Da un po’ di tempo a questa parte mi sono fatto l’idea che la scrittura possa a pieno titolo essere considerata una forma di magia. L’ennesima conferma è arrivata dalla lettura dell’opera di Olaf Benzinger, dal titolo “Il grande libro dei maghi”.
Perché questa convinzione abbia un senso è sufficiente (con un colpo di bacchetta magica?), sostituire il mago allo scrittore e, conseguentemente, il pubblico che assiste alle esibizioni del mago al lettore, ed il gioco è fatto.
Leggendo il libro di Benzinger ho individuato molte analogie fra la magia e la scrittura, al punto che non posso non pervenire alla conclusione che la scrittura è una vera e propria forma di magia.
Tra il mago ed il pubblico che assiste ai giochi di illusionismo si instaura un patto che per certi versi è molto simile a quello che nasce tra l’autore ed il lettore nel momento un cui quest’ultimo si accinge ad entrare nel mondo finzionale creato da uno scrittore.
Negli spettacoli di magia il pubblico non deve accorgersi di quanto e di come sia stato ingannato, o comunque non è questo che interessa, perché chi assiste alle magie è consapevole che proprio di illusionismo si tratta e per poter apprezzare l’esibizione di un mago non deve badare al trucco anzi addirittura dovrebbe convincersi che il trucco non esiste e che ciò che più importa è semmai l’effetto del trucco, la sorpresa, lo stupore, la meraviglia.
Allo stesso modo, a chi legge, per diletto o per evasione, non interessa come lo scrittore riesca a procurare determinati effetti di straniamento (semmai questo è lavoro per un critico letterario, o per uno studioso di narratologia), ma interessa invece godere semplicemente del risultato, che raggiunge quando, attraverso la lettura e solo per il tempo della lettura, riesce ad estraniarsi ed a sottrarsi alla realtà della vita quotidiana.
Jean-Eugène Robert-Houdin, considerato il “padre dell’illusionismo moderno", sosteneva, già nel XIX° secolo, che “L’arte della magia non consiste tanto nel compiere cose prodigiose, quanto nel convincere gli spettatori che tali cose prodigiose stiano accadendo”. Allo stesso modo uno scrittore sortisce l’effetto desiderato se per mezzo di un racconto, o di un romanzo, riesce a convincere il lettore che quelle cose che legge si stanno verificando proprio mentre le sta leggendo, o comunque ascoltando, dalla viva voce di qualcuno che le sta narrando.
L’illusionista Andreas Michel-Andino afferma che la cosa più bella dell’illusionismo è “... il momento in cui riesce a estraniare la gente dal quotidiano facendola stupire e ridere, facendo in modo che una compagnia eterogenea di persone si trasformi in un’unità di pubblico. Riuscire poi a indurre tale pubblico a trovare l’illusione talmente bella da far passare in secondo piano la questione del trucco che vi è sotto, è per me il massimo che un illusionista possa raggiungere”.
Il portoghese Fernando Pessoa, estremizzando questo concetto, arriva addirittura ad applicarlo allo stesso poeta, allorché sostiene che “O poeta é um fingidor./Finge tão completamente/Que chega a fingir que é dor/A dor que deveras sente”.
Juan Tamariz, noto prestidigitatore spagnolo, è solito dire che l’illusionista è un “... affascinatore, qualcuno che dà corpo a bellissimi sogni”.
E non è forse attraverso la scrittura che un autore si propone, fra l’altro, anche di far vivere dei sogni ad un lettore, solo che sia semplicemente disposto a seguirlo?
Sono solo alcuni esempi di prossimità tra l’arte magica e la scrittura; ma cosa sono, del resto, il fantastico, o il realismo magico, e il real maravilloso o ancora il realismo fantastico, se non delle espressioni che individuano determinati generi letterari, ma non solo, e che rimandano in qualche modo al mondo della magia?
Olaf Benzinger - Il grande libro dei maghi, Da Merlino a Harry Potter – Newton & Compton Editori – Roma, 2005
Traduz. Stefania Di Natale
Meridiani e Paralleli confusi come per magia.
Nessun commento:
Posta un commento