nel momento in cui, come quello attuale, i segreti dovrebbero essere importanti, per gli individui, e la propria interiorità da custodire altrettanto gelosamente, rivelare e rivelarsi è diventato quasi un hobby. Questo principio non vale per gli scrittori, perché hanno il privilegio di rendere pubblica tutta l’interiorità che vogliono per interposta persona. Così sembra fare Danise con il suo Tango a Porto, di cui va sottolineato il coraggio, la temerarietà nello scrivere una storia che si presenta, a mio avviso, come una malcelata autobiografia interiore. Anzi, una autotoanalisi spietata. Con linguaggio sicuro, colto, dal taglio minuzioso. Con l’unica finalità di cesellare e sperimentare la fluidità di cui sopra, permettendosi, Danise, cesure improvvise per evocare un evento importante con una frase breve, lapidaria (Pag. 60), o ancora fughe, “la vera vita è sogno e follia”, “perdersi e ritrovarsi, nulla è definito” (pag. 80)”, portando il lettore sul piano del sogno, della dimenticanza, della seconda o terza vita che la letteratura offre a entrambi: scrittore e lettore, appunto. 
Questa sequenza di piani diversi, utilizzati con padronanza e sapienza, conferiscono, a mio avviso, ancora più forza al romanzo di Antonio Danise, al punto di indurre il lettore a imboccare altre vie interpretative, compresa quella che potrebbe definire il romanzo anche la storia di una nevrosi, dove la voce narrante, senza remore, mette a nudo la propria mente e la propria anima. Anzi, la consapevolezza del raccontare, in forma di confessione, porta Danise a far cadere i freni inibitori, per far conoscere le parti più recondite dell’esistere, del soffrire e, infine, del gioire. 
Una bella, continua alternanza fra sogno e realtà, verità e finzione, furti di identità, ambizioni, cadute, desideri, appagamenti e ritorno ai dubbi di sempre. 
Letteratura e scrittura come salvezza, rifugio che possono anche trasformarsi in nevrosi, paranoia, ossessione. La letteratura, in fondo, non è anche un pretesto per assicurarsi più vite, sicuramente migliori, più soddisfacenti? Per assicurarsi, pure, più vie di fuga, fino a una salvifica uscita di sicurezza?
Riguardo a questo aspetto ho trovato molte affinità con Cabala bianca di Gian Dauli (romanzo del 1944,) dove, certo con prosa più leggera e disincantata, si narra “la giornata di un uomo qualunque che confonde la vita reale con il mondo dei sogni, senza rispettare il naturale alternarsi del sonno e della veglia, mescolando la propria esperienza notturna e diurna…”. Sono i temi a cui accennavo prima, a cui aggiungerei, a sostegno di una ulteriore prova di coraggio dell’autore, il momento in cui Danise (pagina 30) fa precipitare l’autostima dell’io narrante al grado zero, quando lo fa riflettere sul suo “non vivere”… Ma è sempre un filo invisibile, seppur tenace, che sorregge la lunga autoanalisi di Danise, il dispiegarsi dei pensieri, delle fughe mentali, dei sogni, della malattia, dei “Piccoli equivoci senza importanza”. 
Con una incisiva impostazione in forma di poema, piuttosto che di romanzo tradizionale, dove le varie e alterne strutture narrative sorreggono il testo, trattenendolo e liberandolo in quell’area di tregua e di ripresa ossessiva del pensiero che macina parole, ricordi, sprazzi di luce, il buio del dolore, il testo procede col suo ritmo incalzante. 
Insomma, una bella scommessa. Che Antonio Danise ha saputo accettare e vincere con strumenti narrativi ben maneggiati e altrettanto ben offerti al lettore. 

Antonio Danise - Tango a Porto - Qed

giovedì 29 maggio 2025

Tango a Porto

video della presentazione di Tango a Porto https://youtu.be/WW_5jhaBsoI?feature=shared